15 maggio 2018

IL “MODELLO MILANO” È ESTENSIBILE FUORI LE MURA?

La irrisolta rimozione della questione metropolitana


Come dare concretezza alla città metropolitana”: titolo di un corsivo firmato dal direttore di questa testata, pubblicato da “la Repubblica” nel 2005 (*). Erano passati tre lustri dall’entrata in vigore della legge 142 del 1990 che, superando la vecchia legge comunale-provinciale del 1915, aggiornata nel 1923, aveva finalmente aperto prospettive nuove e moderne all’ordinamento degli enti locali. Tra le innovazioni più importanti la istituzione delle città metropolitane. Ebbene dopo altri quasi tre lustri alla Città metropolitana (o meglio alle 15 o 16 denominate tali) si è arrivati, ma di concretezza non si è avvertita neppure la traccia.

02ballabio18FBAncora nell’editoriale del 9 maggio ultimo scorso, a proposito del decantato “modello Milano” l’autore pone due domande. La prima contiene già la risposta: “Milano, senza una vera istituzione metropolitana, ce la farà a competere? Temo di no”. Timore del tutto condivisibile tenuto conto che le simili realtà competitive in Europa sono strutturate così da decenni, da Francoforte a Lione, da Amsterdam a Barcellona, ecc. per non parlare delle grandi Londra e Parigi. In Italia realtà analoghe sono Roma e Napoli, purtroppo in tutt’altre faccende affaccendate, risultando tutte le altre semplici etichette appiccicate col criterio di una miserevole lottizzazione geo-politica.

La seconda domanda: “con la legge Delrio, se ci fosse volontà politica, potrebbe prender corpo una vera città metropolitana?” Qui la risposta che mi permetto di dare è negativa. La legge Delrio è stata concepita sull’onda emotiva che ha banalizzato l’esigenza di una giusta razionalizzazione dell’ordinamento pubblico a mera “riduzione dei costi della politica”. Le province ne sono risultate le prime vittime, non abolite (anzi nel frattempo moltiplicate!) ma mutilate dell’elezione diretta e delle indennità degli amministratori residuali. Le “città metropolitane” hanno di fatto subito la stessa sorte: enti privi di identità politica, subalterni ai comuni a cominciare dalla centralità dei capoluoghi.

Pertanto tale legge non è a mio avviso emendabile: se si vuole fare sul serio va semplicemente ribaltata. Una proposta alternativa, più volte affacciata su queste colonne (una per tutte l’intervento del 25 gennaio 2017 “carta rifondativa per le province 2.0”, all’indomani del referendum costituzionale), si basa su quattro punti essenziali: riaccorpamento e relativo dimezzamento delle province a partire da quelle recentemente clonate; restituzione dell’elezione diretta in osservanza della riconfermata dignità costituzionale; limitate ma cogenti competenze in materia di governo del territorio, mobilità, risorse ambientali; effettivo decentramento del capoluogo metropolitano in autonome municipalità.

Vero tuttavia che anteporre la legge alla “volontà politica” è come mettere il carro davanti ai buoi.

Le “riforme” restano sulla carta, per quanto pregiata della Gazzetta Ufficiale, se non sono precedute ed accompagnate da una spinta consapevole, da una intuizione e visione della loro validità ed utilità.

Condizioni che a Milano e dintorni sono del tutto mancate nel trentennio. La questione metropolitana è stata snobbata e talvolta derisa fino a che, del tutto impreparati, ci si è visti piovere sulla testa una legge elaborata dall’ex sindaco di Reggio Emilia mentre quello di Milano dormiva.

Né le cose paiono a tutt’oggi cambiate. I programmi elettorali hanno del tutto eluso la questione, incuranti delle conseguenze – di diritto e di fatto – dell’esito del referendum del 4 dicembre 2016. Il vecchio pregiudizio che “trattandosi di ingegneria istituzionale non interessa alla gente” fa ombra al problema vero: che non pare interessare neppure al ceto politico-amministrativo in carica, responsabile degli strumenti concreti di governo della cosa pubblica.

Meglio veleggiare per ora col vento in poppa sul “modello Milano” che, a cominciare dal Sindaco Sala, si propone di estendere all’intero Paese. Ma è esportabile un modello che non raggiunge neppure l’hinterland e la Brianza (per non parlare delle stesse periferie interne)? E non si pone il dubbio che intanto viaggi su basi effimere, come accaduto alla “Milano da bere” degli anni ’80?

Valentino Ballabio

(*) Luca Beltrami Gadola, rubrica “Contocanto”, su La Repubblica, 5 luglio 2005.

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