30 maggio 2020

LAVORO. 50 ANNI DI STATUTO

Capitale umano e capitale finanziario, che cosa è successo tra il 1970 e il 2020


Anziché solo su diritti e protezione (incerti, difensivi, insostenibili), investire su diritti-doveri e promozione. In azienda e nel territorio, ex ante. Le tutele ex post? Ampie, sicure, di default. Costa la metà e rende il doppio. La collaborazione non si impone: l’impresa ha il diritto-dovere di scegliere il collaboratore. E questi di scegliere l’imprenditore e, se insoddisfatto, mettersi in pista per cambiare (da posto a posto). Regione Lombardia ha le risorse per fare migliaia di assunzioni e potenziare i Centri per l’impiego e gli Sportelli lavoro del territorio. Le faccia. Non aspetti l’inasprirsi della crisi.

 

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“Il vero problema di oggi non è premiare i meritevoli, ma portare il maggior numero di persone in condizione di realizzare il massimo delle loro potenzialità.”1

Nel 50° dello Statuto dei lavoratori c’è attesa di norme nuove, semplici, comprensibili, tradotte in inglese (Pietro Ichino: è pronto), che diano certezze a chi fa impresa, a chi investe, e liberino sia l’impresa sia il lavoro. È il nodo. Il capitale umano, nel Paese della creatività e della bellezza, ha un ruolo pari a quello del capitale finanziario. Si tratta di favorire un cambio di passo nella relazione Impresa – Lavoro: dalle tutele passive (distributive) a quelle attive (intrapresa diffusa; diritti-doveri trasparenti); dalla incerta, insostenibile protezione del lavoro (e foraggiamento dell’impresa) alla sua promozione; dai vincoli reciproci alle libertà reciproche. Milano, capitale del Capitale umano (vecchia dichiarazione OCSE), ne parli.

Ripartirà la produttività di sistema e risolveremo il 70% dei problemi. Perché li anticiperemo. E la tutela per chi non ce la fa, nessuno escluso, sarà vera, sicura, sostenibile. Significa scommettere sui nostri punti di forza: l’eccellenza nel fare impresa e nel capitale umano. Il futuro? Reti di grandi e piccole imprese e professionisti dipendenti e autonomi in libere, armoniche relazioni. È la previsione di Enzo Spaltro. Il nostro Paese affini e apprezzi questa relazione: qui maturano le qualità (ricerca, creatività, cura, precisione, bellezza) che il mondo ammira e che ci consentono di essere ottimisti. Allo scopo servono:

1. Una fiscalità di vantaggio per le imprese e i lavoratori che fanno rete e formazione, impegnati a orientare il conflitto al merito delle cose. Favorire (trovando il modo) chi opera bene e innova, non – per capirci – chi taglia i costi a danno del lavoro (appalti, cooperative, precariato), come la RSA di Botticelli a Greve, condannata dalla Corte d’appello di Firenze.

2. Rafforzare le Istituzioni (Agenzie del lavoro) preposte alle Politiche di Orientamento, Formazione e Mobilità, cioè al dialogo tra domanda e offerta e alla cura di questa relazione. La regione Lombardia pare abbia le risorse per fare migliaia di assunzioni e potenziare i Centri per l’impiego e gli Sportelli lavoro del territorio. Lo faccia. Non aspetti l’inasprirsi della crisi.

3. Mettere i piedi a terra. Fare un “test” – sulle politiche attive del lavoro a livello europeo -, con il necessario consenso (Confindustria, Sindacati), a Milano (con Monza e Brianza?) dove presidente dell’Agenzia Metropolitana del lavoro è Maurizio del Conte, artefice di Anpal, l’Agenzia nazionale delle politiche attive.

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Ma, prima, parliamone a fondo, affrontiamo i nodi divisivi, dopo anni di asprezze. Non limitiamoci alle scazzottate. Vedi il confronto tra Pietro Ichino e Vincenzo Bavaro (Cgil) su La Lettura del Corriere della Sera del 17 c.m. Rispetto entrambi ed evidenzio il limite di pensare quasi solo ex post, in negativo, in difesa: al licenziato, al disoccupato.

Ichino sottolinea: la legge Fornero (2012) e il Jobs act (2015) mantengono la reintegrazione (art.18) solo per i licenziamenti discriminatori. Per il resto “le persone non vanno difese dal mercato del lavoro, cioè dal rischio di dover cercare un nuovo impiego. Bisogna proteggerle nel mercato del lavoro, cioè aiutando chi resta disoccupato, sia con un sostegno al reddito adeguato, sia con l’assistenza necessaria per trovare la nuova occupazione”. Giusto e insufficiente. Altre volte Ichino riflette ex ante (aiutare anche chi è precario o scontento, per anticipare i problemi). Lo fa, credo, nel libro in uscita “L’Intelligenza del lavoro – Quando sono i lavoratori a scegliersi l’imprenditore”.

