22 febbraio 2022

GANG GIOVANILI

Tra illegalità ed esposizione mediatica


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Milano negli ultimi tempi è attraversata da una serie di episodi che mettono in primo piano quello che si usa definire il fenomeno delle gang giovanili. Nelle righe che seguono vorrei porre l’attenzione su alcuni aspetti che a mio avviso ci consentono di approfondire il fenomeno nelle sue evoluzioni più recenti. In particolare faccio riferimento a tre coordinate analitiche. 

La prima ha a che fare con il modello organizzativo delle gang giovanili che può essere ad alto livello di formalizzazione e di definizione di riti e regole precise nell’appartenenza o basata su vincoli assai più deboli. Non essendo una affiliazione mafiosa si può sicuramente immaginare che i vincoli di appartenenza siano meno rigidi di altre organizzazioni, ma anche questo sarebbe da appurare laddove il legame del singolo con il gruppo è completo e si articola in tutte le attività e i momenti della quotidianità. 

Gli episodi che hanno riguardato il capodanno in Piazza Duomo, piuttosto che quelli relativi alla movida in zona Navigli con la colluttazione e il colpo di pistola del poliziotto in borghese, andrebbero sicuramente approfonditi per capire quanto espressione di bande organizzate, o semplicemente improvvisati da parte di coetanei spesso minorenni. Esiste peraltro un vocabolo preciso che identifica quest’ultima pratica di crimini di gruppo: co-offending. 

La seconda questione che merita attenzione concerne il confine piuttosto lasco che si sta generando tra devianza, marginalità, espressione artistica e regole del mercato. È interessante osservare che esiste una sequenza piuttosto chiara che si esplica nei seguenti 10 passaggi: 1) disagio giovanile individuale, 2) appartenenza ad un gruppo ad alta omogeneità, 3) forme di devianza come modalità di aggregazione e rivendicazione di una identità, 4) componente artistica come veicolo della ribellione, 5) forte esposizione sui media e i social, 6) forme di spettacolarizzazione della devianza, 7) costituzione di un pubblico potenziale, 8) interesse del mercato, 9) legittimazione sociale, 10) nuovi arruolamenti e consolidamenti del gruppo. In questo caso si fa chiaramente riferimento alle cronache che hanno interessato il quartiere di San Siro e la sparatoria tra rapper. 

Questa catena pone in evidenza in maniera esplicita come oggi si tenda a stigmatizzare e nello stesso a riconoscere certa subcultura giovanile che presenta anche aspetti fortemente devianti e nello stesso tempo artistici (musica e graffitismo in particolare). Il formarsi di ghetti (sebbene questo termine sia improprio per il caso italiano: basti pensare alle situazioni ben più conflittuali delle banlieu parigine o di certi quartieri americani) è l’esito di uno sviluppo straordinario di una città come Milano, anche a forte gentrificazione, che però si è trovata a confinare le marginalità sociali in alcune zone della città. Le dinamiche del riscatto in queste aree risultano canalizzate dal mondo artistico e non ultimo da quello economico, rendendo arduo un netto distinguo tra pratiche accettabili e non. 

Del resto tutta la tradizione di studi sociologici ha sempre mostrato come l’economia legale e illegale, formale e informale in determinati contesti urbani presenti alti livelli di commistione. Qui in particolare si vuol fare riferimento alla moltiplicazione delle traiettorie attraverso le quali la società nelle sue varie componenti cerca di ammorbidire, assorbire le forme di devianza, non ultima quella giovanile, facendone un prodotto di consumo artistico a fronte di un possibile ampio bacino di visualizzatori.

Tale situazione, e siamo alla terza problematica, genera a sua volta non poche incognite relative agli interventi necessari per spezzare la catena. Le tre classiche politiche attivabili: di educazione/formazione scolastica (a monte), di opportunità alternative di aggregazione culturale e offerte lavorative (in itinere), di controllo e repressione (a valle), sembrano in difficoltà, seppur necessarie, rispetto a forme di spettacolarizzazione delle vite devianti che connotano non solo i protagonisti ma anche trovano rispondenza in un certo pubblico. Affrontare il tema delle gang giovanili è tanto necessario quanto delicato laddove il fenomeno non sempre assume caratteri certi, a volte rimanda ai pochi canali attraverso i quali i giovani possono esprimere una certa creatività, rispondendo peraltro ad una attenzione mediatica crescente. 

Per concludere vorrei ricordare la frase scritta da un writer su di un muro all’interno del quadrilatero delle case popolari di San Siro (area nella quale con Alessandra Terenzi ho recentemente svolto una ricerca dal titolo La qualità della vita nel quartiere di edilizia popolare a San Siro Milano – Ledizioni, 2021): «Le case popolari hanno un certo flow». Se non vado errato nel vocabolario dei rapper flow sta per ritmo: la musica diviene lo strumento di rivincita…e in più rende. Non a caso le indagini rivelano che la sparatoria a San Siro è dovuta essenzialmente ad una lite per la ripartizione delle commissioni discografiche destinate ai vari gruppi rap.

Resta il fatto che le gang giovanili ondeggiano pericolosamente tra l’area d’ombra della illegalità e la ribalta dei social. Occorre dunque collocare il fenomeno delle gang giovanili all’intero di un quadro più articolato di quanto possa sembrare, in cui le 3 coordinate sopra esposte – il livello organizzativo e di fidelizzazione/affiliazione dei gruppi, la sequenza bisogni-devianza-riconoscimento sociale, e le risposte istituzionali e sicuritarie – risultano di fondamentale importanza per analizzare il problema nel modo più adeguato e completo, senza per questo sposare forme di giustificazionismo.

Giampaolo Nuvolati

Università di Milano Bicocca

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