26 giugno 2018

BALLOTTAGGI IN LOMBARDIA

Lettura complicata ma segnali chiari


Nella prima repubblica tradizionalmente le elezioni amministrative costituivano un banco di prova per misurare l’apprezzamento delle politiche governative, tradizionalmente i partiti di opposizione erano avvantaggiati, tradizionalmente le sinistre ed in particolare i socialisti erano più forti alle amministrative, tradizionalmente i partiti moderati perdevano consenso a favore di liste civiche, di scopo e dei partiti minori, tradizionalmente i partiti di sinistra tendevano a mimetizzarsi nelle liste del “campanile e della torre”, memorabile la lista Vesuvio di Arturo Labriola a Napoli.

03Marossi_24Tuttavia quasi sempre l’effetto traino rispetto alle politiche era modesto, tant’è che alle elezioni regionali del 1975 quando sembrò possibile il sorpasso comunista sulla DC la differenza essendosi ridotta a circa 500.000 voti, seguì alle politiche dell’anno dopo una vittoria DC che recuperò più un milione di voti.

Una delle caratteristiche che contraddistinguono il voto amministrativo è l’alto numero di contendenti con la conseguente battaglia delle preferenze e l’alto numero di liste.

Con una grande differenziazione geografica tra nord e sud dove il tasso di preferenza è molto più alto, infatti se in Lombardia, grossomodo, danno la preferenza 23 elettori su 100 in Basilicata e Campania si sfiora il 90%

Questa diversità tra voto politico e amministrativo si è di molto accentuata con l’introduzione dell’elezione diretta del sindaco e il doppio turno; la personalizzazione della competizione e l’esplosione delle liste del candidato hanno reso sempre più discutibile la comparazione dei dati. Come fare ad esempio a Brescia a comparare le municipali (18 liste e 534 candidati) con le politiche con altrettante e diverse liste ma solo candidati uninominali?

Gli unici dati vagamente comparabili sono quelli dei 5 stelle che si presentano sempre da soli e senza alleati, consentendo quindi un raffronto relativamente semplice.

A Cinisello Balsamo, ad esempio, il candidato presidente alle regionali prese 9.331 voti su 38.000 voti espressi, alle politiche (camera liste) 10.522 voti su 38.000 voti espressi, per crollare alle comunali a 2.724 voti (candidato a sindaco) su 27.000 votanti.

Più che il dimezzamento percentuale colpisce il crollo dei valori assoluti.

Questo andamento comune a quasi tutti i comuni dove si è votato (a Brescia i 5 stelle sono passati dai 15.000 del candidato presidente regionali ai 4.478 voti del candidato a sindaco, a Bresso hanno perso il 66% dei voti tra le due elezioni, come ad Arese) lungi dal giustificare un giudizio di crisi del movimento che vede le percentuali dimezzarsi e registrare una diffusa irrilevanza, evidenzia una indifferenza, una diversità voluta tra il voto politico e il voto amministrativo nel mondo 5 stelle.

In pratica i vertici pentastellati, forse sulla base delle esperienze precedenti, guardano con diffidenza alle liste ed ai candidati del movimento per le elezioni locali, in taluni casi giungendo al punto di non presentarsi come a Siena.

Sono a tutti gli effetti partito d’opinione con un ricambio di elettori tra comunali, regionali e politiche che non ha precedenti nella storia repubblicana.

Questa caratteristica dei 5 stelle rende ancor più difficile analizzare l’andamento degli altri contendenti; ad Arese, per esempio, il candidato a sindaco del centro sinistra surclassa Giorgio Gori sia in valori assoluti sia in percentuale e lo stesso PD migliora la performance, mentre a Gorgonzola, pur perdendo al primo turno il PD in valori assoluti e in percentuale, riesce a vedere il candidato sindaco del centro sinistra vincitore al secondo turno.

Si può sostenere che in Lombardia il PD abbia tenuto, non sia stato travolto, soprattutto grazie alla performance di Brescia, tuttavia per i PD il ragionamento è speculare a quello applicabile ai 5 stelle; se infatti questi ultimi sono abbastanza indifferenti all’attività amministrativa il PD attribuisce al risultato amministrativo un valore catartico.

Come non ricordare i commenti entusiastici all’elezione di Pisapia, la festa in piazza Duomo, i rimandi alla liberazione ed al 25 aprile. La sinistra riformista ed in particolare quella lombardo milanese resta legata alla cultura del “socialismo municipale”, alla tradizione iniziata più di un secolo fa con Caldara, quindi ogni sconfitta amministrativa è vissuta come una crisi identitaria indipendentemente dall’effettivo peso elettorale e politico del comune.

C’è una drammatizzazione eccessiva nella sconfitta di Cinisello come c’era stata in quella di Sesto: forse però l’anomalia non è perdere, ma governare per 75 anni a fila anche perché la continuità è tutta e solo ipotetica, talvolta fantasiosa (cosa c’entri infatti la Sesto comunista degli anni ’50 o la Cinisello di Pozzi e Lio con il PD di Renzi me lo devono spiegare).

Pur vincendo a Brescia l’effetto lungo della disfatta di Gori continua a pesare sul PD che si aggrappa a Sala e al modello Milano come un pellegrino cattolico alla Madonna di Lourdes.

Tutto ciò premesso, e non dimenticando la scarsa partecipazione al voto, in conclusione si possono spannometricamente identificare un sicuro perdente e un sicuro vincitore.

Sicuro perdente è tutto quanto sta alla sinistra del PD, che perde in voti assoluti e in peso percentuale, ma soprattutto perde in posizionamento perché dove si allea con il centro sinistra moderato non è quasi mai determinante e, dove se ne separa, viene accusata di disfattismo e di intelligenza con il nemico, in continuità con l’infelice candidatura del buon Rosati.

Sicuro vincitore Salvini, che doppiata Forza Italia alle regionali, incamera il consenso politico delle varie liste civiche di centro destra e riduce Forza Italia al 3% a Sondrio, al 7% a Brescia (contro il 24% alla Lega), al 6,82% a Cinisello (contro il 24%), al 10,97% a Seveso (contro il 30%); al 5% a Brugherio (contro il 18%). In pratica senza primarie e patti sottoscritti Salvini ha archiviato l’epoca berlusconiana tagliandone le radici locali e rinviando una campagna acquisti a prezzo di saldo.

La sua affermazione “oggi Cinisello, domani Milano” non appare una “bausciata” ma un preciso progetto politico, nemmeno tanto campato in aria.

Walter Marossi



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