6 novembre 2013

NESSUNO IRONIZZA. MA LA PARTECIPAZIONE RESTA ANCORA UN’UTOPIA


Sull’assemblea al Quartiere Adriano, gli articoli di Anna Scavuzzo e Alberto Proietti che in risposta al mio hanno proposto nuove riflessioni mi danno un’occasione di più per chiarire il mio pensiero. Su quella serata e oltre. Non è che si trascurino dettagli per negligenza o malafede; è che le storie si raccontano (e si leggono!) sempre sotto un punto di vista piuttosto che un altro. È nella natura delle persone, non essere imparziali. Penso così che un incontro pubblico con un rappresentante delle istituzioni sia indubbiamente un momento informativo, ma che possa trasformarsi nell’occasione per cogliere un’atmosfera, e per ampliare il discorso al di là del caso specifico. A me, come “cittadina attiva”, ha suscitato una semplice constatazione: che non si coglieva nelle comunicazioni dei relatori e negli interventi di molti abitanti e rappresentanti delle associazioni né un’uniformità di vedute e di informazioni a disposizione di ciascuno, né una priorità univoca e condivisa di finalità da privilegiare. Sembrava che ci si incontrasse per la prima volta. Chiaro, non era affatto così, ma questo era quanto, solo a tratti, poteva apparire a un osservatore esterno.

Leggendo poi quanto scritto dalla signora Scavuzzo, mi sono domandata, con sorpresa, come mai abbia valutato come del tutto irrilevanti i molti meriti che riconoscevo alla vicesindaco De Cesaris, per i passi avanti compiuti e per come una situazione tanto critica era stata gestita; come mai abbia ignorato, che non mi ero invece trovata d’accordo con l’irragionevole richiesta del “tutto e subito” emersa in alcuni interventi del pubblico. Quello che ho messo in discussione non è mai stato l’impegno dell’amministrazione, semmai il ruolo del cittadino e la sua incapacità (o impossibilità), in certi casi, di essere concretamente parte, e a parte, di quanto accade.

Mai ho comunque avuto l’intenzione di stilare una cronaca dettagliata del percorso in fieri al Quartiere Adriano: per fare il punto in proposito, anzi, ho letto con attenzione la sintesi di Proietti del Consiglio di Zona 2 che ha concretizzato benissimo tutti gli aspetti della questione; e ho apprezzato il suo esordio, che riporta al cuore del problema “gli abitanti sono stati invogliati a comprare casa in un nuovo quartiere modello con piscina, parco sotto casa, scuola materna, centro commerciale, studentato, RSA, filari alberati e una metrotramvia che collega in pochi minuti a due metropolitane: tutto sulla carta”.

La reazione tanto accesa della signora Scavuzzo di fronte a una normalissima divergenza di valutazione mi ha invece stupito e ho cercato di interpretarne le ragioni. Ripensandoci a freddo, mi sono resa conto che il “nervo scoperto” che ho toccato non riguarda solo il Quartiere Adriano, quanto il controverso tema della partecipazione. Da tempo la cittadinanza attiva (ritorno di nuovo a questa formula, abusata) si pone domande su che cosa sia la partecipazione nella pratica quotidiana, su come vada espressa, vissuta. Personalmente, ma qui potrebbe aprirsi un dibattito a più voci, mi chiedo se a questa parola tutti diano lo stesso significato, cittadini e istituzioni. È da qui che si snodano i miei dubbi. Fin troppo chiaro che un’amministrazione per poter agire in modo efficace e costruttivo non possa dibattere ogni proposta, progetto e percorso con tutta la collettività o con gruppi organizzati di essa; ed è verissimo che a una rappresentanza, proprio perché eletta, si riconosce una responsabilità, nonché una legittima delega. Tutto sembra chiaro, quindi, e il lavoro della Giunta e della Vicesindaco non è mai stato oggetto di discussione.

