3 ottobre 2023

CAPELLI – ROGGIANI, IL DIFFICILE COMINCIA ORA

Le sfide per i nuovi segretari del PD milanese e regionale


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Come si sapeva, nessuna sorpresa ieri dai seggi del PD milanese metropolitano e regionale: vince largamente Alessandro Capelli contro Sandro Minniti e, in solitaria regionale, Silvia Roggiani. Con loro, vince e si rafforza Elly Schlein, punto di riferimento dell’accoppiata, anche se con diverse storie e gradazioni di vicinanza.

Il rafforzamento dell’area di consenso Schlein a Milano, misurato sul voto degli iscritti, passa dal 41,3%  al 66,5%, mentre l’area di consenso Bonaccini si restringe dal 41,3% al 33,5%.  In regione, il dato non è misurabile, essendo Roggiani candidata unica. Ma i numeri, che pure contano, non sono tutto e vanno colti nella loro dinamica complessità, attuale e futura perché se è vero che Capelli – Roggiani vincono e si abbracciano con trasporto, non si deve dimenticare la duplice sfida che li attende. In apparenza, il neo segretario metropolitano si trova di fronte a quella meno pesante, ma qualcosa (forse più di qualcosa) rischia anche lui.

Il PD milanese, con alterne vicende e peso, viene da tre sfide elettorali comunali vinte, ma “del futur non v’è certezza”, anzi. Il sentimento nazionale (ed internazionale) gonfia le vele del centro destra, che si prepara non solo alle prossime europee ma mira al bersaglio grosso delle amministrazioni locali più importanti. Tra queste Milano è il pezzo pregiato, anche per la valenza simbolica che ha ormai assunto nel discorso politico.

Non sarà facile, senza Beppe Sala, vincere la prossima tornata. Neppure si può dimenticare che alle politiche del 2022, il centrodestra ha preso il 33,29%, il centrosinistra il 39,08%, mentre Azione IV (allora felicemente apparentati) il 16,34%. E se è vero che Majorino ha stravinto a Milano alle regionali di febbraio con il 47,8%, è anche vero che Fontana ha raccattato un 37,4%, e la Moratti il 13,8 %.

I numeri dicono che, al netto del fenomeno dell’astensione, bacino imponente denso di possibili sorprese, un buon candidato sostenuto dal centrodestra e qualche pezzo del cosiddetto “centro” darebbe filo da torcere al candidato di centrosinistra.

Ma la questione non è solo di aritmetica elettorale. Oltre i seggi, contano le politiche che si vogliono fare grazie ai seggi e non sono pochi a Milano quelli che contestano a Sala una sindacatura sempre meno utile ai bisogni popolari e ad una città sostenibile.

La politica di Beppe Sala appare, si scusi la forte semplificazione, più vicina alle coordinate che definiscono l’area bonacciniana che a quelle di Elly Schlein. Se sul tema dei diritti, la convergenza con la segretaria appare notevole, diversamente si pone sulle questioni sociali e sul governo del territorio, dove anche Alessandro Capelli, pur cauto durante la campagna, segna maggior distanza e probabilmente pensa ad un mandato connotato da forte rinnovamento dei contenuti.

Il 2026 appare ancora lontano sullo sfondo, ma la sfida è già sul tavolo e non basterà, per dare un segno positivo al risultato del neosegretario metropolitano, il mettere mano alla governance politico istituzionale dell’area metropolitana e del partito: la prima appare di difficile maneggio e per certi aspetti delicata, vista la maggior forza del centrodestra “ultra moenia”, e la seconda ancora tutta da definire ed implementare. A Milano, si dovrà vincere di nuovo.

Dietro le quinte, Majorino e Maran, gemelli diversi da una medesima matrice, scaldano i motori ed a Capelli toccherà di gestire con profitto una concorrenza antica ed attuale. Certo, bisogna pur ammettere, tocca a Silvia Roggiani la sfida più ardua, il Moloch di Regione Lombardia.

Sono quasi trent’anni che il centro sinistra non batte chiodo, cambiano i candidati ed i loro profili: da Masi a Martinazzoli, da Sarfatti a Penati, da Ambrosoli a Gori fino a Majorino, la lunga teoria di cattolici, uomini della società civile, esponenti di partito, più o meno moderati, non ha saputo o potuto scalfire l’egemonia di un centro destra, prima a trazione ciellina, ora leghista.

