10 luglio 2018

OLIMPIADI INVERNALI A MILANO. SÌ, NO, COMUNQUE PRIMA …

Chi ha voglia di una nuova telenovela del “sistemaitalia”?


Nessuno stupore se Milano, insieme con altre città in Italia e nel mondo intero, si faccia in quattro per ospitare Olimpiadi: è una telenovela cominciata da anni, ci provarono anche l’ex sindaco Albertini e Formigoni per quelle del 2016. La questione non ha quasi nulla a che vedere con lo sport ma con più intriganti questioni d’immagine del Paese, della sua notorietà, della sua anche se solo momentanea visibilità e della sua forza accompagnata dal prestigio. Le Olimpiadi di Berlino del 1936 furono in questo insuperabili e forse i sovranisti di oggi ne sentono il fascino.

01_editoriale26Le Olimpiadi sono state anche “la grande occasione” per veder piovere sul proprio territorio investimenti – luoghi per lo sport, infrastrutture di trasporti, viabilità, aeroporti e altro ancora – che altrimenti mai sarebbero arrivati.

È chiaro che quel che resta dopo le Olimpiadi in termini di investimenti fissi ha un valore economico notevole ma questo valore non è assolutamente proporzionale all’investimento fatto per l’organizzazione complessiva dei giochi.

La differenza tra questo valore (e costo) e l’investimento totale sopportato dal Paese ospitante deve essere allora tutto assegnato ad altri “benefici”: ricavi da turismo e commercio locale, spese locali delle delegazioni e tutto l’indotto, come abbiamo visto considerare in Expo2015.

Molte delle opere infrastrutturali non trovano, però, utilizzi successivi interessanti e molte lasciano un gravame di costi manutentivi imponente.

Dunque, prima di partire per l’avventura olimpica varrebbe la pena di fare un “vero” bilancio tra costi e benefici – difficilissimo perché legato a stime spesso personali – e pensando anche al carico per le mai floride casse dello Stato: la Grecia finì nella catastrofe economica anche per i debiti lasciati dalle sue Olimpiadi.

Ma voglio andare oltre e fare mie le recenti parole del Ministro dell’economia Giovanni Tria: «Il Governo è consapevole che i maggiori ostacoli alla spesa pubblica non vengono dalla carenza di risorse finanziarie, bensì dalla perdita di competenze tecniche e progettuali delle amministrazioni pubbliche, della difficile interazione tra le amministrazioni, sia centrali sia territoriali, e dagli effetti non voluti del recente “Codice degli appalti”.». (la Repubblica 7 luglio).

Mai analisi della realtà fu più sintetica e corrispondente al vero. Ma non rallegriamoci.

I Codice degli appalti, anche nell’ultima stesura, è figlio dell’incompetenza di chi del processo produttivo edile, dei suoi snodi progettuali, della partecipazione agli appalti, della scelta del contraente, insomma della filiera delle costruzioni non sa in concreto nulla ma vive un suo astratto sogno tra labirintismo giuridico e realtà di comodo con la nascosta connivenza del mondo delle grandi imprese di costruzioni. I veri “promotori” delle opere pubbliche in Italia.

Il Codice degli appalti esprime pur con tutta la sua complessità il fallimento degli obiettivi per i quali era nato e dovrebbe esistere: il miglior rapporto possibile tra costo e qualità dei beni e servizi acquistati, la tutela della concorrenza, la lotta alla corruzione.

Anni di attività nel Comitato antimafia del Sindaco di Milano, 50 anni di attività come costruttore di opere edili anche pubbliche, anni di attività di ricerca nel settore delle costruzioni e di attività negli organismi associativi mi consentono di chiedere di “credermi sulla parola”: se la legislazione sugli appalti, sull’organizzazione della pubblica amministrazione per quel che riguarda le opere pubbliche, non si cambia radicalmente saremo condannati allo spettacolo che vediamo e vedremo.

Quale? Eccolo: lo scalpiccio dei “facilitatori”, lo stropicciarsi le mani della mafia, l’acquolina in bocca delle grandi Imprese, i lavori che costano il doppio del preventivato, le somme distratte, le consegne in ritardo, i regimi e i poteri speciali, i commissari per finire in tempo, la nascita di comitati del “no”, i ricorsi al Tar di cittadini e Imprese. Insomma il meglio del cosiddetto “sistema Italia”.

Allora è legittimo avere dubbi sull’opportunità delle Olimpiadi? Posso almeno sperare che si butti via prima il Codice degli appalti e se ne faccia uno nuovo? Sono almeno trent’anni che combatto. Come andrà a finire questa mia battaglia?

Andrà a finire come tutto lascia prevedere: il Governo pensa a un Codice degli appalti “light”, che tolga i controlli anticorruzione e spiani la strada ai privati perché lì stanno i “lacci e laccioli” che frenano tutto, un Codice che superi il problema corruzione ignorandolo e spalancando le porte già aperte a mafia, camorra e ladri vari del pubblico denaro. “Arridatece” il vecchio Codice? Al peggio non c’è mai fine.

D’altra parte avete sentito una sola parola sul contrasto alla mafia da parte di Salvini o Di Maio? I loro problemi sono migranti e pensioni. In nome del “popolo”.

Vorrei che sulla mia tomba fosse scritto:

Combattè per il Codice degli appalti e perse”
Sint tibi aedificata levia”

Luca Beltrami Gadola



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