5 aprile 2022

SERGIO SCOTTI, EDITORE E ASSICURATORE

Riportare vicino al cuore le belle persone conosciute. Altro che guerra!


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Amo ricordare le persone toste che ho conosciuto e i loro tratti, a volte splendidi. Ai lettori faranno venire in mente bei ricordi. Ravviviamoli, in questi tempi di guerra, per ritrovare radici. Tra noi c’è stata simpatia e sintonia: fratelli maggiori. A loro devo molte idee e tratti di stile. Mi hanno formato, con nitidi esempi. Il mio è un tributo e un riconoscimento a chi ha agito bene. È un atto sociale e un racconto di me, ovvio. Agire al meglio è presupposto di democrazia, secondo Pericle (495 / 429 a.C.). Così Massimo Cacciari: nella Atene che ci ha formato, si partecipa al potere perché si lavora bene, con enorme arricchimento della città. Spiegarlo alla Russia di Putin! È cultura europea. Solo se vivi bene sei libero!

Qui, lascio traccia di Sergio Scotti. Aveva 50 anni quando io 35, nei primi anni ’80. Anni spumeggianti, a Milano. Noi Assicuratori eravamo l’ombelico dello sviluppo: la RC Auto andava a mille e pure le Polizze Vita, la Previdenza personale. Editore e giornalista, aveva ereditato dal papà (e dal nonno) la rivista mensile “Notiziario Assicurativo” (cartacea, con la sua bella pubblicità). Tesseva rapporti vasti con agenti, periti, dirigenti delle compagnie e oltre. Informato e disincantato, vedeva largo e lontano, mi pareva, e niente lo meravigliava, tranne il coraggio. Socialista e massone, era un laico prudente e orgoglioso. All’occasione sprezzante. Attorno al 1975 mi pubblicò un pezzo e m’invitò a scrivere sul mestiere (“Scava, e non t’illudere”). Poi mi mandò a intervistare uomini di primo piano del settore assicurativo: full immersion bellissime! Mi convinsi che, a certi livelli, ci sono persone davvero capaci. Cresceva il mio rispetto per la complessità del mondo. Amavo la realtà e la volevo più bella.

Da Assicuratore in erba, sognante e con radici tecniche americane, mettevo alla prova la mia idea dei vent’anni: il rischio è una percezione, un’attesa personale, su cui ci conviene influire in positivo con la Prevenzione. Avevo letto qualcosa di Bruno de Finetti, matematico applicato affascinante (teorico della probabilità soggettiva), di cui mi piaceva il versante filosofico esplicito e quello relazionale, implicito e per me decisivo. In Usa l’80% degli Assicuratori prima fa Prevenzione e poi assicura. Logico, e da noi? Meno del 10%. Le nostre statistiche e tariffe – pensavo – sono storia, come dice Popper, non scienza. Mi fidavo poco delle tariffe. Mi pareva di potermi riferire anche alla Meccanica quantistica: chi misura co-determina; facciamolo consapevolmente. Anticipiamo gli eventi! È l’unico modo per misurare i grandi rischi e quindi per assicurare. Trovai conferme nel mitico filosofo della scienza Giulio Giorello, che amava de Finetti, nonostante fossero su fronti politici diversi. Sergio mi dava corda, non ragione. Però gli piaceva il gioco d’anticipo: “Orienti e sei libero. In America si fa? Forse in futuro anche da noi. Ma i bilanci, sappilo, li fai con la finanza”.

Ne ebbi conferma andando a intervistare il leader di un sindacato degli Agenti di Assicurazione che in quegli anni gestiva una piccola compagnia. Eravamo al ristorante e capitò diverse volte che rispondesse al telefono e desse indicazioni di acquisto e vendita di titoli. Ah, la finanza! Sergio queste cose le sapeva e ci navigava. Si faceva valere ed era generoso. Mi regalò il mio primo computer (“Usalo; non tornerai più alla penna”). A metà degli anni ’80, nel bel mezzo di uno dei nostri pranzi di lavoro, gli proposi di portare avanti io la rivista. Ci pensò e, dopo un po’, mi disse: “Ti lascerei un problema. La carta è finita”.

Da buon giornalista di nicchia, prediligeva i personaggi, gli innovatori: “Amiamoli; sono animali che fanno il mondo”. In effetti, quelli che intervistavo si rivelavano illuminanti, visti da vicino: ad esempio il numero uno in Italia della svizzera Zurigo, Adolfo Bertani, poi presidente del Cineas del Politecnico di Milano. Era entrato nel mondo assicurativo come produttore (venditore). Con lui fu sintonia totale sulla necessità e utilità che l’Assicuratore si aprisse alla Gestione del rischio (al Risk management), alla Prevenzione.

