2 dicembre 2015

LA PARTECIPAZIONE AI TEMPI DELLA SHARING ECONOMY


Della sharing economy si è detto tutto e di più in queste settimane, e della partecipazione pure. E forse questa compresenza nell’immaginario collettivo ha reso più evidenti le implicazioni e le connessioni profonde che legano “partecipazione” e sharing economy. Di fatto condividono un paradigma di fondo, che è quello della sussidiarietà, e (ri)mettono in discussione il modello di democrazia. Un modo di relazionarsi tra pari (peer to peer) che interroga la pubblica amministrazione e la induce a ridefinire il proprio assetto.

09mattace42FBLa giunta milanese sembra aver raccolto la sfida e ha deliberato di favorire la sharing economy (economia della condivisione e della collaborazione) come strumento per “rafforzare i processi di partecipazione, co-progettazione e collaborazione con la cittadinanza attiva”. Il più è capire se è a tutti chiaro che si tratta di sposare i nuovi paradigmi e le nuove forme di organizzazione e innovazione sociale e se l’amministrazione stessa è in grado di attivare questo processo di rigenerazione fino in fondo.

“La sharing economy presuppone un ripensamento strutturale dei rapporti tra economia e società basato sulla creazione di legame sociale come fondativo dello scambio economico, e ha come punto di partenza la consapevolezza (capacitazione /empowerment) del cittadino attivo e produttivo.”.

Accettando che le proprie funzioni, organizzazione, personale, procedure, mezzi, informazioni possano essere di tipo condiviso (e non di tipo tradizionale bipolare, ovvero istruite su due poli contrapposti – l’interesse pubblico e quello privato), lo Stato/amministrazione locale governa reti di collaborazione tra diversi soggetti tutti interessati alla realizzazione di uno scopo comune, secondo l’ispirazione dello “Stato regia”. Il Cittadino da portatore di bisogni diventa portatore di soluzioni (e le soluzioni si trovano sempre più spesso all’esterno degli organi competenti).

L’ipotesi della collaborazione presuppone una scelta di politica economica relativamente alla innovazione sociale, alla creatività urbana e alla innovazione digitale, mentre si abbandona in parte il modello di potere di comando/controllo ed erogazione di servizi per modificare gli strumenti di azione e organizzazione amministrativa.

Questo è quanto ha fatto in maniera decisa il Comune di Bologna con il “Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani” del maggio 2014, all’interno di una riflessione più ampia su “la città come bene comune e piattaforma collaborativa” che è stata al centro della prima conferenza internazionale sulla governance dei beni comuni urbani (il 6 e 7 novembre 2015), che per manifesto ha la seguente affermazione: 2+2=5.

“A Bologna ogni 10 anni cambia il 25% della popolazione, questo l’ha resa una città aperta, accogliente e ospitale verso l’altro e l’altrove. Queste nuove popolazioni urbane, grazie a questo approccio collaborativo, hanno oggi a Bologna la possibilità di contribuire a riscrivere e disegnare quotidianamente le regole della propria convivenza, individuare le direzioni che lo sviluppo economico urbano deve prendere, gestire servizi, attività, angoli di quartieri e beni della città insieme con l’Amministrazione. L’intento, infatti, è quello di consentire a queste energie civiche, sociali, economiche, culturali, istituzionali di ritrovarsi in un “patto costituzionale urbano”. Questo patto non può che essere scritto e attuato dai medesimi attori, ogni volta in maniera diversa e flessibile, capace quindi di adattarsi alle esigenze del territorio in costante mutamento, per seguire i cambiamenti delle città, organismi in continua evoluzione. A Bologna questo patto si chiama Regolamento sulla collaborazione civica per i beni comuni urbani.”.

È il momento di creare un nuovo sistema istituzionale ed economico basato sul modello di governance collaborativa e policentrica locale/urbana in cui i cittadini, la comunità, le imprese locali, i centri di conoscenza, le organizzazioni della società civile si prendono cura di e gestire beni comuni insieme con le istituzioni pubbliche (Iaione, 2013), in un ottica di partenariato pubblico – privato – cittadini istituzionalizzato.

La partecipazione figlia della sharing economy è una partecipazione proattiva che si fa carico della innovazione sociale e della riqualificazione urbana: attraverso la condivisione si costruiscono comunità concrete più forti, sane, connesse, con i nuovi strumenti, imprescindibili, delle piattaforme tecnologiche. Milano smart & shareable city, non può tralasciare di implementare il suo “ecosistema istituzionale collaborativo”, e cogliere le opportunità tecnologiche fondative della sharing economy  per rinnovare il coinvolgimento dei cittadini nei processi di democrazia deliberativa.

Giulia Mattace Raso

 

 



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