31 ottobre 2017

MILANO, IL SINDACO SALA E LA TARTARUGA

Cronaca di un dibattito ondivago


Ma che sarà mai! Da Parigi, dove era per un incontro con altri sindaci sul problema della tutela dell’ambiente, il sindaco Sala, in un’intervista al Corriere della Sera raccolta da Maurizio Giannattasio, ha detto: «Da Milano deve partire la rivoluzione del rallentamento». Il redattore, credo di suo, ha aggiunto l’aggettivo (Milano) «frenetica». La frase di Sala e l’aggettivo hanno provocato molte reazioni e non sarebbe il caso di parlarne se non fossero un caleidoscopio di opinioni su Milano e su di un suo aspetto riassunto nella frase sempre sentita dire ovunque andassi, in primo luogo per lavoro ma anche no: «Voi milanesi correte sempre». Sono almeno cinquant’anni che la sento. È vero. Ma perché corriamo? Una spiegazione forse c’è.

01editoriale36fbMa veniamo alla cronaca.

24 Ottobre – Intervista di Sala al Corriere. Milano deve rallentare soprattutto nel rilascio di emissioni nocive. Meno auto, meno motori. Parla anche di apertura dei Navigli, e non so se c’entri, parla di ripensamento dei tempi della città. Sembra giusto: conciliare i tempi non vuol dire rallentare ma razionalizzare. Resterà più “tempo personale”. Forse ma non è detto, come vedremo.

25 ottobre – Simona Bertuzzi su Libero. Non ama Sala e ne interpreta a modo suo il pensiero fino a dire «Imporre la lentezza, contenere le corse e i ritmi, sarebbe un danno alla città e alla sua immagine nel mondo». Ma la perla arriva alla fine del suo pezzo: «E ora vuole infilare noi, gente del Nord, nel tritacarne di un sistema che “per riumanizzarci un po’„ e per far lieta la sinistra dei salotti rallenta di vivere?». Beata lei che vede ancora la sinistra e i salotti.

25 ottobre – Nicola Porro su Il Giornale non è da meno della sua collega Bertuzzi. Ricorda a Sala altre lentezze – giustizia, lavori pubblici, ….- e fin qui potrebbe aver ragione ma poi ci racconta che i milanesi che si godrebbero la lentezza «sono quelli che devono la loro ricchezza ai loro velocissimi antenati». Pochi oggi. Da vecchio milanese devo sussurrare che gli antenati velocissimi hanno avuto eredi velocissimi nel disfare fortune e le richezze odierne, diremmo, sono dei nuovi ricchi. Anche Porro ha la sua perla, accusando i ciclisti di essere snob «cestini a fiorellini, mangiare slow e caro, dall’agenda puntellata di mostre, è un lusso che si possono permettere solo pochi». Ciclisti ovunque , ristoranti pieni e le code sono di gente comune, come alle mostre: forse non li vede.

25 ottobre – Giovanni Cobolli Gigli, uomo della grande distribuzione, intervistato da Rita Querzè del Corriere, è pacato: parla di leggi del mercato ma soprattutto ricorda che il commercio online, che avanza a grandi passi, è aperto 24 ore su 24. Che ci vogliamo fare? Come molti altri ritmi non dipendono da noi.

25 ottobre – Carlo Bonomi presidente di Assolombarda, sempre intervistato dalla Querzè è lapidario: «Rallentare non vuol dire essere meno produttivi ma solo vivere meglio». Ricordo che vecchi industriali illuminati, magari un tantino paternalisti, dicevano: “Se l’operaio sta bene produce di più.”.

27 ottobre – Dalle colonne del Corriere scendono in campo Alberto Alesina e Francesco Giavazzi. Forse, tra tutti, sono quelli che meno hanno capito del discorso di Sala. Citano le classifiche che vedono Milano in testa per produttività. Rallentare per loro vuol dire dare una bastonata sulla schiena al cane che corre. C’è lo smog? Più piste ciclabili, dicono,– io aggiungerei fatte meglio e più razionali e non lasciate a metà – e più mezzi pubblici e più confortevoli – ma lasciamo che i milanesi corrano: è la loro virtù. «Miglioriamo Milano, non chiediamo di fermarsi». Non ho capito chi l’ha chiesto.

28 ottobre – Sala risponde, sempre dalle colonne del Corriere e si domanda: «Non è che l’idea di velocità cui fanno riferimento (Alesina e Giavazzi) è molto, troppo novecentesca?». Marinettismo d’antan sembra dire. E conclude: «In definitiva lo stile di vita delle città sta cambiando sulle spalle di un progresso che dobbiamo forgiare in una prospettiva realmente umana e sostenibile». Impresa difficile in un mondo che va in direzione opposta. Milano ci prova?

Ci sono e ci saranno altri interventi, molto si è detto e si dirà sul tema della lentezza a partire dal libro Elogio della lentezza di Lamberto Maffei per i tipi del Mulino. Da leggere. Ma forse la “fretta” milanese ha altre ragioni: è una fretta che viene da lontano.

Milano è una grande città nella quale il merito ha sempre contato, storicamente. L’immigrazione dal Sud del dopo guerra voleva dire trovare sì lavoro ma anche meritarselo, perché Milano non faceva sconti. Darsi da fare, non aspettare che qualcosa cada da cielo. Essere svelti. Non lasciarsi scappare le occasioni.

Oggi, dice Sala, per rendere “umana” questa fretta dobbiamo “forgiare” una prospettiva per contrastare quella che è diventata, vista da fuori, una sorta di nevrosi.

Oggi di quella fretta del dopoguerra non c’è più traccia. Io credo che la fretta odierna sia principalmente figlia delle precarietà, della precarietà del lavoro, della necessità di cogliere ogni possibile occasione di lavoro e di reddito: uno, due, tre lavori nella stessa giornata. Di corsa, ringraziando Iddio. I giovani.

Ma meno precarietà è la vera condizione per ricuperare qualità della vita e il “tempo per noi”, poi verranno i servizi pubblici, il verde, gli spazi sociali, la bellezza della città e, perché no, i Navigli. Per il momento non resta che correre. Precari. Poche chiacchiere.

Luca Beltrami Gadola



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