24 gennaio 2017

IMPIANTI SPORTIVI MILANESI. UNA VITA DIFFICILE

Quando le norme non conoscono la realtà


Gli impianti sportivi del Comune, così come una larghissima parte del mondo sportivo, ebbero un grande sviluppo durante il periodo fascista. Un impegno da parte dell’amministrazione che proseguì anche nell’immediato dopoguerra quando, nel tentativo di rilanciare economia e occupazione delle giovani generazioni, il Comune di Milano iniziò ad assegnare aree a uso ricreativo (essenzialmente campi da calcio), a privati cittadini che, con pochissime risorse e risibili investimenti, avviarono il primo connubio virtuoso tra pubblico e privato.

08peluso03FBFino al 1960 fu sempre il Comune a promuovere le politiche sportive, da un lato volte al recupero dei vecchi impianti e alla costruzione dei nuovi (Palalido e le piscine Scarioni, Ponzio e Murat e altri ancora), dall’altro alla diffusione capillare della pratica sportiva. Nel 1964 venne costituito il precursore di MilanoSport: il “Centro Milanese per lo Sport e la Ricreazione” che, mediante l’organizzazione di corsi amatoriali alla portata di tutti, gestiva una grandissima parte dell’attività sportiva di base.

A causa degli ingenti costi di gestione, sia in termini di risorse economiche, che di impiego di risorse umane, parallelamente il Comune avviò l’affidamento ai privati di alcuni degli impianti sportivi esistenti e delle aree edificabili per i servizi comunali. Da sempre il Comune di Milano ha provveduto al ripianamento dei bilanci, prima del CMSR e successivamente di MilanoSport, innescando un meccanismo di gestione delle politiche sportive, davvero poco lungimirante.

L’offerta di corsi a prezzi bassissimi, ha impedito alle associazioni che gestivano gli impianti sportivi del comune, di consolidare e incrementare le proprie attività, ha creato nelle casse della società partecipata degli ingenti passivi di bilancio (ripianati dal Comune) e ha impedito la manutenzione degli impianti a causa della cronica mancanza di risorse. Da un lato quindi il Comune ha agevolato la gestione fallimentare della partecipata e dall’altro ha reso ben poco appetibili gli investimenti di capitali da parte dei privati.

Il problema principale che riguarda la gestione degli impianti sportivi comunali è il mancato riconoscimento dell’aspetto sociale e aggregativo dello sport di base in termini di: tutela della salute, formazione delle giovani generazioni, prevenzione del crimine, controllo della periferie, creazione di posti lavoro, impiego cura e gestione proficua del tempo libero di giovani, anziani e famiglie.

Considerare un centro sportivo come suscettibile di sfruttamento economico, comporta l’impossibilità di rinnovare direttamente una concessione in scadenza, anche a fronte di nuove condizioni e di nuovi investimenti. Alle ASD e SSD che ogni giorno arricchiscono a proprie spese e con il proprio operato il patrimonio pubblico (investendo capitali nelle nuove costruzioni e/o riqualificazioni e provvedendo alla gestione sia ordinaria che straordinaria degli impianti), non solo non viene riconosciuto l’impegno, ma ne viene minato quotidianamente lo sviluppo, mediante l’applicazione di leggi, norme e provvedimenti che nulla hanno a che vedere con la gestione no-profit degli spazi .

Gli impianti sportivi comunali, essendo inquadrati come attività commerciale, passibile di sfruttamento economico, al termine della concessione rientrano nella disponibilità del Comune e vengono rimessi a bando.

Senza dimenticare che a tutt’oggi la nostra grande Milano non ha né una piscina olimpica e neppure un palasport, è necessario affrontare una riflessione condivisa, prima che lo scarno patrimonio del Comune in termini di strutture sportive, sia ulteriormente penalizzato dalla chiusura degli impianti gestiti dalle associazioni e società sportive dilettantistiche.

 

Camilla Peluso
Piccola Scuola di Circo SDD srl

 

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