25 maggio 2021
TIRO GIÙ LA CLAIRE
Aspettando un futuro
Gentili lettrici, gentili lettori, questo che state leggendo è il mio ultimo editoriale nel senso che forse non ve ne saranno altri: ho deciso di “tirar giù la claire”. Sono passati 13 anni da quando ho scritto il primo editoriale e da allora ne ho scritti penso più di 880. Forse bastano.
Quando ho pubblicato il primo (11 febbraio 2009) era sindaca Letizia Moratti, ecco l’incipit: “Il pendolarismo nelle sue attuali dimensioni segna la sconfitta della gestione urbanistica del territorio lombardo e l’incapacità di governare il fenomeno di crescita edilizia. L’area milanese è in preda allo “sprawling”, una parola inglese che potremmo tradurre in “stravaccamento” o romanescamente in “scasciamento”: l’edificazione disordinata, causa prima – tra le altre – del pendolarismo. Ma pendolarismo vuol dire anche disagio, fatica, spreco di risorse, identità sociale dispersa. I pendolari, che ormai chiamiamo city users – usiamo sempre l’inglese quando non sappiamo che pesci prendere come quando chiamiamo le case popolari housing sociale …….”.
Oggi potrei riscriverlo tale e quale, perché quei problemi sono ancora sul tavolo irrisolti: varrebbe oggi la pena riscriverne?
Il 25 febbraio di quell’anno in un’altro editoriale descrissi i nostri obiettivi: “Siamo al terzo numero di ArcipelagoMilano. Possiamo fare un primo bilancio e presentarci. Non lo abbiamo fatto prima per una sorta di amore al basso profilo ma forse per scaramanzia o in ossequio alla nostra milanesità: “fare senza dire”. Quando abbiamo pensato a un progetto editoriale, nell’ottobre dell’anno scorso, non avevamo le idee chiare su cosa volesse dire un giornale su Internet ma sapevamo dove volevamo arrivare: creare un luogo di dibattito politico che ricuperasse il vecchio adagio “il personale è politico”. Politico è quel che si fa nella vita quotidiana, politico è scegliere uno spettacolo, politici sono i propri consumi, quel che si legge, gli amici che si scelgono, il giudizio che si dà sul mondo che ci circonda e, talvolta, anche il proprio lavoro. Per noi politico è però equilibrio, non settarismo, non manicheismo e prima di ogni altra cosa tolleranza. La tolleranza non è indifferenza ma lo sforzo di capire le posizioni altrui e il continuo desiderio di ricerca di punti comuni: quelli che trasformano donne e uomini in società civile.”.
Ci siamo riusciti?
Dunque questo mi sono domandato negli ultimi tempi: vale ancora la pena continuare a dibattere, a scrivere, a proporre, a cercare un’interlocuzione con i pubblici amministratori, io ma anche i 400 e più autori che hanno riempito le pagine di ArcipelagoMilano sino ad oggi?
Tanta fatica mia e di chi ha scritto, tanto tempo, tante risorse intellettuali e economiche messe in gioco, tanti sforzi, perché?
Siamo stati ininfluenti e irrilevanti? Se così fosse bisognerebbe avere il coraggio di ammetterlo: comunque ci abbiamo provato. Lo saremmo ancora in futuro? Forse no, bisognerebbe cambiare.
Il 17 maggio del 2011 abbiamo festeggiato la vittoria di Giuliano Pisapia e titolavo il mio editoriale “ELEZIONI. IL “RITORNO” DEI MILANESI”.
Si era accesa una grande speranza: la politica urbanistica sarebbe finalmente cambiata, si sarebbe potuto riprendere in mano il futuro di Milano, cancellare l’ultimo PGT dell’era Moratti, tutto all’insegna della svendita del territorio e dei beni comuni consegnati nelle mani dei privati e “stoppare” la vicenda “Scali ferroviari” sul nascere.
