6 febbraio 2024

MILANO: IL TEMPO DELLE CORNACCHIE

Magari fosse solo quello


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Ci si mette anche la cornacchia. Il lugubre e gracchiante uccello, che popola ormai alcuni quartieri milanesi, ha scoperto che i cestini dell’immondizia nascondono avanzi di cibo. Dotato di non indifferente intelligenza e di un becco adunco vi si getta sopra e, appollaiato ai bordi, con il capino all’ingiù, rovista finché trova un pezzo di focaccia o di pizza o il resto di un più succulento piatto. 

Quando ha finito, ovviamente non si cura di raccogliere quanto ha seminato attorno per giungere al desiderato boccone. Ecco lì, davanti agli occhi del viandante, il desolante paesaggio di cartacce, di bottiglie di plastica, di sacchetti contenenti i residui dei cani, che ormai costituiscono la maggioranza della cittadinanza milanese, residui talvolta giudiziosamente raccolti dai proprietari, residui che così però finiscono a far mostra di sé lungo i marciapiedi.

Eliminare le cornacchie? Si sa che non si può. Non c’è rimedio. Peraltro non sarà solo loro la colpa, se una città come Milano appare più sporca di un tempo e sicuramente ben prima del loro arrivo.

Milano è sporca? Si potrebbe rispondere: prima di giudicare andate a Roma, dove imperversano le flotte dei gabbiani. Per fermarci al confronto tra le Capitali. Forse si potrebbe allungare lo sguardo verso altre metropoli europee: Parigi e Londra non stanno meglio. Colpa della malacreanza dei cittadini, colpa di quella soverchia abbondanza di merci e di imballaggi che ingombrano le discariche e i forni inceneritori. Non era così quando anche una bottiglia di vetro era un bene prezioso per molti, la plastica non era ancora arrivata e i cosiddetti “barboni” raccoglievano le cicche delle sigarette per riciclare il tabacco.

Se ci si addentra nel degrado milanese si finisce in un labirinto senza via d’uscita. Un quotidiano online ha inaugurato una rubrica che si intitola appunto “Degrado urbano” e che raccoglie le denunce con foto dei cittadini. Se ne leggono e se ne vedono di tutti i colori. Un rosario. Con la preminenza del tema “immondizia/immondizie”: si va dai depositi canini alle tradizionali cartacce, dagli abiti abbandonati da chi fa selezione tra quelli raccolti nei cassonetti gialli, dalle cucine a gas ai video dei computer o delle televisioni alle biciclette o alle motorette che restano legate ai pali dopo che qualcuno ha pensato bene di devastarle.

Con adeguata documentazione dell’universo mondo dei rifiuti e delle infinite varietà delle modalità di abbandono. Talvolta, in angoli occulti, compaiono pure sanitari elegantemente esposti accanto a sacchi di macerie, mattoni e ceramiche. Ma per una più corretta consapevolezza della dimensione di queste rovine bisognerebbe addentrarsi in quel non-luogo che è la campagna appena oltre l’ultima periferia. Si può trovare  di tutto, dai mattoni alle ruote, in una indescrivibile ricchezza.

Stranamente quasi non compare  nella classifica delle incurie o dei disservizi la voce “buche nelle strade”.  Invece si ripetono le contestazioni che riguardano fuochi d’artificio notturni, soste selvagge, monopattini lasciati di traverso, movide, giardinetti e parchi gioco ridotti dormitori pubblici, campi nomadi improvvisati che nel giro di pochi giorni scompaiono lasciando un carico inesauribile di sporcizia, dai carrelli della spesa alle carrozzine, dai vestiti alle coperte. 

Un capitolo consistente riguarda le piste ciclabili e qui si entra nel campo, doloroso, della cosiddetta mobilità alternativa. Sotto accusa sono soprattutto gli automobilisti che non esitano a disporre i loro suv di traverso, invadendo persino il gioiello di viale Monte Rosa. Non parliamo, tanto per citare un esempio, dell’incompiuta di via Novara, una striscia di bianco destinata a salvare il ciclista, divenuta fascia prediletta per vetture in seconda fila. Le cicliste e i ciclisti travolti e uccisi a Milano hanno mosso le coscienze e le proteste di molti, che hanno invocato protezioni. 

