21 settembre 2010

LA CITTÀ IN FORMA DI BANCA


 

Da quando i documenti di programmazione territoriale hanno cessato di essere strumenti urbanistici e sono diventati strumenti di carattere economico-finanziario, andrebbero valutati, appunto, con criteri economici più che sotto il profilo del disegno urbano che sottendono. Il quale, tra l’altro, è sempre più oscuro e nel suo compimento comunque sarà molto differente dalle previsioni originarie. Questo non suona troppo bene per la città, ma è fuor di dubbio che la finanziarizzazione delle operazioni immobiliari porta con sé l’evanescenza dei tempi di realizzazione degli interventi e il loro adeguamento alle molteplici derive congiunturali. In ogni caso gli effetti economici degli strumenti di programmazione sono immediatamente effetti sociali e quindi l’argomento è tutt’altro che privo di interesse per le organizzazioni politiche e per i cittadini, anche se il tradizionale dibattito urbanistico finisce necessariamente fuori gioco. Del resto il lessico che struttura la letteratura degli strumenti di governo del territorio non lascia dubbi. Borsa (dei diritti edificatori); perequazioni (degli interessi immobiliari); concertazione (con i possessori dei beni immobiliari); valorizzazione (degli asset e dei patrimoni immobiliari). E così via.

Non è necessariamente un male che sia così: potrebbe essere l’occasione per un’operazione di disvelamento culturale, per chiudere definitivamente con l’ipocrisia che ha sempre accompagnato le grandi vicende riguardanti la destinazione dei terreni. In fondo è sempre stato così, le partite contabili del comune e quelle degli operatori immobiliari e finanziari non hanno quasi niente in comune, sono del tutto incommensurabili: che ricaduta ha avuto sul comune di Sesto la valorizzazione delle aree Falck dal 2000 a oggi? Stiamo parlando di una crescita del 230% senza che sia stato posato un solo mattone! Oppure, che beneficio trarrà il comune di Milano dallo scatto in borsa del fondo immobiliare Aedes a seguito degli accordi, tra il gruppo e il comune stesso, per le aree di via Rubattino? O ancora, i terreni expo, ceduti all’ente fiera per 130 milioni, ma che già si prevede varranno oltre 1000 milioni il giorno in cui andranno all’asta, cosa stanno portando in termini sociali alla città?

La produzione di valore attraverso i terreni riguarda tutte le fasi dello sviluppo immobiliare, ma il comune in questi processi è una specie di trader passivo, nel senso che, mentre le sue decisioni producono oggettivamente valore, il comune stesso ha solo spese e nessun vantaggio. I beni immobiliari, i terreni, infatti, sono diventati asset, beni liquidi spesso dispersi dentro grandi fondi immobiliari, a proprietà indivisa, dove le quote societarie sono del tutto svincolate dai singoli beni. Quindi la realizzazione edificatoria, l’atto produttivo che in definitiva porterà qualcosa di tangibile, buono o cattivo, alla città e qualche soldo nelle casse del comune è solo un momento, necessario ma non urgente, inerente l’intera operazione.

E qui, però, non si può dire che sia stato sempre così. Il primo fondo immobiliare chiuso in Italia è del 1994, ma da allora questi strumenti si sono moltiplicati, per numero e tipologia. In particolare sono cresciuti i fondi immobiliari speculativi. E parallelamente è cresciuta la presenza degli istituti di credito nel settore immobiliare, talché le banche possono ormai essere considerate il vero immobiliare collettivo del paese. La riforma bancaria degli anni trenta resecò la mostruosa fratellanza siamese tra banche e industria. Oggi tra gli analisti economici sono sempre più coloro che sostengono che occorrerebbe una riforma capace di separare banche commerciali e banche d’affari, capitali di rischio e capitali commerciali: in questo modo anche il settore delle costruzioni sarebbe indotto a confrontarsi col mercato reale, con le moderne esigenze dell’abitare e del produrre.

Il dibattito sulla città dovrebbe azzerarsi e ripartire da qui, perché se la città si auto programma a partire dalle esigenze speculative delle banche e delle istituzioni finanziarie per la comunità civile non c’è partita e tutti siamo destinati a diventare più poveri, più indebitati e sempre meno cittadini.

 

Mario De Gaspari



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