16 marzo 2010

LAMBRO E LEE RIVER. UN CONFRONTO IMPOSSIBILE


Anche gli inglesi avevano, nei dintorni della grande Londra, una specie di Lambro: un fiume, il Lee River, affluente in sponda sinistra, e quindi da nord, del Tamigi, assai degradato e inquinato, lungo il quale si erano venute localizzando nel tempo vaste aree destinate all’escavazione di ghiaia e sabbia.

Ma, in un paese in cui la pianificazione del territorio non c’è solo sulla carta, dopo anni di studi e proposte, maturati nell’immediato dopoguerra come sviluppi del piano di Londra di Abercrombie, il Parlamento nel 1967 aveva assunto una decisione politica idonea a innescare una decisa inversione di tendenza e aveva istituito il Lee Valley Regional Park. Si era così avviato un processo, sviluppatosi per quarant’anni e che in parte è ancora in corso, con un obiettivo molto chiaro: l’area fluviale della Lee doveva essere sottratta a ulteriori compromissioni e doveva essere tutelata e, per le parti già degradate, progressivamente recuperata, per farne un parco destinato al tempo libero dei cittadini, alla ricreazione, allo sport e dunque alla vita all’aria aperta, in un ambiente naturale e in un paesaggio risanato.

Un parco della superficie di circa 4000 ettari, con un’estensione in direzione nord – sud, lungo le sponde del Lee River, di circa 42 Km., da Ware (nell’Hertfordshire) fino al Tamigi (nei pressi dell’East India Dock Basin) e che tocca e serve dunque tre regioni, l’Hertfordshire appunto, l’Essex e la Grande Londra; un parco che si presenta come un grande mosaico di campagna aperta, di spazi verdi urbani, di parchi naturali, di riserve, di laghetti, di luoghi storici, ma anche di centri sportivi e ricreativi, campeggi, ostelli e attrezzature varie, con il doppio forte connettivo del fiume, in primo luogo, e poi del ricchissimo sistema di percorsi, pedonali, ciclabili, equestri, che innerva l’intero parco e lo interconnette fortemente al territorio

Ci sono stato l’anno scorso, con un viaggio di studio promosso da Italia Nostra di Milano. Un itinerario molto interessante tra le aree verdi londinesi, a partire dai Royal Parks più classici e centrali, per passare a quelli più vasti e più esterni (sempre con approfondimento dei criteri di gestione, incontri tecnici, visite guidate e vere lezioni di management del verde, da parte dei responsabili dei parchi via via incontrati) e che si è concluso appunto con questo grande parco territoriale, risultato stupefacente ed esemplare di quarant’anni di lavoro, un polmone verde che riqualifica e che dà un respiro, un carattere e un’anima verde all’intero settore metropolitano del nord-est londinese.

Ci siamo stati per apprezzare i risultati di questo lavoro di lungo periodo, in attuazione di un progetto di pianificazione territoriale (cosa da noi non molto frequente), ma ci siamo stati anche per vedere e capire quel che si sta facendo oggi, e come: perché in quest’area sono stati collocati due degli interventi più importanti programmati per le Olimpiadi 2012, e ci stanno appunto lavorando.

Abbiamo visitato il cantiere dell’Olympic White Water Canoe Centre a Waltham Abbey, circa a metà parco (l’altra zona olimpica, più vasta e importante, è più a sud, a un paio di miglia dal Tamigi) e abbiamo così appreso che intenzionalmente si sono collocate queste attrezzature olimpiche su aree inquinate da bonificare, così da usare i soldi stanziati per le Olimpiadi per bonificare le aree, realizzare le attrezzature (in tempo! anzi, il Centro per le Canoe sarà già a disposizione dei cittadini, per essere anche collaudato, alcuni mesi prima dei giochi olimpici!) e per avere, a giochi conclusi, nuove attrezzature per il Parco, in gestione al Parco e in estensione del Parco stesso.

Non voglio fare troppo facili raffronti (ad esempio su quanto diversi siano stati da noi i criteri di localizzazione dell’area EXPO). Proviamo a vedere il bicchiere mezzo pieno. Anche da noi, sull’asta del Lambro, ci sono tre parchi.

Manca però il coraggio (e le risorse) per interpretarli come strumenti, non solo di conservazione del residuo verde esistente, ma anche di riqualificazione e bonifica territoriale (e ambientale e paesaggistica) di area vasta, affrontando il problema delle aree inquinate, degradate e variamente compromesse.

Manca la consapevolezza, la cultura, di quanto importante, essenziale e urgente sia per la nostra epoca storica il recupero dei guasti ambientali di cinquant’anni di urbanistica selvaggia e di mancata manutenzione e gestione del territorio.

Manca la cultura, e infatti la prospettiva di un’inversione di tendenza non è affatto all’orizzonte: e non è solo questione di mancanza di piani, di progetti e di investimenti pubblici, ma anche di mancanza di buone pratiche sociali, di idee, di sensibilità dal basso, per un rapporto col territorio fatto di cura e tutela anziché di semplice predazione o consumo.

 

Francesco Borella



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