La libera scelta è la questione decisiva, e anche l’impresa deve poter scegliere. La qual cosa è negata da Bavaro, che dice: “Se l’azienda va in crisi o riorganizza la produzione in modo da rendere eccedente una parte del personale, siamo in presenza di una circostanza che giustifica il licenziamento”. Chiaro? Ci deve essere una giustificazione oggettiva, economica, organizzativa.

E se c’è solo insoddisfazione e sfiducia (senza discriminazione)? È il punto, di cui non si parla. Possiamo imporre la collaborazione? Implicitamente Ichino dice no, e Bavaro sì. Parlandone, potremmo forse indurli a dire: cambiamo paradigma e liberiamo sia l’Impresa sia il Lavoro (lo ha detto a Macron, efficacemente, la francese Cfdt).

Facciamo perno su fiducia e soddisfazione reciproche: sulla relazione. Se crollano, si cambia. In un certo modo, con il dovuto rispetto sia per il lavoro sia per l’azienda. I mal di pancia e i pesi morti fanno malissimo all’uomo e all’impresa che deve competere con Cina, Usa, India e Indonesia (le top four al 2030; e l’Europa? Se la giocherà con l’Indonesia).

L’impresa non soddisfatta ha il diritto-dovere di porre la questione, e il lavoratore insoddisfatto (lo è il 70%!) ha il diritto-dovere di non stare seduto e rivolgersi a un’Agenzia del lavoro: mettersi in pista, prepararsi e cambiare (da posto a posto). Entrambi pagheranno qualcosa, ma l’impresa non accampa giustificazioni e il lavoratore non sta a morire di precariato e aspettare crisi traumatiche. Entrambi questi baluardi devono rimboccarsi le maniche, contribuire a questo mercato (ad esempio: quali competenze servono alle imprese?) e smettere di lamentarsi e farsi assistere.

Ma… non ci sono posti di lavoro: è l’obiezione. Pietro Ichino ricorda che ci sono “grandi giacimenti occupazionali inutilizzati” (1,2 milioni di posti). È questione di libertà, che viene prima, ha detto Bruno Trentin. La sua lucida lezione è ancora tutta lì, da studiare.

Nell’anticipare i problemi, crescono il “con-correre” e la produttività, e si dimezzano i costi. In realtà, il lavoratore insoddisfatto prova a cambiare, ma spesso da solo non ce la fa, perché ha fragili reti di relazione. Ed è un’ingiustizia. L’impresa invece non può. Dai 16 dipendenti è vincolata. E si è creato – ha ragione Carlo Bonomi, neo presidente di Confindustria – un certo clima “anti impresa”.

Liberare entrambi! Consentire loro di utilizzare Agenzie del lavoro pubbliche o private in concorrenza: fare il libero mercato del lavoro. Pubblico e privato possono collaborare in molti modi e le Associazioni d’imprese e i Sindacati dei lavoratori sono liberi di contrattare, favorire, orientarsi alla reciproca scelta tra imprenditori e lavoratori, come auspica Ichino. Ma, attenti, il diritto-dovere deve essere in capo ai singoli soggetti. E c’è un soggetto debole, il lavoro, che va accompagnato. Un po’ come faceva Don Bosco nell’800: orientare, formare, aiutare, accompagnare.

Milano e Monza e Brianza sono pronte con le loro storiche AFOL – Agenzia Formazione, Orientamento e Lavoro. Il privato pure. Diamo retta a Salvatore Natoli! Era – l’anticipare, non lamentarsi, non stare seduti, non farsi assistere, a debito! – nello spirito e nella lettera della Flexsecurity europea che in Italia non ha avuto corso. Merita, questo passo, di essere da tutti riletto e meditato:

“La flessibilità significa assicurare ai lavoratori posti di lavoro migliori, la ‘mobilità ascendente’, lo sviluppo ottimale dei talenti. […] La sicurezza, d’altro canto, è qualcosa di più che la semplice sicurezza di mantenere il proprio posto di lavoro: essa significa dotare le persone delle competenze che consentano loro di progredire durante la loro vita lavorativa e le aiutino a trovare un nuovo posto di lavoro.”2.

Francesco Bizzotto

1 Salvatore Natoli, 1942. Il Sole 24 Ore, 18 febbraio 2010

2 Verso principi comuni di Flessicurezza. Comunicazione della Commissione europea – 27.06.2007

 



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  1. valentino ballabioL'assioma ideologico alla base di tutto il ragionamento è noto: “esistono gli individui, non la società”. I lavoratori non sono comunità aziendale, sindacato, classe ma entità singole, in concorrenza tra di loro, liberi di scegliere il datore di lavoro che paga di meno e sfrutta di più. Invece che 50 anni dopo lo Statuto sembra di dover tornare a 100 anni prima!
    3 giugno 2020 • 14:53Rispondi
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