3 ottobre 2023

ACQUA DI FALDA: VEDERE E NON TOCCARE

A Milano l'acqua non mancherà mai, però…


Copia di Copia di rification (5)

Milano vive oggi una serie di paradossi che congiurano contro di lei, proprio nella stagione in cui l’Europa ci sarebbe di grande aiuto nella decarbonizzazione, prospettiva che a noi padani interessa assai vista la conformazione disgraziata del nostro territorio, con le mille attività a fronte di un’aria priva di circolazione.

Il primo paradosso vede la più importante partecipata del Comune sposare in tutta Italia le rinnovabili e nei Comuni di Milano e Brescia, ovvero dove maggiore è l’intensità di utilizzo della generazione termica, no.

Il secondo paradosso vede il Comune certificare che le sue emissioni sono in capo per 4/5 alla generazione termica e solo per 1/5 alla circolazione per poi chiedere sul miliardo di fondi del PNRR una percentuale bulgara a favore della mobilità elettrica, fatto rilevantissimo e tanto più utile quanto maggiormente verrà delegata la produzione di quella corrente elettrica alle rinnovabili, mentre per il paradosso numero uno non si azzarda a immaginare un cambio radicale nel proprio condizionamento (in caldo e in freddo) sui suoi mille edifici a uso uffici e men che meno sui suoi 28000 appartamenti di edilizia popolare.

Il terzo paradosso vede Milano contrapposta alla sua Città Metropolitana, ovvero quella che sola può darle dimensione internazionale, e che per una consolidata pratica storica governa l’utilizzo dell’acqua di falda: oggi Città Metropolitana fa tutto il possibile per non far prelevare tale acqua ai milanesi, dispetto che, ad esempio, costa agli immobiliaristi molti milioni di euro. Se si considera che il bilancio del Comune dipende in parte dagli oneri corrisposti da tali sviluppatori immobiliari si capisce pure perché l’Assessore all’Urbanistica stia presidiando i deputati uffici di Città Metropolitana perorando la causa dei finanziatori comunali: ma perché siamo arrivati a questo e quale può essere una soluzione che soddisfi gli uni e gli altri?

Occorrono due premesse: gli avvocati all’opera per conto degli sviluppatori hanno buone prospettive per portare a casa un risultato positivo avendo nell’immediato ragione, ma Città Metropolitana ha allo stesso tempo ragione a resistere perché il bene di cui quelli vorrebbero la disponibilità non è infinito, e il loro utilizzo diventerebbe precludente per gli altri.

La seconda premessa è relativa al perché si sia arrivati a questo braccio di ferro e riguarda due fatti tecnici che occorre comprendere attentamente.

La pompa di calore, ovvero il produttore di energia termica su cui punta la Comunità Europea, estrae il caldo e il freddo prelevandolo da tre fonti sorgenti alternative (terra, acqua e aria) e usando dunque una parte minima di energia (da due a quattro volte in meno di quella oggi impiegata dalle caldaie): come conseguenza le emissioni di particolati, di ossidi e di Co2 risultano ridotte in ugual misura.

Tra le fonti sorgenti la terra e l’acqua sotterranea hanno il vantaggio della stabilità nella temperatura mentre l’aria risulta assai meno efficiente (è calda quando abbisogniamo freddo e viceversa) e quindi consuma assai più energia: pur richiedendo maggiori investimenti da sempre tutti i grandi interventi immobiliari non si immaginano altra soluzione che utilizzare l’acqua di falda perché il costo di esercizio è di gran lunga inferiore, oltre ad essere sommamente ecologico (ovviamente questa seconda considerazione non è determinante nella scelta, ma a noi importa molto).

Perché allora Città Metropolitana mette fior di bastoni fra le ruote?

Per una considerazione tutt’altro che peregrina: quel bene, e la sua restituzione in falda a temperature variate, non è infinito e l’utilizzo intensivo degli uni rischia di danneggiare l’uso degli altri: siamo di fronte ad un problema di democrazia idraulica complicato dal fatto che le acque sotterranee, pur essendo per legge di proprietà regionale, hanno un regime di delega misto (sino a 100 lt/sec sono di competenza provinciale, oltre regionale) ma soprattutto non sono inquadrate nel generale sistema di governo delle acque previsto per il Servizio Idrico Integrato che si occupa solo di acque potabili e loro reflui, lasciando le acque tecniche in questo incasinatissimo limbo.

Prima che l’orientamento legislativo regionale (e nazionale) si renda conto della necessità di normare e concedere in forma pubblica l’uso di queste acque (si pensi anche a quelle del mare, dei laghi o dei fiumi) per la generazione termica, come sta avvenendo per necessità in tutto il mondo, noi al momento siamo a questi ferri corti.

Per capire la portata del fatto si prenda una delle questioni che maggiormente angustiano il Comune in questo momento: lo Scalo di Porta Romana e il suo futuro geotermico.

Lo Scalo, se osservate una piantina di Milano, si trova a Nord Ovest del quartiere Corvetto, oggi teleriscaldato ai noti ultracosti; lo scorrimento della falda padana è proprio N0-SE e dunque se permettessimo di scaricare in falda le rese fredde (invernali) e calde (estive) dello Scalo il povero quartiere popolare quando finalmente dovesse passare anche lui in pompa di calore diminuendo i costi per i suoi inquilini, si troverebbe di fronte ad una sorgente inefficiente.

Il quarto paradosso è questo: a Milano chi paga meno il condizionamento termico degli ambienti sono i ricchi, chi lo paga di più sono i poveri e in prospettiva, essendo i ricchi preveggenti e dotati di capacità di finanziamento, le concessioni attuali altro non fanno che precludere ai poveri i risparmi.

Che poi tali risparmi avvengano di fatto a mezzo delle insolvenze nel pagamento di affitti e spese è affare dei bilanci comunali e regionali, ma non è una buona ragione per non guardare con occhio tecnico la vicenda, cercando di trovare una soluzione e sottraendo a Città Metropolitana lo scomodo ruolo di mezzo Robin Hood (al momento sottrae ai ricchi ma non lo gira ai poveri).

La soluzione, da noi prospettata proprio all’Assessore all’Urbanistica e al Vice Sindaco metropolitano è tanto semplice quanto percorribile: togliere il potere di emungimento ai privati e affidarlo al Concessionario del SII in un’ottica territoriale complessiva, lasciano l’onere di realizzazione delle reti ai privati che riceveranno congruo sconto in bolletta sull’acqua di falda che oggi pagano in misura ridicola (una tassa di concessione contro una tariffa come dovrebbe essere e come è, ad esempio, nel Canton Ticino).

In questo modo quando, come nello specifico dello Scalo Romana, si dovesse portare in pompa di calore anche il Corvetto, avremmo entrambi a parità di condizioni e di costi (non spiego le tecnicalità ma prendetela per buono).

La questione è meno campata in aria di quel che si possa pensare e ci sono già interlocuzioni interessanti e progetti di studio (finanziati dal PNRR): quel che manca è l’attenzione politica e civile sulla principale questione economica ed ecologica che investe l’area metropolitana che renda il percorso al passo con i tempi richiesti dalla Comunità per la decarbonizzazione.

Usare l’acqua di falda è obbligatorio, sottrarla all’uso privato, pure.

Giuseppe Santagostino

 



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