23 novembre 2009

GLI ALBERI DI ABBADO


A proposito degli alberi a Milano. Credo che la richiesta di Claudio Abbado sia stata una generosa provocazione per amore di questa città e che l’idea di Renzo Piano sia simpatica e soprattutto improvvisata sulla linea del decoro urbano che piace tanto all’amministrazione che pretende di governare Milano, e sulla linea peraltro di molti progetti dell’architetto: anche sul retro della nuova sede del Sole24ore, Renzo Piano ha voluto alzare un boschetto, per coprire le mense e altri servizi. Francamente chi lo vede il boschetto del Sole24ore nel disastro di quell’incrocio folle che si chiama piazzale Lotto? Vorrei dire che i problemi di Milano sono ben altri, senza passare per un teorico del “benaltrismo”. Credo, infatti, fermamente nel decoro urbano o, meglio, in un’urbanistica minimale che ridisegni con cura anche piccoli tratti di città. Ricordo un progetto di decenni fa di Ignazio Gardella per piazza De Angeli: semplicemente lievi modifiche al tracciato delle vie per restituire a quest’altro incrocio (perfido, anche se meno folle di piazzale Lotto) il senso di una piazza.

Del resto in questa direzione mi pare andassero alcune proposte di Luca Beltrami Gadola lette su Repubblica: i “boschetti” davanti all’orribile cartellone pubblicitario di Armani o ai Bastioni di Porta Volta (riprendendo peraltro antichi itinerari del verde milanese). Ma si può immaginare allo stesso modo piazza del Duomo? Francamente penso di no. Credo che piazza del Duomo non abbia bisogno di qualche albero o addirittura credo che qualche albero le farebbe male. Forse non riesco a togliermi dagli occhi i penosi giardinetti di piazzale Duca d’Aosta (fronte stazione e lati). O forse la questione è più profonda: chiunque di noi avrà visto qualche paesaggio della piazza ottocentesca e avrà potuto avvertirne le dimensioni originali. Sono convinto che intanto piazza del Duomo andrebbe ripulita e questo non sarebbe difficile. Immagino con orrore le prossime installazioni natalizie. Ma sono convinto che piazza del Duomo andrebbe “ricostruita”, ridisegnata, ripavimentata, modificata in alcuni accessi. Un concorso d’architettura di un ventennio fa offrì qualche indicazione.

Siccome i problemi sono “ben altri”, ricorderò ancora che gli alberi c’erano, e sono stati abbattuti, ad esempio dove oggi si alza il mostro della nuova sede regionale, mostro perché calato come una gigantesca astronave stellare con brutalità in un contesto urbano che evidentemente non lo sopporta: basta fare un giro e osservare la connessione con gli edifici presenti. Senza contare la congestione, cioè il traffico, lo smog, eccetera eccetera. Mi sono sempre chiesto, ingenuamente, perché non l’abbiano costruito nelle aree di Rho-Fiera, fortemente infrastrutturate (metropolitana, treno, autostrada, aeroporto): avrebbero valorizzato quella zona e il quartiere espotivo, dando oltretutto il segnale di un’apertura dell’istituzione verso l’intera regione, di una “vocazione” lombarda. E’ un esempio. Poi si dovrebbero citare le varie altre storie: Garibaldi, Fiera, eccetera eccetera. Dalle quali si può dedurre che la stella polare dei nostri amministratori (i peggiori, salvo rare eccezioni, dal dopoguerra: basterebbe considerare la sorte subita dal povero assessore Croci…) sia non il verde o la qualità della città o la sua accessibilità o la sua fruibilità da parte di chi ci vive o ci lavora, ma soltanto la “volumetria” (in rapporto ovviamente alla “valorizzazione”, cioè alla speculazione) con un piano che fa metri cubi, ritagliando edificabilità anche nel cortile di casa (basta, ancora, dare un’occhiata in giro), arricchito da invenzioni che si possono definire solo demenziali (vedi il tunnel dell’assessore Masseroli, da un capo all’altro di Milano).

Non è questione di destra o di sinistra (Parigi moderna è stata costruita da un barone che volle viali larghi per impedire le barricate): è questione di cultura, di responsabilità istituzionale, di rapporto autentico con i cittadini e con i loro bisogni, di banali nozioni, di due conti economici. Scoraggia constatare Milano si deve lasciare alle spalle altre occasioni, perché manca un disegno (per la città verso la regione, nella città stessa tra le varie aree), perché non si capisce quale risorsa (economica) sia la “qualità” urbana (diciamo pure la bellezza), perché anche l’Expo non sarà (ma sarà?) un’opportunità di ripensamento e di riflessione sul contesto cittadino (l’unico elemento forte in questo senso è stato il “canale navigabile”, ormai – mi sembra – dimenticato), perché pare ci si debba sempre ancorare al “rito ambrosiano” (non di Ambrogio ma della cementificazione del dopoguerra).

Oreste Pivetta



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