11 settembre 2012

IL GIARDINO ALLA ROTONDA DELLA BESANA


Ho letto sul Corriere della Sera del 25 giugno che dopo due anni i lavori di restauro della Rotonda della Besana stanno per concludere un operazione di valorizzazione di questo interessante monumento.

In occasione di una visita a una mostra realizzata dal Comune nella Chiesa di San Michele ho percorso lo spazio tra la chiesa e il porticato che la circonda soffermandomi a godere del variare dei punti di vista lungo il suo suggestivo sviluppo curvilineo, dall’esterno come dall’interno. Ho abitato per quindici anni nella vicina piazza Cinque Giornate e i prati intorno alla Rotonda costituivano la meta delle passeggiate con il mio cane che lì liberava le sue energie giovanili in corse sfrenate. Il mio primo incontro con la Rotonda l’ho avuto all’inizio degli anni ’60 come studente proveniente da Parma iscritto al primo anno di architettura. Penso che che i compagni della Facoltà di Architettura ricorderanno l’esercitazione dell’anno che si svolse all’interno della Rotonda, allora invasa da una fitta vegetazione spontanea, per farne il rilievo come utile base per il restauro che l’amministrazione comunale intendeva avviare. In realtà nessuno dei nostri elaborati fu ritenuto all’altezza.

Questo può dar conto di un approccio affettivo, ma la Rotonda esercita un fascino in sé che muove comunque a un godimento visivo, purtroppo talora impedito da una vegetazione, ora non più incolta, ma curata da giardinieri, che ostacola la vista d’insieme dell’architettura nascondendo ampie sequenze del suo sviluppo.

L’identità formale della Rotonda si coglie già dalle rappresentazioni cartografiche sia quelle storiche, dove emerge nel suo “splendido isolamento”, sia nella cartografia recente, dove per la sua forma conclusa e riconoscibile emerge da un contesto urbano densamente edificato.

Quando architettura e verde si integrano – Nel rapporto fra architettura e vegetazione la tipologia delle ville storiche con parco rappresenta il classico esempio di perfetta valorizzazione reciproca delle due componenti governate da una medesima volontà progettuale, espressione della cultura del tempo. Bernard Lassus descrive la progressiva integrazione tra natura e architettura proponendo il concetto di “luogo intermedio” che utilizzerà nell’inserimento paesaggistico dei suoi progetti infrastrutturali (1)

Per meglio comprendere la nozione di luoghi intermedi, occorre riferirsi agli alberi potati del giardino classico francese, collocato tra castello e foresta. Questi oggetti, effettivamente geometrici come il castello, ma naturali come gli alberi liberamente conformati delle foreste, prendono a prestito la loro natura dalle due entità tra le quali sono collocati, foglie e rami della loro vegetazione dalle foreste selvagge, forme regolari dal castello: eppure questi alberi potati sono divenuti oggetti particolari, totalmente nuovi intermedi, né castello, né foresta. Detto in altre parole essi sono contemporaneamente oggetti e relazioni tra entità, alle quali essi servono come legami, mentre affermano le loro differenze“.

La difficile integrazione del verde nel Centro storico – L’ipotesi di integrare con nuovi impianti arborei spazi urbani di consolidata identità storica non sempre è stata ritenuta un’iniziativa qualificante, come dimostra l’accoglimento dell’intenzione del Maestro Claudio Abbado e dell’architetto Renzo Piano di realizzare in piazza Duomo un boschetto come quinta verde. La proposta è stata accolta con entusiasmo da chi la considerava un accrescimento della dotazione verde della città sempre ritenuta quantitativamente carente, mentre da parte di altri, con riferimento allo specifico carattere di quel luogo, si è ritenuto che il progetto, introducendo elementi estranei alla composizione del contesto, producesse una discontinuità formale dissonante. ArcipelagoMilano nell’edizione del 23 novembre 2009 ha dato largo spazio a questa seconda interpretazione con l’editoriale di Luca Beltrami Gadola, con scritti di Oreste Pivetta e di Jacopo Gardella, che così conclude il suo articolo: “Gli alberi del maestro Abbado non vanno intesi alla lettera; né concepiti come un elevato numero di esemplari di cui occorre trovare la collocazione all’interno dell’abitato; al contrario vanno interpretati simbolicamente come un invito a fare della città e dei suoi dintorni un sistema più armonico“.

