14 dicembre 2016

QUANDO GLI AMBROGINI PRENDONO ATTO DEI CAMBIAMENTI SOCIALI

Unioni gay e migranti


La festa all’Arci Bellezza la sera del 7 dicembre per festeggiare l’Ambrogino ai “due Paoli”, Paolo Oddi e Paolo Hutter, uno avvocato l’altro giornalista e ambientalista, ha ripreso e forse anche ampliato il significato che avevano già voluto dare alla loro unione civile avvenuta a Palazzo Reale il 1 ottobre. Come nella cerimonia dell’unione, hanno scelto di rendere pubblica una vicenda privata, mostrando come un’onoreficenza a premiare le ragioni dell’unire le loro vite personali potesse non essere soltanto tale, come fosse invece da subito e interamente politico.

07nannicini41fbIl tema era infatti già scritto nella proposta fatta da Anita Pirovano, consigliera comunale, “..da sempre in prima linea nelle battaglie per i diritti civili e sociali nella nostra città. I loro percorsi ci parlano di un quotidiano impegno pubblico e privato per fare di Milano una città più aperta, eguale, libera. Una “nuova” famiglia milanese ha saputo trasformare il giorno del proprio riconoscimento in forma pubblica nell’occasione per ricordare a tutti il valore dell’accoglienza e la necessità di dare pienezza ai diritti dei nuovi cittadini Milanesi e Italiani.”.

Dunque anche gli invitati (lo erano tutti i lettori della pagina FB citata) sono stati attivamente partecipi di questo sentimento politico: la linea di una supposta differenza si sposta più in là e chi prende parola incrocia storie, temi e i luoghi, Milano, il nostro paese e alcuni paesi africani. Storie di chi è cresciuto in paese omofobi nelle leggi, e anche nelle società, nelle famiglie subendo la forza delle consuetudini che obbligano al matrimonio; chi se n’è andato, magari cercando rifugio qui, altri invece imprigionati per essere gay e le loro vicende vengono raccontate da altre/i.

Sempre più larghi i giri di sedie intorno ai tavolini raggruppati al centro del salone, sempre più vicini volti neri e volti bianchi, quasi tutti gay a parte due donne: una italotunisina di Milano e una eritrea di Roma, sempre più voci a raccontare la necessità e il desiderio di “incrociare (l’accoglienza e la convivenza) con il contrasto e il superamento dell’omofobia è una delle nuove possibilità e necessità del secolo …

Ciò che colpiva nelle parole di chi interveniva, un po’ a ruota libera e con una regìa quasi inesistente, testimonianze invitate e altre invece impreviste e inaspettate, era il continuo oltrepassare il confine tra la cronaca e i piccoli aneddoti delle vite con il quadro dei paesi di origine: le vicende che l’omofobia ha assunto in Egitto dopo l’elezione di Morsi e la breve esperienza di vite scopertamente vissute dopo la rivoluzione del 2011, la tolleranza in Nigeria delle feste gay nei locali frequentati dai figli delle ricche famiglie e la violenza verso gli altri.

Qualcuno ha detto anche del timore di molti, anche attivisti, dei paesi nordafricani che ogni forma di solidarietà proveniente dall’Europa possa rischiare di far assimilare l’omosessualità a qualcosa che proviene da “fuori,” è stato ricordato anche il legame già sperimentato nei mesi scorsi a Milano di solidarietà con i sei studenti gay di Kairouan in Tunisia incarcerati l’anno scorso per omosessualità secondo un molto discusso articolo del codice penale. Storie di solidarietà di comunità gay dall’Africa a quelle americane in occasione dell’eccidio di Orlando: in Nigeria, in Senegal, in Burkina Faso anche soltanto in casa hanno acceso delle candele.

Colpiva ascoltare un ragazzo nigeriano leggere un comunicato in italiano a dare rappresentanza all’ArcigayAfrica di Biella, necessità di protezione e rifugio per chi non ha piena libertà nel proprio paese, ed essere consapevoli che la sensibilità di tanti è viva nella città di Milano “Milano ha vissuto in modo particolare questa tensione e questa passione, con la sua cultura laica metropolitana alla quale si contrapponeva il Pirellone illuminato per il Family Day, la più o meno velata omofobia leghista. Dalla parte della causa lgbt, invece, sono state l’amministrazione Pisapia e poi anche la campagna elettorale di Sala” ricordava l’invito. Tensione e passione per “accorgersi che è un problema considerare i migranti sempre come destinatari delle nostre iniziative, e non vedere le forme di iniziativa che alcune comunità intraprendono”. Un educatore infatti raccontava di “attività sull’educazione autorganizzate: domani (8 dicembre) al teatro Carcano si terrà un concorso di bellezza delle ragazze e dei ragazzi filippini, e festeggiamo anche la prima unione civile di due donne filippine oggi a Milano”.

Molti tra i presenti a quella festa e molti altri e altre che sono presenti in altre situazioni (penso al bel reportage che Marina Petrillo sta pubblicando su OpenMigration,) siamo sempre più convinti che il tempo si stia muovendo velocemente su questi temi: giustamente siamo orgogliosi della qualità, e quantità, nell’accoglienza che la nostra città ha riservato ai migranti e soprattutto ai cosiddetti transitanti, siamo grati che l’amministrazione cittadina abbia avuto la tenacia per esserlo in tutti questi mesi e anni.

Ma sappiamo che la migrazione verso l’Europa non è un’emergenza, non si fermerà nei prossimi ventanni. Sappiamo che non è più possibile fermarsi all’accoglienza, poiché rischia di creare un senso di incertezza e precarietà sia in chi decidesse, o fosse infine costretto, a restare, sia tra i cittadini “nativi” nella città, che se è da sempre nella sua storia interprete di un paradigma di “adozione” verso i nati altrove, ha bisogno e, perché no, desiderio, di immaginare un futuro e un orizzonte dove la durata e la costruzione di legami sociali tra cittadini anche diversi siano vivi e forti.

Siamo convinti che il tema da porci sia quello della “convivenza” di come immaginare una strategia che in quella direzione ci conduca. Convivenza che si radichi anche nella concretezza quotidiana: per esempio, dopo aver provveduto a un tetto e al cibo, nel considerare l’insegnamento e l’apprendimento della lingua italiana un passo fondamentale , quello che permette dialogo, ascolto e presa di parola reciproca.

Adriana Nannicini

 

 



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