30 novembre 2010

ANCHE L’AUTO E’ UN PO’ DI SINISTRA


I candidati alle primarie del centro sinistra hanno fatto una vera gara a chi era più anti-automobile, il “male assoluto”. Forse vale la pena di de-ideologizzare un po’ la questione. Vediamone qualche aspetto sociale. Il primo concerne la rendita urbana. L’automobile è uno strumento per trovar casa “in tanta malora”, cioè in aree a bassa densità poco o affatto servibili dai mezzi pubblici, cioè a basso costo, cioè dove c’è poca rendita (che è funzione dell’accessibilità, in prima istanza). E pagar poco la casa interessa certo molto ai redditi bassi: nessuno si diverte a stare ore in coda senza solidi motivi economici.

Il secondo aspetto concerne il mercato del lavoro post-tayloristico. Sempre più il lavoro moderno e professionalizzato si caratterizza per elevate esigenze di mobilità nel tempo e nello spazio, e questo sia durante l’attività lavorativa stessa, sia per il fatto che si cambia lavoro più spesso. In questo secondo caso la politica bipartisan di favorire la casa in proprietà contro l’affitto ha contribuito moltissimo a “irrigidire” il mercato del lavoro, aumentando le esigenze di mobilità anche su lunghe distanze (che la casa in proprietà peggiori molto il mercato del lavoro, e generi una mobilità eccessiva, è giudicato da un recente premio Nobel, il prof.Krugman, uno dei fattori del declino della produttività americana…).

Un terzo aspetto concerne i costi, ed è forse il più noto: tutti quelli che non per capriccio devono spostarsi in macchina, pagano altissime tasse (benzina, autostrade… in totale più della metà dei costi variabili), e hanno in cambio una viabilità congestionata e pericolosa. Queste tasse contribuiscono ai costi dell’iper-sussidiato trasporto pubblico, spesso usato da utenti che abitano nelle aree meglio servite e/o centrali, e quindi dove le residenze costano più care. Un quarto aspetto concerne l’ambiente: le macchine private non-diesel hanno un ruolo molto più limitato di quanto si creda nell’inquinamento, sia quello che nuoce alla salute che quello che nuoce al clima.

Ma ci sono anche aspetti strettamente funzionali: pensiamo a una madre (o a un padre…) che lavora, deve fare un po’ di spesa, e deve passare a prendere il figlio a scuola. Farlo con i mezzi pubblici, anche in aree ben servite, è difficilissimo, soprattutto se si vuol risparmiare non comprando nel negozietto sotto casa. Immaginiamo dunque che una quota consistente di spostamenti debba rimanere sul mezzo privato non per capriccio o per comodità, anche a fronte di una ulteriore tassazione delle macchine e a sussidi ulteriori al trasporto pubblico. Tra pendolari e milanesi, si può stimare che un 50% si troverà comunque in questa situazione di “automobilista forzato”. Quale sarà la condizione di questi infelici? Certo non invidiabile. E detto per inciso spingerà attività economiche e lavoratori verso aree dove ci sono costi minori, cioè verso il famigerato “sprawl” urbano (aree esterne a bassa densità, il fenomeno si è già verificato a Londra).

Per finire: le macchine in coda (“stop and go”) inquinano di più che con una circolazione fluida, e generano costi enormi in tempo perduto (dati gli alti redditi medi dei milanesi). E oggi parlare di miglioramenti alla rete viaria, coerentemente alle premesse qui fatte, è sicuramente “politically uncorrect”. Ma per chi è costretto a fare spostamenti lunghi a motivo di dove abita e dove lavora o fa la spesa, essere considerato un cittadino di serie B forse è visto come un po’ di destra. Con ciò, a Milano occorre che ci siano meno macchine, più biciclette e più trasporto pubblico. Ma senza assurde e indifendibili posizioni ideologiche (tra l’altro, molto datate).

Marco Ponti



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