La difesa dei “nostri” alberi. – Noi percepiamo gli alberi nel nostro ambiente quotidiano come componenti vive con le quali intratteniamo un rapporto emotivo che ci spinge a difenderne la sopravvivenza quando venga minacciata dalla realizzazione di servizi della città di cui potremo anche beneficiare come Metropolitane, parcheggi, nuove strade. Ci troviamo di fronte a due interessi collettivi contrapposti che richiedono un’attenta valutazione dei relativi costi e benefici; il costo che non vorremmo pagare è la rinuncia a far valere il principio di tutela di un bene collettivo come il patrimonio vegetale adulto non trasferibile altrove né sostituibile alla pari. Il dialogo tra i cittadini e l’amministrazione pubblica, anche attraverso consultazioni popolari, costituisce la premessa per un equilibrato compromesso che permetta di soddisfare le necessità funzionali compatibilmente con la salvaguardia di valori culturali sostenuti dalla comunità locale.

Il verde per il verde – Una fortunata cultura ecologista ha portato a un apprezzamento del verde secondo criteri talora prevalentemente quantitativi, comunque e ovunque esso sia presente. Un caso emblematico è dato dalla vegetazione spontanea che si è formata nel pluriennale periodo di sospensione dell’attività di cantiere nel bacino della Darsena parzialmente prosciugato per rendere possibili le necessarie indagini archeologiche. Negli articoli apparsi sulla stampa la difesa di questa vegetazione casualmente formatasi pareva prevalere sulla tutela di una testimonianza storica come la Darsena, parte integrante del raffinato sistema idraulico dei Navigli Lombardi formatosi nel corso di secoli. Ancora oggi 5 agosto 2012 è apparso su La Repubblica un articolo di Paolo Hutter per la conservazione di questa “Oasi in Darsena” pur in presenza di un progetto approvato dal Comune di Milano e in fase di prossima attuazione, che fondamentalmente si propone di restituire alla Darsena la sua funzione storica di Porto.

Conclusione
– Tornando al caso della Rotonda della Besana ci troviamo di fronte a una architettura di grande interesse il cui progetto originario non prevedeva un giardino diversamente dalle ville storiche.

Lo spazio tra la chiesa e il portico non dovrebbe essere considerato un’area disponibile per sistemazioni a verde che privilegino il rapporto reciproco fra alberi e siepi come in un giardino di quartiere, ma è uno spazio qualificato nel quale il progetto del giardino deve recuperare il rapporto di valorizzazione dell’architettura preesistente. Fondamentalmente favorendo la fruizione visiva d’insieme di una forma complessa la cui percezione varia continuamente con lo spostarsi dell’osservatore. La massa dei cespugli di grande dimensione può dar luogo a un inopportuno “effetto ostruttivo” che compromette questo tipo di fruizione. Ma occorre tenere conto anche del possibile “effetto intrusivo” che alcune funzioni innovative potrebbero causare. Lo stesso progetto della città dei bambini può costituire un rischio in tal senso come attualmente evidenzia anche un parco giochi sia pure di contenuta superficie già realizzato nell’area.

 Umberto Vascelli Vallara

 (1) La citazione deriva dalla relazione tenuta da Bernard Lassus a Milano nel 2003 nell’ambito delle manifestazioni promosse da Ministero dei beni e delle attività culturali dalla Regione Lombardia per il semestre di presidenza italiana, successivamente pubblicata sul sito del Ministero nel 2006. L’applicazione specifica è riferita a “L’area di riposo di Nimes – Caissargues: un luogo intermedio”

 



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