Non fu così. Appena insediato il sindaco fece approvare definitivamente quel PGT e capimmo che la battaglia sarebbe dovuta ricominciare. Il seguito lo conosciamo tutti: non cambiò nulla e Pisapia uscì di scena in maniera a dir poco ingloriosa, sciogliendo la sua riserva se candidarsi o meno solo alla vigilia delle nuove elezioni comunali, lasciando alla sinistra troppo poco tempo per lanciare un nuovo candidato. Durante l’ultima parte del suo mandato gestì male anche la vicenda Expo 2015, una “gatta da pelare” lasciatagli in eredità dalla Moratti che aveva con le sue incertezze messo in forse addirittura la possibilità di aprire l’Esposizione entro la data fissata.
Expo 2015 si inaugurò in tempo e questo fu un successo personale di Beppe Sala. Un vero successo suo e della città. Ne fummo orgogliosi.
Alle amministrative del 2016 il Pd, che per colpa di Pisapia non era preparato ad affrontarle, decise di candidare Beppe Sala a sindaco, una scelta quasi obbligata: un uomo non di Partito, un non politico, un manager di successo. Sala vinse al ballottaggio con il 51,7%, uno scarto minimo. Il Pd milanese iniziò a scomparire.
Il 28 giugno, Sala eletto, commentai la formazione della Giunta e affacciai le prime perplessità e ArcipelagoMilano riprese con ancor maggiore impegno il suo ruolo di “cane da guardia del potere”, la bandiera del giornalismo americano: il “watchdog journalism” che, come dice la Treccani, ” [il watchdog journalism] … non è sentito dalla maggioranza della pubblica opinione come particolarmente sviluppato”.
Cominciammo a sperare che l’amministrazione comunale e il nuovo Sindaco dessero finalmente una risposta ai tanti problemi dibattuti sulle nostre pagine, che cominciasse a prevalere l’idea, proclamata dal Sindaco stesso, di ridurre le disuguaglianze, di smettere la svendita dei beni comuni, di occuparsi seriamente delle periferie e altro ancora.
Speravamo che il Sindaco “manager” rispondesse davvero alla assemblea dei suoi “azionisti”, gli stakeholders della città: i milanesi. Invece gli stakeholders di riferimento del sindaco erano altri e ce ne accorgemmo presto.
In molti editoriali degli ultimi tempi ho ricordato che il Sindaco, eletto direttamente, è il “responsabile” di tutto quello che decide, sia lui direttamente che i suoi delegati, gli assessori. Se non ritira la delega, ossia manda a casa un assessore, implicitamente ne approva l’operato senza riserve. Dunque ne risponde.
Questo vuol dire che Sala approvando tutte le operazioni di politica urbanistica del suo assessore Pierfrancesco Maran, le ha fatte sue: Scali ferroviari, Piazza d’Armi, Città Studi e dintorni, Bovisa, Parco Bassini, Stadio Meazza, tanto per citarne alcune.
Il Sindaco di Maran, assessore con delega al “verde” ha sempre approvato tutto? Anche il taglio di alberi rigogliosi per far posto a nuove edificazioni?
E le piste ciclabili, il primo provvedimento contro il Covid sbandierato dalla Giunta? Una frenesia mai cessata cha ha portato l ‘assessore a dichiarare recentemente”Siamo la città europea con più pista ciclabili!”. Forse non ha ancora capito che il dato che vorremmo è il numero di ciclisti che le usano, non la loro lunghezza! Ad Amsterdam, una popolazione di 800.000 abitanti l’84% della popolazione usa la biciletta (564.000) e ha meno chilometri di piste ciclabili di noi. Il Sindaco non c’è arrivato?
Noi ci siamo battuti a fianco dei cittadini che queste operazioni volevano contrastarle o almeno correggerle.
Abbiamo ottenuto qualcosa? No. Nemmeno l’ascolto.
Abbiamo contestato la strategia delle “consultazioni” dei cittadini, mere operazioni di ingegneria del consenso, spacciate per l’opinione dei cittadini stessi, ossia l’attività dell’assessore Lorenzo Lipparini. È successo qualcosa? No. “Nemmeno un plissè”, come diciamo a Milano.
Non parliamo di “periferie” per carità di Patria né dell’aumento della povertà ben prima del Covid.
E allora dove abbiamo sbagliato?
Forse il “cane da guardia”, il watchdog, ha addentato il polpaccio di legno dei “pupi” pensando che fosse quello giusto, non quello dei burattinai. Ammesso di riuscirci. Un errore di obiettivo e, di conseguenza, di strategia.
