27 febbraio 2018

CITTÀ STUDI E PROJECT FINANCING

L'uso di uno strumento finanziario a dir poco opaco


Uno strumento buono per tutte le occasioni o da usare con cautela quando si tratta di finanziare opere pubbliche? In un articolo del 23 febbraio scorso Il Corriere della Sera riferisce che il rettore Vago proporrà nei prossimi giorni al Senato Accademico il ricorso al project financing con il gruppo Lendlease, il concessionario scelto da Arexpo per lo sviluppo immobiliare dell’area Expo, per coprire i 130 milioni di euro che mancherebbero ai 380 milioni sulla carta necessari a concludere il trasferimento delle facoltà scientifiche da Città Studi. Non risulta dall’articolo che al momento esista alcuna offerta o impegno concreto sulle condizioni e i termini a cui verrebbe concesso il project financing.

06burgio08FBUna cosa mi è sembrato di notare: non a tutti i cittadini è chiaro cosa si intenda con project financing, e soprattutto a quali condizioni questo strumento possa risultare vantaggioso. Da anni viene utilizzato da varie amministrazioni pubbliche, con risultati invero poco felici, come nei casi già citati su questo giornale; ciononostante ora sembra al rettore Vago una buona soluzione per risolvere i problemi relativi al reperimento dei fondi mancanti al trasferimento da Città Studi.

Senza voler entrare nel merito delle varie forme possibili e dei diversi usi che si sono fatti o dei risultati che questo strumento ha prodotto, vale la pena di chiarire in cosa dovrebbe consistere e di fare alcune riflessioni relative all’impiego del project financing in modalità mista pubblico-privata.

Con lo strumento del project financing si affida in genere ad un soggetto progettazione, realizzazione, finanziamento e gestione di un intervento ripagando le infrastrutture e il servizio mediante la corresponsione di canoni e tariffe, da determinare caso per caso, in relazione alla tipologia dei servizi che si devono erogare.

Tutto ciò deve, da parte delle amministrazioni pubbliche, avvenire nel rispetto delle regole in materia di appalti o contratti pubblici, avendo cura della salvaguardia dell’interesse generale.

Questo richiede che si indicano gare ad evidenza pubblica a fronte di capitolati o documentazioni di gara che definiscano in modo compiuto ed esauriente l’oggetto, le clausole, i termini e le condizioni del contratto, mettendo in grado più concorrenti di partecipare alla gara, raccogliendo un congruo numero di offerte e scegliendo poi con procedure trasparenti l’offerta migliore.

Tutto ciò consente all’ente, sia pubblico che privato, di scegliere se svolgere un servizio a condizioni vantaggiose direttamente in proprio oppure tramite terzi, disposti ad assumersi tutti gli oneri che il servizio richiede di coprire percependo un canone con il quale ammortizzare tali oneri e realizzare i profitti attesi dall’attività intrapresa.

Può essere infatti conveniente, ad esempio, per un ospedale o un’università, affidare a terzi il servizio di fornitura dell’energia e del calore invece che gestirlo in proprio, o in house, come si suol dire.

La scelta dipenderà dalle situazioni concrete in cui l’ente si trova ad operare e dipenderà dalla somma dei vantaggi/svantaggi che la soluzione in house comporta; quella con il minor costo e le migliori garanzie di continuità ed efficienza del servizio resta comunque in linea di principio la scelta che un oculato amministratore è tenuto a fare.

Nell’esempio citato (servizio di fornitura calore/energia) sono chiari e ben definiti i ruoli: da una parte abbiamo un committente e dall’altra un esecutore scelto in base a una gara ad evidenza pubblica; le rispettive responsabilità sono ben chiaramente precisabili; tariffe, canoni, garanzie, penali possono essere preventivamente pattuiti e dipendono da fattori oggettivi.

