24 ottobre 2017

ANCORA SUL REFERENDUM NAVIGLI: SCHIETTEZZA E CORRETTEZZA

L'obbiettivo non è la crescita dei valori immobiliari


A proposito del referendum sulla riapertura dei Navigli, già Luca Beltrami Gadola, pur non essendo convinto dell’utilità dell’opera, aveva auspicato su questa rivista e invitato a realizzare un dibattito informato, corretto, capace sia di analizzare in profondità le ragioni a favore e contro la realizzazione dell’opera che di sintetizzarle in modo non fuorviante o banale. Un obiettivo alla portata della cultura civica milanese, dato il carattere definito e puntuale che il progetto possiede, diversamente dalla genericità di tanti obiettivi anch’essi sottoposti a referendum nel recente passato.

08camagni35FBPurtroppo già la settimana successiva su questa stessa rivista l’invito è stato disatteso dall’intervento superficiale, e fuorviante di Giuseppe Ucciero dal quale dissento profondamente. Voglio qui brevemente parlare non del merito e delle ragioni pro o contro il progetto, ma di metodo: metodo nella comunicazione e nel dibattito pubblico e metodo di valutazione degli effetti possibili del progetto, avendo io guidato il processo di valutazione ex-ante dei benefici collettivi che ne scaturirebbero, pesantemente equivocati.

A chi e a che cosa gioverebbe l’opera? L’autore non ha dubbi e subito spara: “l’opera lavora per la rendita immobiliare”! Il perché, a suo modo di vedere, lo dicono “i progettisti stessi”, avendo valutato la generazione di 826,8 milioni di valori “edonici” a favore dei proprietari degli stabili interessati. L’affermazione non coglie la vera logica del metodo utilizzato che rappresenta la più recente e potente innovazione fra i metodi valutativi: il vantaggio collettivo di un bene pubblico immateriale o di un progetto che genera beni immateriali (come la qualità urbana, ambientale e urbanistica, elementi che non hanno un prezzo di mercato) è valutata non più, come si faceva in passato, interrogando la popolazione interessata sulla sua astratta “disponibilità a pagare” per avere quel bene pubblico o quel progetto, di difficile misurazione, ma sulla stima del futuro pagamento di un extra prezzo per quegli immobili che sono interessati dal progetto stesso.

Tale extra prezzo è misurabile econometricamente in modo preciso confrontando i valori immobiliari effettivi di mercato in quelle aree che già oggi (nel caso dei Navigli) fruiscono di una “vista sull’acqua” con quelli degli immobili che non possiedono tale qualità (a parità di tutte le altre condizioni edilizie e urbanistiche).

Questo incremento della rendita immobiliare, come si può agevolmente comprendere, non rappresenta certo l’obiettivo del progetto, ma lo strumento per misurare l'”ƞδονη’’(edoné), il “piacere” o l’utilità collettiva da esso creata. Naturalmente l’incremento di valore generato da questo progetto, come accade con tutti i progetti pubblici rivolti a migliorare la qualità (o l’accessibilità) dei luoghi, viene appropriato anche dai proprietari degli immobili interessati, ma ciò non significa che questi interventi non devono essere effettuati. Anzi, io credo che questo sia il compito fondamentale dell’urbanistica: produrre vivibilità, bellezza e accessibilità! Se poi si ritiene, come anch’io ritengo, che quest’appropriazione privata di rendita generata dagli interventi pubblici costituisca un “reddito non guadagnato”, come affermavano gli economisti classici, esistono ormai strumenti noti ed efficaci di “value recapture” attraverso la tassazione delle rendite di trasformazione – come è fatto oggi in molti paesi emergenti e come si è fatto a Milano in passato per finanziare parzialmente la linea 1 della metropolitana.

L’ignoranza di questi fondamentali dell’economia urbana può essere scusato, ma non la presunzione di costruire un discorso critico su queste basi malferme.

Una seconda scorrettezza che noto nell’articolo è quella di chiedere retoricamente quale sia l’apporto del progetto Navigli alla competitività economica dell’area milanese. E’ chiaro che la domanda è mal posta in quanto il progetto non risponde a questo obiettivo, ma a quello di migliorare il benessere dei cittadini (non dei turisti!) attraverso la predisposizione di vasti spazi pubblici di cui Milano è relativamente povera, come insegna il successo del progetto della Darsena. A dire il vero, si potrebbe argomentare con qualche fondamento che il progetto gioverebbe alla attrattività residenziale della città e magari per questa via potrebbe anche favorire decisioni localizzative di attività economiche esterne indirizzandole su Milano. Ma questi sarebbero effetti indiretti di difficile quantificazione, che infatti non sono stati misurati né tantomeno stimati fra i vantaggi del progetto.

Roberto Camagni

Politecnico di Milano



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