7 marzo 2023

LA SICCITÀ DELLE CICALE

Milano non morirà di sete ma di malgoverno


copertine am (10)

Pur di fronte ad un dato certo, ovvero il secondo anno consecutivo in cui le piogge sul Nord sono abbondantemente sotto le medie e così pure le corrispondenti nevicate ancor più importanti per l’equilibrio idraulico, occorre domandarsi se la siccità che si annuncia sia realmente un’emergenza assoluta o se i problemi paventati siano figli principalmente di una mancata programmazione.

Partiamo da un dato apparentemente banale: le acque potabili pompate nell’area metropolitana di Milano sono circa 480 mln di metri cubi anno mentre quelle depurate sono 600 mln di metri cubi e se consideriamo che grazie alla tariffa più bassa d’Europa (meno di 1 euro al mc, quando il resto dell’Europa viaggia sopra ai due la maggior parte dell’irrigazione urbana avviene in modo economicamente indolore con l’impiego dell’acqua potabile, e quindi senza scarico verso la depurazione, è possibile calcolare in un 15% la quota che viene dispersa nel terreno, portando così a circa 200 mln di mc la quantità di acque parassite inviate alla depurazione.

Se a ciò sommiamo che le pompe di calore geotermiche determinano nella stessa area ulteriori 100 mln di mc/anno in resa superficiale, ovvero senza reimmissione dell’acqua di falda emunta e che Metropolitane e parcheggi interrati inviano (vuoi in fognatura, per quanto vietato, vuoi in roggia) altri 200 mln di mc/anno per restare asciutti, ecco che in un anno vengono pompati 500 mln di metri cubi di acqua non potabile, esattamente quanti quelli pompati per emungere acqua potabile, senza che questi, ad eccezione delle acque depurate il cui costo è però elevatissimo, rientri nel ciclo naturale avendo assolto altri compiti  fuor che quelli di difesa idraulica.

Questo avviene sia che fuori piova, nevichi o ci sia un sole tropicale, dunque anche quando la siccità, come lo scorso anno, impone l’emissione di editti pubblici assai prossimi alle grida manzoniane per limitare l’uso di risorse sin qui illimitate.

Le quantità raccontate dicono che un acquedotto duale, ovvero quell’acqua tecnica non potabile che la nostra legge nazionale DLGS 252/06 richiede ai Comuni virtuosi cui, evidentemente, non appartiene alcuno dei 133 Comuni metropolitani, viene già pompata, peccato avvenga nel luogo sbagliato.

Si tratta dunque di una impossibile opera infrastrutturale i cui costi non possono venire assunti dalle nostre amministrazioni pubbliche?

Nemmeno questo, perché la nostra legislazione consentirebbe un’operazione tanto semplice da pensare quanto (evidentemente) complessa da eseguire, ovvero unificare il servizio di acquedotto milanese in unica società per avere la concessione prolungata a tutto il 2050: quest’operazione da me proposta al Sindaco Sala nel 2018 e da lui fatta propria con la riserva, sin qui vincente, delle molte più cose che ci sono in Milano rispetto a quelle contenute nella nostra razionalità, non risulta esperibile per la difficoltà di estrarre il servizio idrico da MM senza causare sconquassi al sistema di comando delle Partecipate milanesi a dispetto della rivalutazione patrimoniale da  500 mln di euro (di cui 200 mln di euro in capo alla sola Milano) che ne deriverebbe.

Se a ciò si somma che portare come a Napoli la tariffa milanese a 1,2 euro al mc in vista della realizzazione di una infrastruttura necessaria, benemerita e già scritta nella legislazione italiana, vorrebbe dire assicurarsi 4,2 mld di euro di finanziamento integralmente spesato per le opere di costruzione delle reti duali, soldi che si sommerebbero ai fondi europei sin qui inutilizzati proprio per le opere di difesa e riqualificazione dei consumi idrici, ecco che la siccità climatica non è nulla contro la siccità mentale milanese, visto che la soluzione al problema che ci ha attanagliato lo scorso anno (oltre a molti altri che non elenco qui) è lì che ci guarda e sta a dimostrare che negare le irrigazioni a Milano quando abbiamo 500 mln di metri cubi all’anno buttati sempre e comunque via è indice solo di incapacità infrastrutturale dell’apparato pubblico milanese.

Però, si dirà, almeno gli agricoltori hanno ragione a lamentarsi della siccità?

No, o meglio se ne possono lamentare ma nel contempo addossino pure a se stessi la maggior parte delle colpe: purtroppo il mondo agricolo è da sempre abituato ai ristori per qualsiasi accidenti capiti loro, dal fatto di dover lavorare (le PAC europee) a quelli connessi agli eventi climatici e, nello specifico idrico, sono loro che gestiscono in prima persona le grandi derivazioni idrauliche lombarde (il Villoresi in primis) oggi sotto accusa perché nel momento del bisogno non riescono a fornire l’acqua necessaria.

Peccato che l’irrigazione mondiale, proprio in considerazione della relativa scarsità del bene ‘acqua’ vada orientandosi verso pratiche mirate di irrigazione (sia al piede che in aspersione) contro quelle intensive lombarde (scorrimento, pivot  o cannoni) perché la quantità d’acqua necessaria si dimezza e così pure quella della chimica necessaria alla fertirrigazione, due operazioni di tutela ambientale che andrebbero messe come obbligatorie nell’agricoltura lombarda.

Ciò comporta sicuramente più investimenti ma questi, oltre a non essere completamente in capo al mondo agricolo, garantiscono ritorni produttivi tali che in ambito industriale sarebbero già stati perseguiti, mentre gli agricoltori preferiscono chiagnere e fottere (e occupare, come fanno da sempre la Coldiretti e le altre associazioni di categoria, le posizioni apicali nei vari Consorzi dove si intermediano i soldi destinati all’agricoltura) ma comporterebbe pure che l’accesso alle acque di prima falda porrebbe l’agricoltura lombarda al riparo da qualsivoglia siccità potendo venire integrata in modo produttivo al sistema dei canali che invece le asciutte prolungate oltre ogni decenza attuali tendono a sabotare.

Nell’accento drammatico posto dal Governo Meloni sulla necessità di una cabina di regia contro l’emergenza idrica io trovo molta realtà proprio osservando i molteplici Enti Pubblici autoctoni che nulla fanno dove più potrebbero fare, ovvero proprio qua da noi dove l’acqua non manca certo anche se oggi il Po fa stringere il cuore di tristezza: la nostra emergenza non è climatica ma organizzativa, dove la non intelligenza dei fenomeni e l’indolenza dell’intero apparato pubblico sono la causa principale, ben prima di qualsiasi Co2.

Giuseppe Santagostino

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


  1. Pietro VismaraDavvero interessante, grazie
    8 marzo 2023 • 16:44Rispondi
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.



Ultimi commenti