18 gennaio 2017

LA MORTE DELL’URBANISTICA

Risposta ad Andrea Vitali


Ho letto con piacere l’articolo di Andrea Vitali che dice cose tutto sommato condivisibili. Rimango solo un po’ stupito da certi toni e da espressioni poco felici. Per carità la vis polemica a volte ci porta tutti a esagerare un po’, ma non credo di aver scritto “sciocchezze” e “baggianate”.
Temo invece che Andrea Vitali sia caduto per foga nella trappola di aver preso troppo sul serio il mio scritto, che aveva, fin nelle premesse, un carattere volutamente sopra le righe e provocatorio. O forse non ha letto con dovuta attenzione il disclaimer iniziale. Oh, non sto ritrattando. Semplicemente faccio notare che ho sin dall’inizio detto quali erano le regole del gioco. E non mi si può accusare solo perché le ho seguite.

10cafiero02FBHo semplificato, sì lo ammetto. So perfettamente che l’atto fondativo delle città romane (e non solo) è una cosa seria e sacra come lo era anche quello di alcuni singoli edifici (per esempio il tempio che ritagliava – da ?????- uno spazio sacro nel cielo, zonizzazione iperuranica!), ma il concetto mi pareva chiaro, anche senza sfoggiare troppi riferimenti colti.

Ho citato le mura perché sono, insieme ai tracciati con la loro immanenza e ai confini (catastali e non) gli elementi che influenzano, condizionano e costringono nel tempo la forma della città. Cosa c’è di sbagliato nel dire che Milano per esempio possiede una certa conformazione grazie anche ai vari “giri” di mura che sono stati costruiti nel tempo? Non ho mai sostenuto che fosse facile allargarle. O costruire all’esterno di esse. Ma è innegabile che sia stato fatto nei secoli. E che poi, con una certa disinvoltura, tutta milanese, le mura siano diventate materiale da costruzione, venuta meno la loro utilità bellica.

Mi si critichi nel merito se si vuole e non per quello che non ho scritto. Ho forse detto che il Piano Beruto è “solo” un piano di sviluppo edilizio? No. L’ho messo tra parentesi senza il “solo”, ma ciò non nega che allo stesso tempo il piano disegni (anche bene) una parte importante di città. Però parlare dell’asse di via Mascheroni omettendo gli enormi interessi economici e immobiliari (non c’era forse come relatore del piano stesso un certo G. B. Pirelli? La Piazza d’Armi del Castello non doveva essere tutta lottizzata?), significa fare un torto all’intelligenza del nostro caro ingegner Beruto. Ah, magari mi ricordo male io, ma il primo progetto di Foro Bonaparte non era mica dell’Antolini? Sì, lo so che era un cerchio invece del semicerchio attuale, ma poco cambia.

Mai detto che la griglia di New York (meglio dire Manhattan) sia nata spontaneamente, visto che il suo disegno risale al Commissioners’ Plan del 1811 (nel quale non era previsto Central Park). Ho scritto che la città che tutti conosciamo deve il suo iconico skyline alle regole insediative (zoning codes). Non credo che la grande mela sarebbe la stessa se vi fosse un limite di altezza, che ne so, di 20 metri in ogni isolato. E a proposito di immanenza dei tracciati vogliamo parlare di Broadway che ricalca un vecchio sentiero e che ha resistito nel tempo attraverso la rigida griglia o di Wall Street che prende il nome e la giacitura dalle mura originarie di Nuova Amsterdam?

Ai centri storici “salvati” dai piani dotati di rigide norme contrappongo i centri storici “sventrati” da altri piani, altrettanto rigidi. Per non andar lontano penso solo alla milanesissima “Racchetta”. Facciamo 1-1 e rimettiamo la palla al centro?

Per concludere ricordo che nel mio articolo ho scritto che non sono per il “liberi tutti” (cosa che peraltro sembra implicita nell’attuale urbanistica lombarda), ma ritengo che da un lato sia necessario riappropriarci della dimensione spaziale della città, leggendola anche attraverso i “segni” che essa tramanda nel tempo, dall’altro va compreso che gli strumenti attuali creati per “governare” le trasformazioni falliscono per arroganza e pochezza.

Ammettiamolo e proviamo a ragionare se esistano alternative reali ed efficaci.

 

Pietro Cafiero



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