12 dicembre 2017

SMART KIDS IN SMART CITIES: MONTESSORI A MILANO

Un progetto “smart” d'istruzione, inclusione e innovazione per il sindaco Sala


Mi sono sempre chiesto cosa volesse dire telefono intelligente. Quando sono arrivate le politiche europee in favore delle città intelligenti ho cominciato a dubitare dell’intelligenza delle persone nelle istituzioni, ma ho subito intuito che forse c’era un problema semantico alla base e una trasformazione in atto.

bozzia41FBAvevo sentito parlare di intelligenza matematica e linguistica, emotiva e cognitiva, musicale e psicomotoria, relazionale e sociale, almeno per quanto riguarda gli esseri umani. Poi avevo letto di intelligenza artificiale nei romanzi di Asimov e ancora con riferimento a Deep Blue, il super calcolatore di IBM che nel 1997 sconfisse Kasparov a scacchi, e infine seguendo il dibattito sull’internet delle cose e sulla personalità giuridica dei robot.

Così mi piace ascoltare Elon Musk, il fondatore di PayPal e Tesla, che ha lanciato Neuralink per sviluppare neuro tecnologie in grado di connettere il cervello umano a sistemi intelligenti artificiali. Tutto questo è molto suggestivo e affascinante, io però continuo a incontrare ogni giorno persone paradossalmente disconnesse da se stesse, dalle persone e dall’ambiente circostante, tendenzialmente dipendenti dalla ripetuta distrazione autoinflitta.

WhatsApp per parlare tra genitori! Facebook per sentirsi parte di un gruppo di “amici”! Twitter per lanciare commenti che non si ha il coraggio di fare al bar! Applicazioni sofisticate utilizzate come scolapasta. Colleghi che discutono in “italo-inglese de noartri” per decidere quale piattaforma sia più adatta a lavorare insieme tra mail, chat, drive, cloud! Adolescenti che inseguono una realtà digitale ma aumentata, e che hanno toccato molte (troppe?) superfici di schermi a discapito di altre. Corpi e menti umane compressi a inseguire la potenza della tecnica, cercando di sembrare intelligenti e gioiosi. La torre di Babele era uno scherzo al confronto.

Cosa c’entra tutto questo con Maria Montessori (1870 – 1952), medico, femminista, pedagogista riconosciuta in tutto il mondo, tanto che oggi ci sono oltre 22.000 scuole nel mondo che ne utilizzano il metodo? La risposta me l’ha data Mario Valle, presidente di Montessori Scuola Pubblica, un’associazione milanese che promuove l’adozione del metodo Montessori nelle scuole pubbliche, durante uno tra le decine di eventi organizzati all’interno di “Dire Fare Educare”, la manifestazione organizzata a novembre dall’Assessorato all’educazione del Comune di Milano.

Valle, scienziato del Centro Svizzero del Calcolo Scientifico a Lugano, uno che ai supercalcolatori dà del tu, racconta delle scoperte delle neuroscienze e degli studi del professor Rizzolatti sui neuroni specchio. Queste confermano alcuni principi dell’educazione ispirata da Maria Montessori. I neuroni specchio sono una classe di neuroni che si attiva quando un individuo compie un’azione e quando l’individuo osserva la stessa azione compiuta da un altro soggetto. Il cervello umano è una rete complessa di neuroni, le cui connessioni vengono plasticamente selezionate in base all’esperienza che il corpo compie nell’ambiente attraverso i sensi. Buona parte dell’esperienza che modella le connessioni neuronali, quindi il cervello, quindi l’intelligenza di un essere umano, avviene nell’età evolutiva, in particolare nei primi sei anni di vita, attraverso l’esperienza motoria e sensoriale e l’osservazione.

Allora qual è la priorità politica per una città come la nostra? L’EMA a Milano con il suo miliardo e mezzo di indotto e 1.000 funzionari? Scoperchiare i Navigli chiusi a partire dal 1929 e finiti di interrare negli anni’60? O investire sull’educazione dei 33.000 bambini che ogni giorno frequentano le 280 scuole materne e nidi milanesi e sulla formazione e motivazione delle 3.300 educatrici dipendenti del Comune di Milano, che ogni giorno educano i cittadini di domani?

La scienziata Montessori non avrebbe dubbi: la costruzione di una città pacifica e intelligente si fonda sull’educazione nei primi anni di vita e senza quelle fondamenta, non c’è politica che tenga. Rispettare i tempi, le pause, le fasi e i modi dell’apprendimento dell’essere umano quando è bambino. Preparare l’ambiente, il materiale sensoriale, le attività di vita pratica atte a far crescere l’autostima, quindi l’autonomia e perciò l’indipendenza in un clima di fiducia. Imparare come adulti l’autodisciplina osservando l’emergere degli interessi naturali, gestendoli con poche regole chiare, e il sorgere dalla convivenza civile.

Il metodo Montessori può contribuire insieme con altri a rendere ancora più inclusiva la scuola milanese, proprio perché opera in gran parte a un livello precedente i disturbi specifici dell’apprendimento e le differenze linguistiche: opera a livello neuronale, potremmo dire, su basi che l’osservazione scientifica ha chiarito e confermato.

E se la grande opera dell’amministrazione Sala fosse mutuare tutto quanto di utile si trova nel metodo Montessori per applicarlo nella scuola pubblica milanese, materne e nidi? Scommetto che Parisi sarebbe d’accordo. E anche Larry Page e Sergey Brin, i fondatori di Google, che attribuiscono al fatto di avere frequentato scuole Montessori buona parte del loro successo imprenditoriale, potrebbero essere della partita: perché no? Montessori Milano potrebbe essere il prossimo progetto pubblico-privato di Alphabet. E Milano farebbe scuola, in Europa, negli USA e anche in Cina, come l’unica città sopra il milione di abitanti naturalmente pacifica proprio perché profondamente smart.

Gianluca Bozzia



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