Ben diverso è il quadro in cui si trova ad operare la committenza pubblica e l’imprenditoria privata quando si tratta di ricorrere al project financing chiedendo al privato di contribuire al finanziamento parziale del progetto, con la costituzione anche di società miste per la gestione dell’intervento (come è avvenuto per le linee metropolitane M5 e M4 milanesi). Il piano economico-finanziario si baserà su previsioni che dipendono dagli studi di mercato e dalle stime della committenza (ad esempio numero, frequenza e trend delle utenze a cui è destinato il servizio), che esulano certo dalle competenze e responsabilità del privato, sulle quali quindi il privato non assumerà di certo alcun rischio. In base a queste stime si definiranno i capitolati per le gare ad evidenza pubblica per affidare il contratto, un contratto di natura alquanto complessa, in cui rimarranno ampi margini di discrezionalità nella stesura delle clausole da inserire negli accordi tra le parti, nella determinazione delle tariffe, delle penali in caso di inadempienze, della certificazione della qualità delle prestazioni e dei servizi, delle modalità di regresso e della governance della eventuale società mista tra enti pubblici, soci privati e istituti finanziari coinvolti.

Dato che il progetto esecutivo è ancora da sviluppare, perché posto a carico dell’aggiudicatario, è del tutto presumibile che si rendano necessarie revisioni e modifiche ai dati di progetto, che estensione e modalità del finanziamenti non siano del tutto vincolanti in sede di offerta. La conclusione è che con l’introduzione del project financing non si può sapere con esattezza a priori a quali canoni, tariffe, condizioni contrattuali, penali e premi, ove fossero previsti, sarà poi gestito ed eventualmente dato in concessione il servizio.

C’è poi da considerare che un soggetto privato in partecipazione con un soggetto pubblico interviene comunque per conseguire un profitto e, come è logico che sia, cerca di massimizzare questo profitto, in totale contrapposizione con il compito e il dovere che ha l’amministrazione di operare per salvaguardare l’interesse pubblico nella realizzazione del progetto avviato dalla partnership pubblico-privata.

Se il piano economico-finanziario dell’intervento si basasse su stime errate, ma poi le tariffe stabilite non consentissero di coprire costi di gestione e oneri finanziari, non sarebbe certo il partner privato a pagare le conseguenze, dato che le previsioni di utilizzo del servizio pubblico fanno capo all’amministrazione pubblica. Quando questo succede il danno è duplice, i contribuenti si trovano a dover sostenere tariffe esorbitanti per opere la cui utilità risulta poi evidentemente scarsa.

Le restrizioni imposte dalle norme introdotte nel 1999 per la realizzazione di opere pubbliche in project financing, sono state man mano ridotte e molti vincoli sono stati tolti. Certo non è semplice definire una normativa in grado di coprire in modo esauriente tutte le problematiche che un intervento complesso come il project financing implica. Forse per questo l’Unità Tecnica Finanza di Progetto, istituita a suo tempo per supportare le amministrazioni nell’utilizzo del project financing è stata soppressa nel 2016.

Deve essere chiaro che la scelta del project financing come forma di intervento per fornire un qualsiasi servizio pubblico (sanità, trasporti, scuola) comporta inevitabilmente un maggior onere per i contribuenti rispetto all’affidamento diretto tramite gara, se non altro perché il privato si trova ad operare al di fuori della sacrosanta regola del mercato, la libera concorrenza.

Se non è possibile reperire tutto l’investimento necessario, perché ricorrere ad un parziale finanziamento privato, facendo ricadere sulle spalle dei contribuenti non solo la tassazione corrente, che serve a sostenere detti servizi pubblici, ma in aggiunta un parziale finanziamento privato di questi servizi?

Quanto sopra a prescindere dalla opportunità, dalla convenienza, dalla valutazione di tutte le conseguenze sul territorio, sull’offerta educativa, sulla visione sociale e culturale che la localizzazione in un’area come quella di Expo comporta.

E su quali basi, e di conseguenza con quale senso di responsabilità, il Senato Accademico della Statale potrà decidere il trasferimento all’area Expo nei prossimi giorni?

Paolo Burgio


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