12 ottobre 2010

COMUNICARE IL TERRITORIO: L’EX CEMENTIFICIO DI ALZANO LOMBARDO


 

Autunno 2010, meno di cinque anni ci separano dall’Expo e mentre ancora si discutono modalità, tempi, fondi e gestione degli spazi legati alla manifestazione, Milano e l’Italia cercano di comunicarsi in modo nuovo: l’identità metropolitana del capoluogo lombardo si propone sempre più dinamica, “verde”, accattivante, allo scopo di attrarre quei ventuno milioni di visitatori attesi per la tanto dibattuta esposizione universale del 2015. Del resto, ai grandi eventi è inevitabilmente associato il discorso promozionale legato ai luoghi, per cui la pubblica amministrazione cittadina, in accordo con i soggetti privati, promuove una serie d’iniziative orientate al rebranding dell’identità locale. È questa la motivazione che spinge Milano, la “Cenerentola d’Europa”, ad apparire sempre “più verde” e “meno grigia”: la promozione di misure anti-inquinamento, come Ecopass, o la costruzione di nuovi palazzi all’insegna del “verde verticale” ne sono un chiaro segnale.

Allo stesso modo, anche altre città italiane seguono l’esempio del capoluogo lombardo cogliendo l’avvicinarsi dell’evento Expo come catalizzatore dell’innovazione e del progresso. Tra queste Bergamo, dove vivo, una delle province che negli ultimi mesi hanno siglato un’intesa con la città di Milano esprimendo la volontà di consolidare il rapporto tra l’Expo e il territorio e di valorizzarne perciò le ricchezze. Cittadina con una solida identità locale, Bergamo rimane particolarmente legata agli aspetti della sua tradizione -dal taleggio, la polenta e il Gioppino, alla sua articolata specializzazione industriale nei settori meccanico, tessile, del legno, siderurgico e cementifero- senza però sottrarsi al forte desiderio di innovarsi. Proprio per questo, tra le iniziative promosse dell’Assessorato alle Grandi infrastrutture, Pianificazione territoriale ed Expo in virtù del cammino verso il mega evento, lo scorso 5 settembre i rappresentanti di Comune e Provincia hanno raccontato in modo inedito i luoghi e la storia dell’ex cementificio di Alzano Lombardo.

Fondata nel 1883 dalla famiglia Pesenti, la fabbrica del bergamasco è stata per lungo tempo fulcro di un’attività che con gli anni, grazie alla capacità di sfruttare il suo legame con il territorio e le sue risorse -in particolare l’alta percentuale di silice nelle rocce lungo il fiume Serio- è cresciuta fino a diventare la prima in Italia nel suo genere, nonché la più innovativa nell’Europa industriale di primo Novecento. Dismessa nel 1968 per “perdita di capacità tecnologica”, nel 1980 il celebre cementificio fu dichiarato monumento d’archeologia industriale, nonostante la chiusura del sito produttivo ne abbia poi determinato il degrado e l’inesorabile abbandono.

Personalmente, ho condiviso l’entusiasmo delle autorità locali e provinciali che domenica 5 settembre hanno presentato a un’interessata platea l’iniziativa di recupero e riqualificazione del sito dismesso, proprio in vista dell’Expo. Nella cornice dell’ex stabilimento, resa affascinante dalle luci del tramonto all’esterno e da una strategica illuminazione degli androni all’interno, si è parlato di conservazione, recupero, riconversione e rivalorizzazione di una rimanenza architettonica unica nella sua natura. La struttura, composta da muri alti, colonnati, cunicoli, due camini che sfiorano i quaranta metri e altri quattro monchi, appare tutt’oggi la scenografia ideale per fare dell’edificio un tempio della tradizione.

Mi è apparsa evidente la volontà delle autorità locali di fare del peculiare monumento di Alzano Lombardo il simbolo di una rinnovata spinta progettuale e dell’impegno condiviso nel recuperare e trasmettere quei contenuti preziosi ancora celati sotto polvere e ruggine. L’obiettivo è quello di creare una scena nuova, che possa essere animata grazie agli investimenti favoriti dall’evento Expo –si tratta di trenta milioni di euro.

A questo proposito, Philippe Daverio, storico dell’arte presente ad animare l’incontro, ha evidenziato il fatto che l’epoca attuale sperimenta la transizione verso un nuovo “cristianesimo produttivo”: fabbriche chiuse e ormai prive di funzione economica diventano nuove scenografie, non più spazi dedicati all’industria ma siti per l’elaborazione e divulgazione della conoscenza. E perché non condividere quanto detto: i valori di ieri, che riaffioreranno grazie al recupero dell’ex fabbrica come luogo di formazione, devono diventare esempio per rendere più solidi i valori di oggi.

Con il suo solito brio Daverio ha poi tratteggiato alcune interessanti suggestioni che richiederanno tuttavia una maggiore concertazione tra le varie forze in gioco. Certo è che fare dello scheletro del cementificio il “santuario delle buone pratiche del passato” non potrà limitarsi a una mera operazione anacronistica. Al contrario, occorrerà concentrarsi sull’identità del luogo nella piena consapevolezza della sua dinamicità, affinché l’esempio del passato possa essere il punto di partenza di un percorso di formazione al passo con i tempi. Prescindere dalle logiche museali è infatti fondamentale per cogliere al meglio le esigenze di un tessuto urbano che cresce e si trasforma tra tradizione e globalizzazione, dove la conservazione dell’identità locale si confronta con l’esigenza di innovarsi sull’onda delle dinamiche globali legate ai grandi eventi.

 

Sara Bonanomi



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