Una presa “storica” che rimanda essenzialmente ad un blocco socio culturale formato da imprenditoria diffusa, larghi strati operai e del lavoro, società timorose di perdere le cose e la sicurezza. Tra questi, è bene ricordare, diversi tra gli ultimi.

In Lombardia, come in tutta Italia, il centrosinistra, soprattutto il PD, vince nei territori (le città, da Milano fino a Sondrio), dove vive un ceto dirigente, acculturato, e socialmente ben intenzionato, mentre non trova, non si dice sostegno, ma neppure ascolto nella Lombardia profonda, sempre più distratta dalla città metropolitana milanese fino alle valli più lontane. E’ la lunga deriva di un “sentire” sedimentato ed a lungo coltivato dalla DC, e che negli ultimi decenni ha preso una coloritura segnata dal rancore proprietario o dalla paura di perdere quel poco che si ha.

Silvia Roggiani si è data la speranza di cambiare, ma cosa potrà fare davvero?

Il rebus lombardo è di difficilissima soluzione e non basteranno volontà di ferro o alchimie creative, anche perché larga parte della questione dipende dal profilo nazionale del Partito Democratico ed ancor più ampiamente del centro sinistra, dalla sua capacità di innovare visione e proposta, un cambiamento profondo che sappia unire prospettive di sviluppo convincenti ad iniziative dal carattere sociale altrettanto motivanti per gli strati che oggi stanno alla finestra a vedere chi vince, che tanto per loro non cambia nulla.

La questione Lombardia non tocca solo a Silvia Roggiani, è anche nelle mani di Elly Schlein e nelle nostre: sapremo declinare le parole d’ordine di rinnovamento dalla comunicazione alla proposta? Sapremo trovare mediazioni convincenti tra difesa dell’ambiente e sviluppo, tra imprenditorialità e senso comunitario, tra le mille meravigliose sfide dell’innovazione tecnologica ed il governo delle loro inquietanti traiettorie?

In questo quadro, tanto arduo da parere impossibile, Silvia Roggiani ha molto meno da perdere di Capelli: come Alfieri e Peluffo, nessuno le potrà rimproverare di non avere cambiato le cose in regione (non ci riesce nessuno), ma se mai il miracolo avvenisse davvero potrebbe trovare risorse per evoluzioni personali di grande prestigio. Sperare non costa niente, anzi aggiunge energie altrimenti non disponibili e certo la prima cosa da fare, è trovare sintesi tra quelle delle diverse aree del partito, cosa che per il suo passato ed il suo presente appare meno disagevole che per altri.

Capelli e Roggiani, la vittoria è vostra, ma qui viene il difficile e “si parrà la nobilitate”.

Giuseppe Ucciero

 



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  1. LuisaLa semplificazione sulle aree di sostegno a Capelli e Minniti è non solo eccessiva ma errata: in realtà c'è stata molta trasversalità e "interscambio". Nei fatti, la decisione di un buon numero di componenti dell'élite PD metropolitana di andare per il candidato (pseudo)unitario è stata contrastata e spiazzata dalla candidatura dalla base di Minniti, sostenuta da molti iscritti e iscritte in parte peones senza appartenenza, o anche che avevano votato Schlein, ma si sono trovati totalmente in disaccordo con l'imposizione di un'unica candidatura dall'alto
    5 ottobre 2023 • 10:44Rispondi
  2. giuseppe uccieroGentilissima Luisa, la ringrazio per il commento, da cui però dissento. Potrà esserci anche stata qualche linea di trasversalità, ma se alla fine dei giochi un'area, certo schematicamente ascrivibile a Schlein, aumenta del 50% e l'altra, altrettanto schematicamente, ascrivibile a Bonaccini, perde un terzo dei consensi, si deve concludere che è stata poca cosa. Personalmente, poi sono ben felice che all'elezione diretta (non primarie, che sono un'altra cosa) del segretario metropolitano milanese si presentino più candidati e quindi benvenuto Santo Minniti. Ma accreditare la sua candidatura come una sorta di movimento della base contro la nomenclatura che "imponeva un'unica candidatura dall'alto" mi pare, questa sì, davvero più che una forzatura. E del resto, non mi pare che Maran, Quartapelle e Bussolati, fieri sostenitori di Minniti, siano "poveri peones senza appartenenza". Se infine intende dire che in diversi siano saliti sul carro vincente di Capelli, per calcolo politico od opportunismo, non mi pare cosa lontana dal vero. Ma così vanno le cose, anche nel PD.
    5 ottobre 2023 • 16:33Rispondi
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