21 febbraio 2017

MODELLO MILANO: DUE QUESTIONI DI LIBERTÀ

Scali e assessora Cocco:il profilo una di città ribelle e libera


Nei molti commenti sulle tormentate vicende del Pd si trova sempre più spesso una sentenza intenzionalmente definitiva: la politica è morta. È morta per afasia, qualcuno dice per noia, per autoreferenzialità, qualcuno per indifferenza. Dove è morta? Al centro ma non certo in periferia, in Parlamento ma non nelle città. Lasciando da parte per il momento la questione delle palme, risibile in sé ma inquietante sul sistema di decisione sull’uso dello spazio pubblico, vale la pena di pensare alle vicende degli scali ferroviari e dell’assessora Roberta Cocco, vicende queste che hanno aperto dibattiti e aprono scenari nuovi e nuove questioni legate al ruolo delle città e di chi le governa.

01editoriale07FBIl ruolo delle città è cambiato, cresciuto, un dato di realtà, ed è inversamente simmetrico alla perdita di ruolo politico del Parlamento e dei suoi eletti nel rapporto tra potere e cittadini, tra eletti ed elettori, tra politica politicante e realtà: è inutile andare nei “territori” per capire che sono già nati e stanno nascendo nuovi corpi intermedi in grado di rappresentare le attese e i bisogni del Paese.

Il ruolo delle città sta assumendo connotati diversi a partire dal “ribellismo” del quale ha già parlato il sindaco De Magistris in un’intervista a Left nel luglio del 2016, prendendo atto dell’esistenza di un nucleo di “città ribelli” tre le quali cita Madrid, Atene e Barcellona: come dice il barcellonese Joan Subiratz “Gli Stati sono finiti ma saranno le città ribelli a cambiare l’Europa”. Io aggiungo: la politica.

Le “città ribelli” non accettano il ruolo subalterno rispetto allo Stato centrale e di questo gruppo fanno parte a pieno titolo Birmingham, Bristol, Grenoble, Wodice, Slupsk e, come scrive Francesco Cancellato su Linkiesta, anche la Torino di Chiara Appendino.

Oltre oceano già nel 2012 esce il manifesto delle città ribelli per la penna di David Harvey: Rebel Cities: From the Right to the City to the Urban Revolution. Preso atto che le città sono i centri di accumulazione del capitale e devono essere quindi in prima linea per la lotta su chi ha il “diritto alla città”, Harvey si chiede: chi detta la qualità e l’organizzazione della vita quotidiana? Sono gli sviluppatori e finanziatori o le persone? I cittadini? Coloro che più da vicino li rappresentano?

Siamo nel solco del pensiero di Henri Lefebvre, l’autore di Le Droit à la Ville, un profondo conoscitore delle dinamiche urbane e duro critico da sinistra della società e delle sue evoluzioni, padre ideologico del ribellismo urbano e del ’68 ma, come chi l’ha seguito, pervaso da uno spirito anticapitalistico che ne determina, a mio modo di vedere, anche il grave limite: i conti col capitalismo, oggi come non mai, vanno fatti.

Milano dunque “ribellista”? Sì, se per ribellismo s’intende un ambito nel quale collocare il rifiuto di cessione della propria libertà di cittadini di fronte a politiche lontane dai propri interessi generali, da quelli che chiamerei interessi di vicinato, dalle proprie aspettative generali, culturali e politiche: il dibattito sugli Scali è questa ricerca/richiesta di libertà.

L’affaire Cocco è un altro capitolo che potremmo intitolare “Guardare il dito e non la luna”. La resistenza a mostrare i propri redditi nonostante il disposto normativo, l’averli più o meno ingenuamente sbagliati, il conflitto di interessi tra un assessore e la sua partecipazione in un’azienda fornitrice del medesimo Comune, sono gravi e forse vale la pena di insistere per le sue dimissioni ma queste dimissioni sono in realtà inevitabili perché l’azienda è la Microsoft e non un qualunque fornitore di rubinetterie. Curioso che Beppe Sala nello scegliere questa assessora non vi abbia pensato e abbia solo guardato alla competenza specifica in materia di informatizzazione.

È in corso una guerra “mondiale” tra i giganti che offrono servizi informatici e chi cerca di difendere i cittadini dall’invadenza delle multinazionali del digitale che utilizzano le informazioni fornite loro come utenti dei loro servizi per “profilarci” e “venderci” ai produttori di beni, di altri servizi simili in segmenti minori, ai policy maker.

I giganti dell’informatizzazione sono in grado di esercitare quella che il sociologo francese Pierre Bourdieu chiama “violenza simbolica” che tende attraverso l’informazione – e la sua gerarchizzazione – a definire una visione del mondo, dei ruoli sociali, delle categorie cognitive, della struttura mentale.

Nei rapporti con queste multinazionali il semplice cittadino – quello che in questo caso la sinistra dovrebbe classificare tra gli “ultimi” se sapesse cogliere i cambiamenti – è indifeso e l’asimmetria di potere è totale ma lo stesso discorso non vale per una pubblica amministrazione. Posto che la riservatezza dei dati è in realtà inesistente in particolare all’interno di una stessa azienda, valgono di più le informazioni che ti do – e che userai ai tuoi fini – o il servizio che tu dai a me? Il bilancio a chi è favorevole?

Giustamente Massimo Gramellini sul Corriere della Sera di sabato scorso ha titolato così il suo elzeviro sul manifesto di Mark Zuckerberg: “Fratello Zuckerberg“. Il nuovo Grande Fratello? Vale la pena di leggerlo perché in poche righe c’è tutto, tutto il dramma di un’umanità lasciata dalla classe politica alla mercé della globalizzazione informatica.

Quanto dei dati che un’amministrazione pubblica fornisce su di sé o sui suoi cittadini, a cominciare dall’anagrafe, non saranno utilizzati a fini diversi da quelli previsti contrattualmente col fornitore di servizi informatici? Chi vigila?

È una violazione della propria libertà il fatto che all’insaputa dei cittadini l’amministrazione pubblica metta senza filtri a disposizione di un operatore più interessato alle proprie dinamiche di mercato o a propri disegni di governance mondiale, come dice Gramellini, che non alla semplice esecuzione di un contratto.

Milano in questa guerra sarebbe un combattente piccolo e irrilevante? Forse dobbiamo allearci con altre città ribelli per avere peso in questa battaglia per la libertà. Forse questo inizio di ribellione diventerà “virale” proprio passando da Internet e comunque non si comincia bene partendo con in casa un membro dello Stato maggiore dell’esercito nemico. A chi compete a Milano la difesa della libertà dei cittadini? Al primo di loro: il sindaco. Come sostengo da tempo.

Luca Beltrami Gadola

 



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