23 novembre 2009

DOPO ABBADO: RIFORESTARE MILANO?


La generosa proposta del maestro Claudio Abbado di rientrare a Milano e dirigervi opere e concerti, soltanto dopo che la città abbia attuato la piantumazione di 90mila alberi (novantamila), va interpretata come una promessa di aiuto ad una città troppo povera di verde, ed un invito a ripristinare il gradevole spettacolo dei molti giardini, pubblici e privati, che abbellivano la Milano ottocentesca.

La medesima proposta tuttavia non va presa alla lettera né tradotta puntualmente in una messa a dimora di tutti quegli alberi, qualora si intenda distribuirli lungo le strade e nelle piazze della città.

Il verde richiesto dal maestro Abbado va regalato alla città ma non collocato dentro alla città; va offerto in dono ai cittadini, ma non imprigionato tra le abitazioni dei cittadini. Gli alberi che si vogliono impiantare vanno considerati una tutela per la salute degli abitanti, ed un abbellimento del paesaggio urbano; non vanno al contrario interpretati come un travestimento delle strade, come una sfilata di esemplari botanici; come un addobbo da carnevale in chiave silvestre. Altrimenti si rischia di cadere nella ridicola farsa di via Monte Napoleone, dove gli alberi spuntano dal tetto di tante finte automobili in plastica: ultima trovata della nostra Amministrazione Comunale, fatta passare come sofisticato allestimento natalizio, con il quale si crede di essere originali e si è invece grotteschi.

Via Manzoni è sempre stata una via urbana chiusa fra case, mai un viale fiancheggiato da alberi. Piazza del Duomo è sempre stata una piazza lastricata e circondata da edifici, mai un appezzamento di parco. Via Orefici e Piazza Cordusio, sedi del commercio e degli affari, sempre affollate ed intensamente frequentate, mai hanno visto la presenza di un solo albero.

Del resto, ci si è mai domandato come sia possibile far stare in piedi tutti quegli alberi? Se trapiantati in vasi da serra non potranno certo raggiungere grandi dimensioni; e quindi, piuttosto che alberi allineati lungo un viale cittadino, sembreranno alberelli esposti in un vivaio.

Se radicati nel terreno, implicheranno lo sventramento del lastricato e lo scavo di un’ampia fossa, con la certezza di incontrare tutta la fitta rete di impianti tecnici che corrono nel sottosuolo stradale: fognature, cavi elettrici, tubi del gas, Un lavoro lungo, complesso, difficoltoso; un insostenibile impegno di tempo e di soldi.

Se proprio si intende portare del verde nel cuore della città, questo dovrà ridursi a poche decine di esemplari, con i quali ricreare, in luoghi di particolare qualità architettonica, lo stesso fascino avvertibile in tante piccole e antiche piazze milanesi.

In alcune di queste piazze, liberate dal transito e dalla sosta dei veicoli, un unico grande albero sarebbe sufficiente a ricreare l’atmosfera fresca e vivace dei giardini di una volta: giardini in gran parte abbattuti, a partire dall’ultimo dopoguerra, per opera della cieca speculazione edilizia. Piazza Mercanti, Piazza Sant’Alessandro, Piazza San Sepolcro, Piazza Borromeo (purtroppo molto rovinata da un invadente parcheggio sotterraneo), Piazzetta Belgiojoso, Piazzetta dei Bossi, Piazza San Fedele (tolti i ridicoli alberelli esistenti), e pochi altri slarghi milanesi, – nascosti, isolati, raccolti -, sarebbero altrettanti luoghi urbani adatti a ricevere del verde; non tuttavia sotto forma di misere aiuole o di sparuti alberelli (come malauguratamente è avvenuto in Piazza della Scala), ma sotto l’aspetto di un grande albero frondoso (oggi trapiantabile senza difficoltà), capace di riempire da solo l’intero invaso delle piccole piazze.

Poiché sarebbe sbagliato disseminare il verde e disperderlo a caso nelle strade e nelle piazze di Milano, ci si domanda quale corretta collocazione si creda giusto dargli. Una collocazione che risulti utile per il bene della città; e che serva a rendere quest’ultima più salubre, accogliente, riposante; in conclusione più adatta a viverci gradevolmente.

Per ottenere tutto ciò il verde va collocato nella cintura periferica, dove può essere distribuito in grandi estensioni; dove può affiancarsi alle coltivazioni agricole esistenti; dove può creare un paesaggio che sia di invito allo svago, ma anche di incentivo ai prodotti dei campi; dove può costituire una alternativa efficace e benefica all’aria inquinata della città. Nella fascia a sud di Milano da anni è stato costituito il Parco Agricolo Sud. Forze ostili lo minacciano continuamente, progettando e realizzando invadenti edificazioni; e si accaniscono ad eroderne le superfici ancora libere. Gli alberi di Abbado potrebbero costituire un simbolico esercito della salvezza, pronto ad opporsi ai malintenzionati che del Parco Agricolo Sud vogliono fare una ricca area residenziale, riempita di lussuosi condomini, ed immersa nel verde privato: un verde che verrebbe occultamente sottratto all’uso ed al godimento della intera cittadinanza.

Si profila nell’immediato futuro una grave ferita per il Parco Agricolo Sud: consiste nel previsto ampliamento del Centro di ricerca contro i tumori, costituito da tanti monotoni edifici orizzontali; mentre lo stesso Centro potrebbe svilupparsi in altezza, ed occupare minore superficie di terreno agricolo.

Un’altra grave ferita minaccia di essere inferta sempre allo stesso Parco: sono i numerosi e giganteschi edifici progettati per accogliere la EXPO 2015, mentre la stessa EXPO potrebbe essere ospitata nei nuovi padiglioni della Fiera di Rho, ed evitare notevole consumo di suolo ancora verde.

Contro queste incombenti minacce, gli alberi di Abbado vanno intesi come una simbolica barriera di verde, un coraggioso ostacolo naturale, una garanzia di aria salubre ed un incremento di qualità estetica estesa a tutto il territorio.

Sarebbe un crimine (purtroppo oggi incombente) voler riempire la fascia agricola di sparse costruzioni, così come sarebbe una aberrazione (purtroppo ampiamente diffusa) voler disseminare a caso una frammentaria vegetazione all’interno dell’area urbana. La città sia città, e resti tale; abbellita solo da qualche albero. La campagna sia campagna, e resti tale; formata da un regolare alternarsi di campi e di boschi. Fra l’una e l’altra un rapido collegamento, assicurato da trasporti pubblici o privati, permetterà di superare la reciproca distanza e darà vita ad un sistema integrato in cui mondo artificiale (città) e mondo naturale (campagna) si completeranno reciprocamente.

Gli alberi del maestro Abbado non vanno intesi alla lettera; né concepiti come un elevato numero di esemplari di cui occorre trovare la collocazione all’interno dell’abitato; al contrario vanno interpretati simbolicamente come un invito a fare della città e dei suoi dintorni un sistema più armonico, un luogo dove l’utilità del costruito non sia disgiunta dalle attrattive del naturale.

Jacopo Gardella



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