Nelle vesti dell’avvocato del diavolo, leggendo le dinamiche di certi incidenti, mi verrebbe da dire che bici e auto sono ormai incompatibili in una città come Milano, che troppo tardi ha cominciato a individuare e a realizzare piste ciclabili, in conflitto evidente adesso con un traffico automobilistico in costante caotica crescita, ben poco penalizzato dalla tassa d’ingresso. Soprattutto non le ha realizzate nei quartieri d’espansione, dove sarebbe stato possibile, non le ha progettate come occasioni di integrazione con i comuni della provincia, con le aree verdi, con i parchi. I grandi assi viari o i vialoni della circonvallazione, che dovrebbero connettere i quartieri e Milano all’area metropolitana, sono autostrade, lungo le quali neppure semafori, dissuasori, telecamere servono a indurre il rispetto dei limiti di velocità.

Servirebbero misure draconiane, divieti categorici, ma non si vede quale amministrazione oserebbe: si corre il rischio di inimicarsi belle fette di elettorato.  Da decenni mi pare non si discuta più di isole pedonali, mentre i progetti di zone a traffico limitato, Ztl, giacciono in qualche cassetto. Tante auto che corrono o che sostano dove non dovrebbero chiamano in causa il lavoro dei vigili, che appartengono alla nobile specie dei fantasmi. 

Mi correggo: nel mio quartiere (San Siro) li vedo all’uscita delle scuole a proteggere le auto in terza fila dei nonni e delle mamme in ansia e li vedo, in occasione delle partite, uscire dal bar che sta ben al di là dello stadio. Un caso personale: mi è capitato di assistere all’ascesa di un suv proprio al centro di un’aiuola, curatissima e fiorita, in una piazzetta a pochi metri dallo stadio, mi è capitato di chiamare i vigili e di sentirmi rimbalzato da un ufficio all’altro, perché nessuno aveva competenza per rimuovere quel veicolo e cancellare quell’insulto all’aiuola fiorita e ai cittadini che pagano le tasse. Noncuranza assoluta. 

Non ultima viene la movida, all’origine di rumore, di spazzatura, di violenza nella forma di risse tra ubriachi o di teppismo e di vandalismo: ultima moda scardinare tombini e scagliare le pesanti lastre contro le vetrine. Tra Isola, Darsena, corso Sempione e Arco della Pace, piazzale Loreto, Navigli, ormai è una giostra continua, senza pietà per chi ci abita attorno. Ma questo meriterebbe un capitolo a parte.

Appena oltre la movida aggiungerei le mense dei milanesi, che dall’epoca del Covid hanno scoperto l’aria aperta e amano mangiare o farsi l’aperitivo seduti ai tavolini che hanno ormai invaso ogni luogo. Corso Garibaldi, che godeva un tempo del suo bel fascino del “vecchio e pure malandato” è ormai ridotto a una tavolata continua come corso Como, alla pari degli ultimi tratti di corso Sempione, che era il lussuoso cannocchiale verso il Castello e che ormai soggiace alla cultura delle insalatone, della pasta al microonde e della birra. Con lo strascico vomitevole di lordure disseminate.

Non continuiamo. Proviamo a tirare le somme. Si dirà che quanto denunciato sopra appartiene alla sfera delle contraddizioni dell’età contemporanea. 

Intanto viene facile ai più, anche per la indiscutibile evidenza dei fatti, coniugare immigrazione a incuria e a imbarbarimento. Immigrazione si può associare pure a povertà estrema, disadattamento, abbandono, vite da strada, si può associare a microcriminalità, può diventare presenza mal tollerata. La stessa insofferenza la si indirizza nei confronti dei rom, loro soprattutto considerati i più frequenti responsabili di furti e di borseggi impuniti.