In un certo senso, Scotti m’insegnò a scrivere; a immaginare prospettive e poi cercare e sollecitare prove o smentite; percorsi in campo, praticati, fossero pure contrari. Sognante e pragmatico. Lo sentivo americano. Era il mio pane e ho trascorso sere e mattine presto fantastiche immerso in ipotesi professionali poi verificate nel lavoro e nel dialogo con broker e agenti che stimavo, e con operatori del settore. Mi concentravo facilmente e ovunque, in tram, nel metrò, nei baretti del centro, negli intervalli in biblioteca. Ogni articolo era scavo, accumulo di appunti e gioia. Devo moltissimo a Sergio. Glielo dissi, l’ultima volta che gli telefonai. Era malato. Un tumoraccio lo stava uccidendo. Si dimostrò saldo e m’invitò a crederci; ad essere sia ingenuo sia distaccato: ad ambire molto, con zero pretese.

Io non avevo altri fini. Non cercavo di piazzarmi scrivendo. Sergio aveva l’impegno della vendita, degli abbonamenti, ma non si faceva stressare. La vendita, come la carriera, mi diceva, “è la conseguenza di un lavoro: se è fatto bene, arriva. Viviamo il nostro lavoro!” Soddisfazioni? Molte, personali, intime. E anche riconoscimenti. Ad esempio: Silvio Leo, storico del settore assicurativo, tecnico della liquidazione dei sinistri ed esperto politico (con il suo limite: era del Pci), disse a Scotti: “Delle interviste di Bizzotto sono spesso più interessanti le domande delle risposte”. E l’emozione più grande? La provai un giorno in metrò: un bel tipo leggeva la nostra rivista, il mio articolo! Era la prova che venivo letto. Chiunque scriva, ne ha bisogno. Telefonai subito a Sergio e ci scherzammo sopra.

Parlai di Sergio Scotti a Gianfranco Troielli, Agente generale di Ina Assitalia a Milano (era la più grande Agenzia di Assicurazioni d’Europa). Dall’’87 ero suo dipendente. Formavo e motivavo la sua rete di vendita al mestiere, al rischio. Lui amava la rete e voleva che crescesse e si qualificasse. Io lavoravo con le mie idee: come completare la Previdenza, anticipare il mercato, semplificare l’attività? Andammo a pranzo al Boeucc e fu un volo d’angeli. Parlarono del nostro ruolo, dei nostri cieli, di affari e del sottosuolo, con molti riferimenti politici e romani. Io capivo poco e ascoltavo; gustavo il clima. Sergio si portò via – con un bel numero di abbonamenti – l’intervista al leader assoluto del mercato sul tema “La Previdenza che serve al Paese e il lavoro di massa organizzato”. Era (è) il segreto mai svelato del Gruppo pubblico Ina Assitalia, messo a punto, praticato e incarnato a Milano da Troielli. Lo aveva incuriosito, catturato. Di più: convinto. Non avevo mai visto Sergio così preso.

M’impegnai a stendere l’intervista. Conoscevo Troielli: aveva qualcosa di grande che mi mancava. Gasato come non mai, dopo il pranzo, accompagnai Sergio al metrò di S. Babila. Rifletteva, quasi stupito, veloce e intuitivo com’era. Mi disse: “Tu sei in un ventre di vacca”. Lo sapevo. Dopo un po’ – in corso Vittorio – pensò a voce alta: “L’Ina agli inizi del secolo ha fatto nascere in Italia la Previdenza, azione degna di un maestro di libertà, di un grandissimo muratore. E ha sempre dato utili al Tesoro e prestato soldi ai più diversi Enti pubblici. Al Sud e al Nord. Nel dopoguerra poi è stata, con la Dc di Fanfani (il Piano Casa), un formidabile investitore istituzionale (case popolari ed edifici di pregio e prestigio nei centri storici). Incredibile: negli anni ’80 ha anticipato tutti con le polizze Vita Rivalutabili del professor Antonio Longo e ora – fatico a crederlo! – è pronta a ripartire; prepara la Previdenza del prossimo millennio. Può favorire una svolta di libertà ordinata e diffusa. Dobbiamo capire cosa vuole fare, come si orienta. E ha pure (è ovvio!) un segreto organizzativo, commerciale. E tu ne sei parte. Ma, ti rendi conto?” Mi rendevo conto e friggevo, temevo.

Erano i primi di marzo del 1992: vigilia del terremoto di Mani pulite. L’intervista, approvata da Troielli (“Ma, aspettiamo un po’”) non è stata pubblicata. Anche a Troielli ho voluto bene. Di lui e del suo segreto parlerò un’altra volta.

Francesco Bizzotto

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