Sarà allora, forse, che tutto questo parlare e parlarci addosso – negli ultimi tre anni – di progetti partecipativi, tavoli di confronto, comitati, ComitatixMilano ci deve avere evidentemente confuso un po’ le idee. Qualcuno tre anni fa aveva iniziato insieme a noi una bellissima avventura fondata e incentrata proprio sulla partecipazione: intesa non solo come ascolto reciproco, ma soprattutto come condivisione di intenti, tensione comune verso il cambiamento, e sinergia di obiettivi; oserei dire anche di metodi, o almeno a tanto si aspirava. Nel senso che i miei interessi e i tuoi rispetto al miglioramento di Milano non sono altri, ma diventano esattamente gli stessi grazie al lavoro svolto insieme, all’interscambio di competenze. Tutto questo però non basterebbe: gli obiettivi diventano comuni anche grazie a una sorta di “empatia” che ci dovrebbe porre – sebbene, come è giusto, soltanto a tratti – tutti sullo stesso piano. Per centrare questa condivisione abbiamo lavorato come volontari nei Comitati e ci siamo abituati a considerare non estraneo quanto succede nella città, sul territorio.

Perciò ora ci permettiamo, con vero spirito critico e non con sparate da “fuoco amico” – e senza un briciolo di ironia, questo mi sento di assicurarlo – di fare il punto sullo stato di fatto del condividere, e non certo sui progetti avviati o compiuti con successo al Quartiere Adriano o altrove. Per riprendere l’affascinante metafora proposta, il medico di fiducia è stato chiamato, ma saranno i pazienti a decidere se la cura sperimentata in prima persona funziona in modo soddisfacente. E credo non ci si aspetterebbe, mai e poi mai, di essere attaccati da un consigliere comunale per la semplice ragione di avere espresso un’opinione contraria. Fosse pure un dissenso.

I Comitati (e forse altre realtà nate e cresciute in questi anni con gli stessi intenti) attraversano un momento di grande crisi. In molti se ne sono allontanati, forse anche rendendosi conto, come scrive la signora Scavuzzo, che “le parti non si devono scambiare, né intersecare. La confusione dei ruoli può ingenerare deresponsabilizzazione e non ci serve che le responsabilità siano di tutti perché abbiamo imparato che poi finiscono con l’essere di nessuno” e che “non mi convince chi vuole sostituire alla politica delle istituzioni … quella di gruppi più o meno organizzati di cittadini”. È così che molti milanesi volenterosi, stanchi di organizzare solo piccoli eventi di quartiere, si sono ritirati nelle loro vite, nel loro mestiere. Certo, non escludo che in questo ritirarsi abbia giocato non poco la convinzione che chi amministra ora la città è qualcuno di cui potersi fidare. E un’altra volta lo dico senza ironia, perché in questa Giunta mi riconosco e ho la massima stima di chi ne fa parte. Ciò che “sembra non funzionare ancora” è motivo di dispiacere, un punto perso e non segnato.

Unica perplessità: nel momento in cui ci si è resi conto, per esperienza diretta, che la partecipazione come era stata presentata in campagna elettorale era impraticabile in una città come Milano – che ha ereditato problemi immensi oltre ai buchi economici – allora perché non riconoscerlo apertamente? Perché rischiare invece di lasciar finire le cose, in questo caso porto l’esempio dei Comitati, per esaurimento e per inerzia, in un continuo dibattere che non arriva a un fine? Per quanto mi riguarda credo che, a parte le istituzioni, neppure i cittadini milanesi fossero pronti per la partecipazione. O meglio, che lo fosse soltanto chi se ne è costruita una esperienza nel tempo, perché da sempre attivo sul territorio o impegnato politicamente. Ma la partecipazione non si è andata affatto allargando ad altri soggetti, si rimane sempre gli stessi, un po’ “si brontola” e un po’ si propone, un po’ si cercano nuove strade, un po’ ci si parla sempre in modo autoreferenziale. Un po’ ci si perde in interminabili riunioni, un po’ si pensa a dove si sta andando e dove si ha sbagliato. Sì, dove noi cittadini abbiamo sbagliato.

Nella mia esperienza, di una cosa in particolare mi sono accorta: che per quanto propositivi si possa essere, e ricchi d’iniziativa, arriva un momento in cui la buona volontà, il tempo profuso e l’impegno (anche autofinanziato) non bastano a realizzare i progetti, anche se si tratta solo dell’aiuola sotto casa, perché si rendono necessari la collaborazione e il benestare delle istituzioni, degli assessori e dei loro funzionari per approvare e appianare gli ostacoli burocratici. Davanti ai quali molti mollano il colpo. Ma soprattutto si chiedono “scusate, in tutta sincerità, avete ancora bisogno di noi”?

 

Eleonora Poli

 



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