19 dicembre 2023
LUOGHI COMUNI DELL’URBANISTICA MILANESE
Ovvietà pericolose
Spesso nelle cose che avvengono conta di più il “sentire comune” dei ragionamenti ben verificati; contano le convinzioni che tutti danno per scontate, quello che “tanto lo dicono tutti”: i luoghi comuni, insomma. Che per un po’ girano fra i traffichini, poi fra gli assessori, poi vengono sdoganate da qualche professore universitario e così diventano patrimonio di tutti. Eccone alcuni.
“Milano è sempre stata una città di pietra” e quindi inutile perdere il tempo con il verde eccetera, si è sempre vissuti senza e si potrà continuare benissimo a farlo.
Mica tanto vero. Il centro storico di Milano ad esempio ha molto più verde delle zone esterne: Giardini Pubblici, Giardino della Guastalla, piazza Vetra, ecc., ecc; ma anche i verdi privati erano tanti, anche se erosi negli anni Trenta (via dei Giardini, via Necchi, via Gabba…). È la città berutiana e quella del primo Novecento ad essere invece priva di verde, anche per la scelta sciagurata (ma da alcuni giudicata invece illuminata) di concentrare tutto il verde nel Parco Sempione (già di proprietà pubblica) e di non prevederlo più sulle aree all’intorno (private). Una bella scelta a favore della rendita, si direbbe; ma tant’è.
“Tanto con internet non si sposterà più nessuno” e quindi perché pensare a nuove infrastrutture? Non serviranno a nulla.
Si è diffuso internet, è arrivata addirittura la pandemia, lo smart working (ovvero il lavoro a distanza) dilaga: eppure la gente si muove lo stesso (chissà perché). Questo al Comune non piace, i conti non gli tornano, bisogna che la gente resti a casa. E andando a comprare tutti i giorni il pane dallo stesso panettiere, miracolosamente rinasceranno i legami sociali e le comunità locali che sono state distrutte dal capitalismo planetario. Figurati.
“Mica faremo progettare la città ai viabilisti!” Cosa ce ne facciamo di tutti quei calcoli, le origini-destinazioni, le ripartizioni modali? Il progetto è libero, visionario e deve poter volare senza freni e senza essere appesantito da tutti quei noiosi orpelli.
Sì, come se dotare una casa degli impianti fognari fosse un delegare l’architettura agli idraulici. Si progettano le case e – assieme – gli impianti. Le città, e le infrastrutture.
“Tanto di servizi ce ne sono anche troppi” e quindi cosa stiamo a perdere tempo a controllare le dotazioni? Di certo ci sono capacità residue del capitale sociale, che vanno utilizzate per evitare sprechi, la città reggerà i cambiamenti come ha sempre fatto.
Un po’ come quelli che buttano i rifiuti in mare, tanto assorbe tutto. Tranne che poi a un certo punto non li assorbe più (ma sarà troppo tardi).
E infine: “C’è sempre resistenza al cambiamento, si tratta di nostalgici che non sanno apprezzare le novità, l’unica è ignorarli finché non se ne faranno una ragione”. E questa è dedicata ai lettori di Arcipelago (che chissà magari qualche volta invece la indovinano anche…).
L’Osservatore disincantato
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