13 febbraio 2018

CONTRASTO ALLA SCHIAVITÙ SESSUALE: LO SPECCHIO DEI DIRITTI

Una cultura che cambia troppo lentamente


Parlare del contrasto alla prostituzione e alla tratta è il modo più diretto per introdurre il tema dei diritti non negoziabili in questa tornata elettorale, dove la concretizzazione dei valori sembra lontana da intenzioni e programmi. L’invocazione più o meno generalizzata del recupero della prospettiva della pacifica convivenza civile (intesa in modi differentissimi da progressisti e conservatori estremisti), si dimostra velleitaria a causa del fatto che l’affanno più pressante dei politici è sempre quello di dimostrare la produttività economica degli stessi valori.

07cantatore06FBSentiamo spesso dire che “conviene accogliere i migranti perché ci pagano la pensione”, che la salute pubblica genera risparmio, da una parte e dall’altra si sente parlare del costo degli immigrati, “insostenibile”, di fronte ai diritti di altri cittadini. Si definiscono i valori: la vita, la lotta alla fame, la salute nella convinzione di nominare qualcosa di secondario, quasi un lusso. Entrare nel merito degli orientamenti che guideranno le politiche riguardo alla tratta e alla prostituzione, e insieme rivelandone i contorni e il numero spaventoso delle vittime, significa aprire un vero e proprio banco di prova sui valori enunciati.

Questo ci ha spinte, come donne che da tempo si oppongono alla depenalizzazione dello sfruttamento della prostituzione e a ogni forma di regolamentazione del sex work, a chiedere ai partiti di pronunciarsi chiaramente su questi temi.(*)

In Italia abbiamo una delle leggi più avanzate sulla libertà femminile e sul contrasto allo sfruttamento, la legge 75 Merlin del ‘58, che normalmente viene ricordata come la legge che “ha chiuso i casini”. Una legge mai davvero accettata sia sul piano civile che su quello politico, in ragione di una cultura fortemente legata alla visione delle donne come oggetti sessuali di consumo. Questa non accettazione ha fatto sì che la legge non sia mai stata veramente applicata, se non per un breve periodo con un ente (CIDD) ad hoc, che però si occupava solo delle reduci dai bordelli, quasi tutte ammalate di lue e invalidate dalle percosse. Per quanto riguarda lo sfruttamento, poi, è stato sempre posto l’accento sul “favoreggiamento”. Una specie di escamotage per eludere la legge, arrestando magari proprio le prostitute. La legge vigente in Italia al contrario vieta l’arresto delle donne ed è molto esplicita sullo sfruttamento.

Le vicende Italiane degli ultimi anni raccontano di una politica che “usa” la prostituzione come merce di scambio tra potenti, e raccontano anche di una diffusione a mezzo stampa di immagini giocose che volutamente nascondo la realtà di un mondo fortemente legato allo spaccio di droghe pesanti e di commercio lucroso in mano alla criminalità organizzata. Centri benessere e locali eleganti dove la prostituzione, dissimulata sotto diverse denominazioni, rappresenta il primo cespite, sono anche vere e proprie “lavanderie” per il denaro di provenienza illecita.

Ma il mercato della prostituzione, come tutti gli altri settori produttivi prevede diverse fasce di consumo, è nella fascia “più bassa”, quella delle strade e dei bordelli organizzati come luoghi di reclusione, che il collegamento con la tratta si fa evidente. Molto spesso la riduzione in schiavitù sessuale non è conseguenza dell’ingresso definito clandestino: il commercio delle schiave e dei bambini è il motore dei viaggi “della salvezza”. La gamma degli inganni e dei ricatti orditi per indurre le donne a lasciare i loro paesi è ormai ben nota, ma quello che ancora viene sottaciuto è che il principale strumento per asservire e “domare le ribelli” è lo stupro sistematico. Le 26 ragazze giovanissime morte per annegamento su una nave arrivata a Salerno nello scorso Novembre, non sono morte perché più deboli, ma, come hanno poi determinato le autopsie, portando i segni di punizioni corporali, erano vittime di violenza in previsione della loro schiavitù.

A ragazze come quelle qualcuno propone di destinare luoghi per l’esercizio della prostituzione, abolendo la legge Merlin, visto che la prostituzione “che scandalizza i benpensanti e le destre” è quella della strada, cioè quel mercato rifornito dai trafficanti di esseri umani. In tutta Europa, anche nei paesi dove lo sfruttamento della prostituzione è legale, le prostitute di strada sono aumentate e sono provenienti dalle rotte dei trafficanti.

