23 gennaio 2024

MILANO-MONZA: FRATTURA DA RICOMPORRE

Una riflessione sui vent'anni da separati in casa


Progetto senza titolo (5)

La doverosa battaglia contro la manomissione dei fondamenti del sistema costituzionale può risultare più efficace se non si limita alla difesa acritica dello status quo. Una verifica delle scelte operate dai governi riconducibili all’attuale opposizione – dalle regioni snaturate con la modifica del Titolo V° nel 2001 alle province svuotate ma pure camuffate da città metropolitane con la legge Delrio del 2014 – sarebbe più che opportuna.

Per cominciare da casa nostra, tra Milano e dintorni, nel ventennale della legge istitutiva della  Provincia di Monza e Brianza, dove tornerebbe utile trarre un bilancio consuntivo al riguardo, sia da parte del separato che del separante. Tale legge fu approvata (11 giugno 2004) con molte esitazioni, essendo in atto da anni una campagna bipartisan  tesa all’abolizione tout.court delle province.

Inoltre, per ragioni di mera lottizzazione politica, essa riguardava anche altre due realtà dai requisiti altrettanto incerti. Se infatti Monza-Brianza offriva una territorio esiguo (il più piccolo in Italia dopo Trieste che per ragioni di confine coincide quasi con la città), l’istituenda provincina di Fermo difettava di abitanti  mentre Barletta-Trani-Andria mancava di un capoluogo avendone ben tre!

Per altro la stessa denominazione è impropria, definendo Brianza soltanto la parte meridionale dell’area geografica “compresa tra il lago di Como a nord, la pianura monzese a sud, il fiume Seveso a ovest e l’Adda ad est” (Enciclopedia Treccani).  Dunque la linea di confine della neonata provincia che divide orizzontalmente l’area, ininfluente fintanto che la Brianza era “un’espressione geografica”, diventa arbitraria venendo a qualificare un ente istituzionale.

Per altro un minimo di analisi storica indicherebbe il contrario: partendo dalla comune matrice agricola la realtà socio-economica brianzola si differenzia poi rispetto la linea verticale lungo il corso del Lambro. Sulla riva destra si sviluppa il “distretto del mobile” basato su artigianato e piccola industria; sulla sinistra l’industria medio – grande prima tessile e meccanica qualificata (all’epoca la “silicone Valley” del vimercatese).

Tuttavia l’elemento unificante che la caratterizza, in modo massiccio a partire dal dopoguerra, è il pendolarismo verso Milano: impiegatizio verso gli uffici del centro, operaio verso la Pirelli, la Innocenti, la Breda, Marelli e Falck di Sesto. Più limitato l’afflusso verso La Philips e la Singer di Monza  che per altro vide il declino della tradizionale manifattura tessile e cappelliera.

A compendio dello storico legame con Milano, avviato fisicamente con la prima ferrovia nel 1840 e culturalmente con le intuizioni di Carlo Cattaneo (che distingueva tra un “nord secco” ed un “sud umido” a vocazione prettamente agricola) resta la saggezza popolare con il detto “chi ghe volta il cuù a Milan ghe volta el cuù al pan”!

Da qui la realtà più recente che vede una sostanziale omogeneità socio-economica dell’area metropolitana, dai confini incerti ma sicuramente più ampi della provincia ante-scissione; con un mercato del lavoro, e di conseguenza un mercato immobiliare,  integrato per vasi comunicanti.

Sennonché, con l’avvento della “seconda repubblica” una politica improvvisata e demagogica viene a imbrogliare le carte. Se negli anni ’60 e ’70 si affermò l’idea di una governo del territorio “di vasta area”, come si diceva allora, concretizzatosi con la istituzione del PIM (piano intercomunale milanese) ora prevale il concetto di “padroni in casa propria”, teso a restringere in ambiti sempre più ristretti una malintesa autonomia.

Da parte dei nuovi sindaci di Milano, Formentini ed Albertini, si tagliano i finanziamenti al PIM, riducendolo ad innocuo centro studi; mentre da parte dell’emergente senatùr Bossi si impone  la secessione della fetta nord della preesistente provincia.  Naturalmente la sinistra si divide: il ddl Besostri del 2001 costitutivo la città metropolitana, ripreso poi dal senatore Pizzinato, fu immediatamente contraddetto da un altro atto pro scissione, copiato da quello leghista, della neoeletta senatrice Baio Dossi, brianzola PDS all’insaputa del suo stesso elettorato.

Tuttavia la legge del 2004 prevedeva l’entrata in vigore solo nel 2009, consentendo eventuali ripensamenti. Invece fu proprio la giunta Penati a caldeggiarla, contando sull’alleggerimento della zavorra del voto conservatore brianzolo, col risultato di perdere entrambe le province al prezzo di una!

La spinta alla scissione fu tuttavia sostenuta dagli ambienti industriali e professionali monzesi, rivendicanti una Camera di commercio autonoma, che tuttavia non ha retto alla prova dei fatti riconfluendo dopo pochi anni in quella milanese. Ha retto invece il livello politico, che con la legge Delrio (del 2014, altro decennale anniversario!) salva l’eccesso di province, tuttavia svilite di rappresentanza politica e svuotate di competenze amministrative.

Oggi pertanto viviamo un sistema istituzionale scorretto e sbilanciato: Comune di Milano e Regione dominano di fatto la Lombardia mentre la pletora dei comuni medio-piccoli curano i propri orticelli, tuttavia impotenti riguardo le più importanti scelte territoriali, infrastrutturali ed ambientali.

Non sarebbe pertanto il caso di effettuare un “tagliando” di verifica della macchina istituzionale-amministrativa, anche per dare un contributo propositivo all’opposizione contro le “riforme” di un assetto costituzionale già compromesso e ulteriormente minacciato?

Valentino Ballabio



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.



Ultimi commenti