7 febbraio 2017

CITTADINANZA, PARTECIPAZIONE, AMMINISTRAZIONE: QUALE MODELLO?

Tra il dire e il fare i rischi di uno scollamento


C’è stato un momento in cui tutto andava dalla stessa parte. Una atmosfera. Che era anche una bolla di innovazione sociale, di costruzione di un modello amministrativo e di sviluppo, imperniato sulla partnership pubblico privato: la partecipazione ai tempi della sharing economy.

mattace05FBOra in città si avverte un qualche tentennamento. Serpeggia tra la pagine dei social un po’ di disincanto. Quelli che “È la giunta che conta” si raccapezzano poco, con l’attuale stile dominante manageriale e la sua comunicazione. Emanuele Patti, che a lungo è stato presidente Arci Milano e portavoce del Forum del Terzo settore, interpella su Facebook segnalando che è venuto meno un ingaggio, una adesione, come ci fosse una tendenza di ritiro al privato.

Una altra spia, la riflessione che propone Davide Agazzi dalle colonne de gli Stati Generali: la nuova economia urbana vocazione sociale e inclusiva, traino del modello Milano è episodica o sistemica, ha impatto sui grandi numeri o si riduce a una bolla? “Quella “scena economica” che descriviamo come il prodotto di economie di relazioni, costruzione di comunità, beni comuni, spazi che diventano luoghi e imprese ibride che producono forme di welfare generativo, rischia (a tendere) di essere catalogata più come una specie di “hipster economy”, figlia di una Milano in fondo sempre fighetta e di un ceto medio altamente scolarizzato, cresciuto tra quelli che tra qualche anno chiameremo forse privilegi, capace di generare valore economico ma incapace di generare impatti su larga scala o semplicemente forme di lavoro non precario.

Milano si trova oggi ad un bivio. Può diventare uno dei più grandi laboratori di innovazione economica e sociale d’Europa, aprendo la strada ad una ripresa in grado di contagiare tutto il Paese. O può generare nuove forme di lusso per una nicchia globale sempre più sofisticata, costruendo campane di vetro collegate ad altre campane di vetro.”

Dal punto di vista istituzionale invece l’istanza politica sulla partecipazione era finalmente approdata con la creazione dell’assessorato alla Partecipazione Cittadinanza attiva e Open data, che per ora sembra più agire in ordine alla innovazione digitale e agli open data a braccetto con l’assessorato alla Trasformazione digitale e servizi civici. L’impostazione che traspare della relazione amministrazione – cittadino è quella che ha come obiettivo strutturale la semplificazione del rapporto, l’organizzazione del flusso: la creazione della cartella unica, il cruscotto, lo sportello digitale non incrina minimamente il modello storico (“monarca -suddito”), non lo mette in discussione.

Nella newsletter Informa-mi i cittadini paiono considerati più turisti della loro città che protagonisti, dei clienti spettatori che vengono informati dell’offerta (ingressi gratuiti, manifestazioni..) o interpellati come audience in contest (vota “Vota Milano best destination 2017”). Il potenziale delle tecnologie nella costruzione della democrazia civica in questo caso non pare sfruttato, c’è una sorta di scollamento tra gli strumenti e gli usi che se ne fanno, proprio quando il clima generale richiederebbe lo sforzo maggiore per coinvolgere in termini di ingaggio la cittadinanza.

All’interno della amministrazione abbiamo contemporaneamente nel progetto di welfare WeMI un tentativo di rendere sistemico il ruolo del Comune nel farsi infrastruttura abilitante di incontro tra domanda e offerta, garantendo la qualità dei fornitori. Nel momento in cui il mondo chiude le porte, noi scommettiamo sulla costruzione di comunità attraverso l’erogazione di servizi forniti da portatori di altri bisogni. Lo schema è che il Comune si mette in mezzo crea il match, puntando sulle risorse creative dei propri cittadini, considerandoli capitale umano pregiatissimo, garantendo per loro. La risposta al rischio hypster economy potrebbe arrivare dal privato sociale del terzo settore.

D’altro canto lo stesso Assessorato alla Partecipazione si fa soggetto attivo in questi giorni nell’organizzare una riflessione sugli strumenti e le pratiche “Voce del verbo partecipare Dal principio alla pratica. Inclusione, intelligenza e responsabilità collettiva” che sembra voler mettere a sistema l’elaborazione e le proposte: rimane singolare che non sia esplicitamente in agenda il processo attualmente in corso attivato sugli scali ferroviari.

La tre giorni di workshop di dicembre è stata esemplare e didattica nelle sua dinamiche di realtà e di narrazione. La cittadinanza ha apprezzato la professionalità a servizio, che ha istruito i contenuti, e strutturato l’organizzazione, perché si è superato lo schema di spontaneismo assembleare. Il processo va accompagnato: in ogni gruppo c’era un mediatore, un tecnico, un custode. L’operazione ha dimostrato i suoi limiti perché la veridicità dell’impostazione si è scontrata, e tuttora si scontra, con la sua applicazione sul piano temporale. Il linguaggio, la sequenza e la struttura affermano una ipotesi di partecipazione che viene negata nella sua messa in opera, spalmando l’operazione su tempi che la contraddicono alla radice, rischiando di scivolare nella simulazione.

In quegli stessi tre giorni se anche tutto era fatto “comme il faut” nella sostanza l’asimmetria informativa non è stata scalfita, e i documenti messi a disposizione a gioco finito. Quella che doveva essere la base della discussione non è stata resa lì disponibile per la mancata appropriatezza dei tempi, troppo compressi. Senza dar conto del vulnus di fondo della terzietà (o meglio della sua negazione) dei soggetti proponenti, su queste colonne già ampiamente discussa.

Altrimenti stiamo smerciando per partecipazione quello che è un tour informativo: diverso è allargare il più possibile la platea degli uditori, da allargare quella dei decisori, su degli ambiti precisi e codificati. Attenzione a non perdere dei tasselli per strada in nome di un efficientismo patinato.

 

Giulia Mattace Raso

 



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