8 marzo 2011

MILANO: LA LOCOMOTIVA È FERMA


Se la “locomotiva Milano” sbuffa e arranca, facendo registrare un calo relativo del Pil – nell’arco dell’ultimo quindicennio – sia rispetto al resto del Paese sia soprattutto rispetto alla media delle metropoli europee confrontabili, quali Amsterdam Barcellona Monaco e Lione, bisogna chiedersi se il pur necessario e auspicabile cambio del macchinista sia sufficiente a dare vapore a una motrice logora e forse obsoleta. Da precisare subito, oltre alle doverose cautele sulla natura del Pil quale indicatore discutibile, che i dati pub-blicati (fonte Bankitalia e istituto Bak Basel, da La Repubblica del 24/2) si riferiscono a Milano – provincia (quella vecchia, ante scissione monzese) altrimenti non sarebbe possibile alcun raffronto con le città sopra citate, che godono da tempo di consolidate strutture amministrative e appropriati strumenti urbanistici di carattere metropolitano.

Certamente la competizione globale, in un contesto complicato e scosso da inediti eventi geopolitici, si gioca principalmente sul terreno della formazione, della ricerca e dell’innovazione. La sfida riguarda in primo luogo il “capitale umano”, la capacità di utilizzare le conoscenze, l’informazione e la comunicazione ai fini della produzione e dello sviluppo. Però qui francamente l’istituzione locale, pur trattandosi di un grande Comune, può fare poco. Men che meno la Provincia dotata di scarse competenze e peso politico pressoché nullo. Per far girare il “software” del sistema economico occorrono politiche di vasto raggio e poteri normativi che non sono, se non indirettamente e marginalmente, nelle disponibilità di un Sindaco per quanto rappresentativo e prestigioso.

Tuttavia la capacità di attrarre investimenti dipende in buona parte anche dal quello che potremmo definire “l’hardware” del sistema ovvero le condizioni territoriali, ambientali e logistiche che fanno valutare e decidere rispetto ad alternative concorrenti. La qualità urbana diventa allora un fattore determinante del “capitale fisso” comune, che va oltre i cancelli della singola impresa ma concorre in buona sostanza all’efficienza e competitività dell’insieme. Su questo versante il ruolo dell’istituzione locale è determinante. Occorre allora chiedersi se l’indebolimento di Milano sia dovuto solo alle indubbie inadeguatezze del centro – destra responsabile delle trascorse tre legislature, e dell’ultima in particolare, o se la causa sia più profonda e strutturale. Allorquando se non piove per trenta giorni l’inquinamento atmosferico va alle stelle ma se piove per tre giorni consecutivi straripano Seveso e Lambro; laddove all’assedio quotidiano dei pendolari corrispondono trasporti extra-urbani costosi e inefficienti e la congestione del traffico abbassa la velocità commerciale a livelli da trazione animale, ecc. viene da chiedersi cosa possa fare un Sindaco, per quanto probo e santo, se non si adeguano le condizioni strutturali e gli strumenti istituzionali per governare la città reale che, a differenza della città legale, ha dimensioni e caratteristiche assolutamente metropolitane.

Non sappiamo come sarebbe oggi Milano se la relativa legge istitutiva, vigente invano da oltre un ventennio, fosse stata attuata. Sappiamo però che il Pil pro – capite delle città metropolitane europee assimilabili è aumentato dal 1994 al 2009 del 28% contro l’1% della provincia di Milano, per altro di seguito azzoppata nella gamba dell’industriosa Brianza. Infatti non solo Londra e Parigi bensì anche Lione dal 1969 e Francoforte dal 1974, ad esempio, sono dotate di organi sovracomunali unitari e di piani urbanistici cogenti che coprono vaste aree metropolitane. Guarda caso negli stessi anni anche da noi si era avviato l’importante esperimento del PIM – Piano Intercomunale Milanese (e in parallelo del CIMEP – Consorzio) quale embrione di governo del territorio metropolitano, purtroppo abortito prima con la strisciante deregulation degli anni ottanta e poi con l’avvento del particolarismo leghista.

Importanti leggi in controtendenza, quali la L.142 del 1990 e le “Bassanini” del 1997 – 98, tese a razionalizzare l’interno degli enti pubblici e di conseguenza i rapporti tra di essi, sono state applicate solo parzialmente, per gli aspetti tecnici e burocratici, ma non hanno lasciato traccia nella cultura della classe politica, che infatti nell’ultimo decennio ha dato il peggio di sé portando alle infelici conseguenze attuali. Le stesse parentesi di governo di centro – sinistra alla Provincia (Giunte Tamberi ’95 – ’99 e Penati ’04 – ’09) non hanno lasciato segno, rinunciando ad adempiere ai piani territoriali di coordinamento ai quali erano pure tenute e arrendendosi all’anarchia di 189 piani comunali elaborati autonomamente e separatamente gli uni dagli altri (per inciso: non è solo il famigerato PGT milanese, ma la loro sommatoria che produrrà effetti imprevedibili, forse prorompenti forse deprimenti, sicuramente incontrollabili).

Il trentennio craxian – berlusconiano (la vicenda PAT, Pio Albergo Trivulzio, ne rappresenta la continuità e l’emblema) si chiude pertanto, anche nella realtà milanese e lombarda, con una seria crisi economica e occupazionale che accompagna la bolla immobiliare e una situazione di diffuso degrado territoriale e ambientale. E le prospettive? Purtroppo, al momento, solo deregulation galoppante e un improbabile “federalismo” che affronta il problema dalla coda, dal lato delle entrate fiscali, invece che dalla testa: la razionalizzazione dei centri di spesa e di decisione! Non sarebbe dunque giunta l’ora di contrapporre una fase “costituente” che impegni il prossimo Consiglio Comunale, meglio se con Pisapia Sindaco ma, anche nella malaugurata ipotesi contraria, con una opposizione non estemporanea bensì consapevole di un progetto ambizioso e tuttavia coerente e concreto, moderno ed europeo. Per mettere finalmente in discussione la mitica “cinta daziaria”, geniale intuizione della borghesia imprenditoriale e commerciale a cavallo tra i due trascorsi secoli (la città metropolitana dell’epoca, destinata a formare la capitale economica e morale dell’Italia da poco unita) ma risalente appunto al tempo in cui i treni andavano a vapore.

Valentino Ballabio

 

 



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