Colpisce l’indifferenza nei confronti del più attivo, generoso “veicolo” di sporcizia a Milano e non solo a Milano (e quindi la resistenza ad accettare qualsiasi forma di rimedio): l’aria. Come risulta dalle più recenti rilevazioni, Milano è una delle città più inquinate al mondo. Dati che vanno e vengono, contestati dal sindaco Sala. Certo che a Milano e nella pianura padana il celeberrimo e nefasto Pm10, le cosiddette polveri sottili, va spesso oltre la soglia consentita: se non lo sapessi, ha detto Sala, non cercherei di ridurre il traffico automobilistico. Colpa del tempo, anche, della pressione costantemente alta, della scarsità della pioggia, del vivere e crescere al centro di un enorme guaio che si chiama “modello di sviluppo”. Un guaio globale che vale anche per altro. Vedi alla voce immigrazione o alla voce traffico o alla voce consumismo. Ma questo non può assolvere sempre l’amministrazione e i cittadini, cui spetta la responsabilità della “manutenzione della città”.

Non so se esista una soluzione, una risposta a tutte le criticità ambientali del nostro vivere contemporaneo, perché certi processi ormai non possiamo invertirli. Ma qualcosa nel nostro piccolo potremmo fare: ad esempio una politica urbanistica che provi a mutare il destino concentrico (stavo per scrivere concentrazionario, un lapsus) di Milano alleggerirebbe la pressione sulla città, l’afflusso di auto e ridimensionerebbe i livelli dell’inquinamento. Contribuirebbe allo scopo lo sviluppo del trasporto pubblico. La bicicletta, cioè il mezzo più economico e meno inquinante, dovrebbe poter godere di percorsi facili e sicuri. Un brillante progettista potrebbe immaginare un disegno che promuova un crocicchio qualsiasi in una piazza vivibile. 

Ricordo come Ignazio Gardella provò a reinventare piazza De Angeli, restituendola ai pedoni. Naturalmente della sua proposta non se ne fece nulla. Poi, piccolo per piccolo, penso che ogni condominio dovrebbe farsi carico della pulizia dei pochi metri su cui si affaccia… Nulla probabilmente si può contro Amazon che ha progressivamente distrutto il minuto commercio sotto casa, desertificando le nostre strade, riducendo negozi e vetrine a empori di mobili scassati, polvere e ragnatele. Qualcosa si potrebbe decidere per limitare le affittanze brevi (a New York si possono solo affittare stanze della casa in cui si abita), fenomeno che ha mortificato il mercato degli affitti normali, impedendo alla gente normale dal mediocre reddito di vivere in città…

Si potrebbe insomma, se la politica decidesse di fare. Un risultato comunque nel frattempo s’è raggiunto, perché finalmente un principio di eguaglianza viene rispettato: ormai  neanche i quartieri dei ricchi vengono risparmiati dalle polveri sottili e dalla spazzatura.

Oreste Pivetta

 



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  1. Andrea VitaliC'È UN'ARIA NUOVA A MILANO! Questo lo slogan con cui Pisapia vinse le elezioni a Milano (dopo anni che si diceva che le elezioni si vincono conquistando il centro, guarda caso vinse un sindaco di sinistra, con grande rabbia dei cosiddetti riformisti). Ma subito venne messo da parte, e Renzi nominò Sala (attraverso primarie fasulle, dove vinse senza la maggioranza, grazie a liste civetta "di sinistra"), ovvero il maggiordomo della Moratti. E infatti siamo tornati ai tempi della Moratti: l' aria puzza, ma è colpa della geografia. Urge un ritorno allo spirito originario: serve UN'ARIA NUOVA, in tutti i sensi (cambiamento di personale compreso, vero Maran e assessori vari?)
    6 febbraio 2024 • 22:15Rispondi
    • Pietro VismaraLa colpa dell' aria cattiva è la geografia. La soluzione è la pioggia. Come siamo evoluti, signora mia!
      9 febbraio 2024 • 14:19
  2. Cesare MocchiScriverei però "riformisti" tra virgolette, nel senso che questi qui le uniche riforme che hanno fatto sono di smontare le conquiste della sinistra per accodarsi alla vulgata della destra. Parlerei quindi meglio di "sedicenti riformisti" (o "controriformisti") visto che stanno infangando una dizione ahimè un tempo gloriosa.
    7 febbraio 2024 • 10:06Rispondi
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