Si fa spesso la distinzione tra prostituzione volontaria e coatta, è una distinzione strumentale non rispetto alla vittima o alla prostituta bensì rispetto agli sfruttatori. Il motivo della strumentalità risiede nel fatto che la prostituta o la vittima per la legge italiana non sono punibili, per il fatto di aver ricevuto un compenso o per essersi prestate sessualmente. Quindi la depenalizzazione della prostituzione e il riconoscimento della libertà di prostituirsi non può che riguardare gli sfruttatori.

L’obiettivo da parte dei liberalizzatori è quindi la legge Merlin: riaprire la case di tolleranza e trasformare gli sfruttatori in imprenditori. Questa che sembra da un lato l’aspirazione a restaurare un sistema che teneva lontane le prostitute dal tessuto sociale (anche pervasa dalla nostalgia per i bei tempi dei quartieri del piacere recintati, nostalgia riflessa e per lo più indotta da racconti), e dall’altro un “saggio” sistema per togliere dall’ombra e dall’improduttività un’attività remunerativa per la comunità nazionale, è un sistema per attaccare i valori, quelli che unanimemente vengono riconosciuti come valori della democrazia.

Stabilire chi può e chi non può prostituirsi, dove e quando farlo è in realtà attaccare libertà “non negoziabili delle donne” affermate precocemente e saggiamente dalla legge Merlin.

Attraverso il sistema dei “permessi e delle licenze” lo stato fascista moderava i comportamenti femminili li imbrigliava nella dicotomia sante o puttane. Oggi dopo sessant’anni di fronte ai principi fondamentali della legge 45 del 1958, di fronte all’inevitabile complicazione del dato globale che porta nel nostro tessuto sociale la pluralità umana, c’è chi chiede di erigere nuovi muri, quelli per nascondere la morte e schiavitù delle donne, e quelli per tenere fuori la salvezza delle vittime dell’occidente. Muri inutili, ma soprattutto mirati a riportare indietro l’orologio della storia.

Chi, come noi, crede che la libertà e la salvezza delle donne non sia ancora qui, deve impegnarsi a costruirla. Anche chiedendo la punizione dei complici dello sfruttamento delle donne: i clienti delle attività di prostituzione, che attraverso il denaro segnano il destino di ragazze, donne e bambine.

I modelli legislativi nordici (di Svezia, Norvegia, Islanda, Danimarca e oggi anche la Francia), che sosteniamo, hanno cominciato a risolvere il nodo delle responsabilità singole nella compravendita dei corpi e il concreto perseguimento dello sfruttamento. Ma anche qui si sta provvedendo a fare confusione. Per contrapporsi a chi chiede il reale contrasto dello sfruttamento sessuale delle donne, i “liberalizzatori” non possono più citare ad esempio il sistema tedesco, o di altri paesi Europei dove il sistema della legalizzazione è oggetto di un radicale ripensamento come avviene appunto proprio in Germania. È allora diventato necessario aggrapparsi a sistemi ancor meno credibili come quello della Nuova Zelanda (dove il voto alle donne è stato riconosciuto solo nel ’93) che liberalizza l’apertura di bordelli senza particolari permessi e vieta il controllo del rispetto delle regole, per esempio sui minori, da parte delle forze dell’ordine vietando loro l’ingresso nelle case di prostituzione.

Le Convenzioni Internazionali per l’eliminazione del gap tra donne e uomini, in particolare quella di Istanbul sul femminicidio, definendo i contorni del superamento dell’oppressione femminile, nominano esplicitamente lo sfruttamento sessuale tra le forme di violenza più lesive per la salute e pericolose per le donne.

L’ipotesi che alcune donne “prostitute volontarie” possano essere più libere (e lo sono) lasciando la maggioranza delle schiave sotto l’arbitrio di papponi in doppiopetto è davvero l’ultima follia del maschilismo italiano.

Stefania Cantatore

(*) Il gruppo promotore dell’azione politica sul modello nordico è formato da: Udi Di Napoli, Salute Donna, Resistenza Femminista, Iroko, Arcidonna, e altre 144 firmatarie tra le quali associazioni per la parità e contro la violenza



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