Non avevamo capito fino in fondo che i cosiddetti “poteri forti” non si muovono più come il capitalismo selvaggio di un tempo, con gli inni al liberismo, con la teoria propugnata della mano invisibile di Adam Smith. Oggi hanno abbandonato la rozza e pericolosa prassi della mazzetta, oggi hanno capito che una buona comunicazione vale di più di qualsiasi mazzetta, che un buon affabulatore, che una buona campagna sui giornali, alla TV e sui social, una buona casa editrice a supporto delle proprie iniziative è la carta vincente e con una sorta di doppio binario.
Il primo binario è la pressione sull’opinione pubblica per far apparire quel che si vuol fare tutto bello, utile, green; il secondo binario è convincere della stessa cosa un pubblico amministratore ma con un plus non da poco: fargli balenare l’idea che sarà un’operazione di successo per la sua immagine e la sua carriera lusingandone l’ambizione: “farai Milano più bella, più superba che pria” come nel famoso sketch di Ettore Petrolini.
Sai che bella scoperta direte: l’esistenza dei poteri forti! Lo sapevamo da sempre ma qualche volta e difficile sopportarli all’opera nella città dove la tua famiglia ha vissuto dai primi dell’800, che in piccola parte hai costruito tu stesso da magütt e che dunque ami.
Ma di fronte agli ultimi episodi milanesi della loro invadenza mi è saltata la mosca al naso: la vicenda di Piazzale Loreto.
Lascio da parte il versante storico politico e il valore simbolico di quella Piazza e parlo solo degli aspetti urbanistici, architettonici e dunque simbolici dell’operazione.
Milano ha poche piazze e se vi è un’occasione per risistemarne una, non la si può trasformare in un centro commerciale, almeno non nella parte in superficie, rendendola come l’inno all’happy hour e al consumismo compulsivo scambiati per “socializzazione”.
Un’operazione simile mi rifiuto persino di commentarla e dunque “taccio”.
Basta “una mosca al naso” per buttare a mare ArcipelagoMilano? Il lavoro di tanti autori e un patrimonio di 15.000 lettori ad ogni uscita?
No, sarebbe poco decoroso se fosse solo per quello. C’è anche un’altra ragione, non da poco: la mia stanchezza.
Arrivato alla mia età (83) non son più in grado di lavorare a tempo pieno (h24 come la famosa battuta di Maroni) 7 giorni su sette, perché questo è l’impegno che chiede ArcipelagoMilano per uscire, come faccio da solo e aiutato da Francesco Cibati (bravissimo e amico) per la parte grafica e il “caricamento” sulla piattaforma. Garantire la qualità di ArcipelagoMilano non è semplice perché dietro quel che vi si legge c’è un lavoro complesso, faticoso, totalizzante e persino ansiogeno. Desidero riprendermi da adesso una parte almeno del mio spazio personale e famigliare.
ArcipelagoMilano non scomparirà, resterà online per il momento come archivio degli articoli, un patrimonio di consultazione, lasciatemelo dire, importante per chi vuol capire Milano e anche per rispetto di tutti i formidabili autori che vi hanno scritto, che non smetterò mai di ringraziare, ma anche dei lettori che hanno commentato gli articoli, convincendomi sempre di più della vastità e della competenza dei loro saperi che sono una miniera per Milano.
Il futuro è in grembo di Giove. Ma si ripartirà quando vi saranno le condizioni necessarie e la strategia non sarà di continuare ad addentare i polpacci di “pupi” – ma dei pupari, non sempre facili da scoprire, grandi, piccoli e mezzani che siano -. ma di cercare di spezzarne i fili che coi quali fanno muovere i burattini: che almeno i “pupari” facciano la fatica di trovarne di nuovi, di farli eleggere nelle amministrazioni locali, di collocarli nei consigli di amministrazione delle società partecipate e ovunque si decida dei beni comuni.
Luca Beltrami Gadola
P.S. Un ultimo ringraziamento ai sostenitori occasionali e a quelli che si sono impegnati mensilmente. Per cortesia revochino le disposizioni date. Il piccolo residuo di cassa sarà devoluto alla Casa della Carità di Don Colmegna
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