30 novembre 2016

LA TRASFORMAZIONE DIGITALE E IL SINDACO LEADER

Piano Digitale 1.0 e poi?


L’Assessora alla trasformazione digitale, Roberta Cocco, ha presentato il 28 ottobre scorso il Piano di trasformazione digitale della città volto a razionalizzare l’organizzazione comunale e a migliorare le relazioni col cittadino: “una amministrazione che metta il cittadino al centro” recita il comunicato stampa. Le forze guida del programma sono due: aumento dell’efficienza della pubblica amministrazione e miglioramento dei rapporti con i cittadini, come ribadito nel Manifesto digitale per Milano, presentato il 25 novembre.

02longhi39fbL’Assessora punta alla realizzazione di un’unica piattaforma municipale, condizione che richiede un processo di orizzontalizzazione delle relazioni fra le componenti politiche e tecniche della municipalità. In tal modo si avvierebbe un percorso virtuoso verso un sistema di governance ‘aperto’, che tuttavia non può prescindere da una chiara e riconosciuta leadership politica, capace di traghettare l’attuale gestione articolata per barriere assessorili verso un fluido sistema di relazioni con un alto livello di feedback. Tale ruolo ovunque nel mondo è assolto dal sindaco, sarà così anche nel caso di Palazzo Marino? Interessante è lo “spazio municipi” in cui si intravede la potenzialità di costruire un sistema di relazioni veramente metropolitano.

Rispetto ai cittadini il Piano del Comune propone un fascicolo in cui raccogliere tutti i documenti, promette una formazione digitale e l’attivazione di un sistema di “open data” che definisce “racconto del lavoro in Comune che permetta la partecipazione attiva dei cittadini”. Questa definizione è lontana dal significato che gli “open data” assumono nell’attuale società: essi infatti costituiscono la materia prima fondamentale per la nuova industria che non si basa su stock di materia ma su stock e flussi di conoscenza, ed è la materia prima per la democrazia, perché dalla gestione di informazioni e conoscenze dipendono le nostre libertà fondamentali. È opportuno quindi che la questione dei dati non venga minimizzata ma portata al centro degli investimenti pubblici e delle relazioni fra amministratori e cittadini.

Nel complesso il Piano sembra essere più un primo abbozzo di idee che un piano in senso tecnico, in quanto non parla di organizzazione operativa né di dimensione degli investimenti. Collocandolo nello scenario delle proposte internazionali lo si può definire Piano Digitale 1.0, in quanto vi domina l’attenzione verso l’offerta tecnologica corrente con l’obiettivo di offrire ai cittadini i vantaggi dei nuovi supporti, che vengono considerati solo nei loro aspetti positivi. Rispetto alla realtà milanese sarebbe utile un collegamento con l’ecosistema Smart che l’Amministrazione sta cercando di costruire, oltre che affrontare l’aspetto valutativo delle scelte proposte. Questo approccio è ormai sostanzialmente evoluto verso quelle che si possono definire opzioni 2.0 e opzioni 3.0.

Le opzioni 2.0 sono basate sulle azioni di amministratori che hanno avviato ‘dirompenti’ processi di rigenerazione delle infrastrutture urbane, per affrontare le radicali trasformazioni sociali, economiche e tecnologiche; mentre le opzioni 3.0 sono fondate sulla spinta dei governi locali verso processi di co-creazione generati dai cittadini per la crescita organica di ecosistemi civici locali.

Sostanzialmente, sotto la spinta della crisi, il paradigma dell’efficienza ha ceduto il passo a quello generativo di processi di innovazione economica e sociale aperti, dove le città devono stimolare continuamente la capacità innovativa dei loro residenti, offrendo strutture collaborative per risolvere tempestivamente i problemi a basso costo e alta efficacia. La chiave di questo passaggio è negli amministratori, che devono passare dal trattare i cittadini come passivi destinatari di servizi ad attivi partecipanti nella co-creazione di una migliore qualità della vita.

È da chiedersi perché il Piano di Milano è classificabile (con tutte le approssimazioni che ha ogni classificazione) come 1.0 quando proprio da Milano è partita all’inizio degli anni ’90 la più forte innovazione nei sistemi di connettività con il progetto “Lombardia Cablata” e con la costituzione di un provider pubblico di comunicazione come Fastweb. All’eccellenza della cultura ‘industrialista’ che guidò quei progetti non è seguita un’uguale eccellenza nel rinnovare sia la capacità di erogare servizi innovativi, né una nuova visione della struttura della cittadinanza, né tantomeno una visione proattiva del ruolo del cittadino. Alle strutture pervasive di rete sono corrisposte strutture sociali sempre più chiuse e contrapposte, con il risultato che i cittadini, grazie alle nuove tecnologie sempre più personalizzate bypassano gli intermediari degli interessi generali e si limitano a dialogare su opinioni e argomenti personali, con il risultato di ascoltare solo gli echi sempre più forti delle loro voci.

L’Assessora, in virtù anche del Memorandum d’intesa siglato tra Milano e New York, raccomanda di prestare attenzione all’avventura newyorkese sul tema del ruolo della cibernetica rispetto allo sviluppo della città e penso che questo sia una raccomandazione molto importante. In particolare chi volesse avere una rapida sintesi della politica di NYC raccomando la lettura dell’intervista al Sindaco Bill De Blasio in occasione dell’evento TechCrunch Disrupt. (***)

L’esperienza di NYC è segnata da una forte leadership dei Sindaci, Bloomberg prima e De Blasio poi, da un’azione metropolitana e non ‘parrocchiale’ (ossia tesa alle sinergie con i contesti internazionali e non a limitati benefici interni), in coerenza con gli obiettivi delle Convenzioni internazionali.

Le tecnologie informatiche sono strumentali a chiari obiettivi di sviluppo, fra i quali decisivo è il superamento dei divari di reddito, e a innovazioni ‘dirompenti’, quali gli investimenti nei settori delle biotecnologie e dell’energia smart, che rivoluzionano radicalmente i criteri di progettazione della città.

Il motore su cui si basa la leadership dei due sindaci è il sapere civico, da qui lo stimolo per Milano a rinnovare il patrimonio delle scuole civiche, che fu un vanto della crescita civile della nostra città. I principi base su cui si basa la strategia di NYC sono: talento (con l’azione Tech-talent pipe, che coinvolge scuole, amministrazione imprenditori), rete ad alta capacità (disponibile per tutti), progettazione urbana basata su visioni di lungo momento (progetto One New York), innovazione.

A ogni azione corrisponde una piattaforma civica, un processo iniziato con “Change by us” e portato avanti oggi da Alpha, una piattaforma molto semplice i cui contenuti non sono preformattati, ma sono generati dal colloquio fra utenti e municipalità.

Ma il finale dell’avventura è amaro: l’acquisto di una partita di robot da parte della municipalità sostituirà parte degli impiegati pubblici, una sistema di corsie aeree sperimentali riservate ai droni sostituirà i lavoratori dei trasporti merci, le auto a guida automatica rivoluzioneranno il sistema di circolazione in città, le smart grid stanno sostituendo la fornitura ‘pesante’ dell’energia.

L’esempio di New York offre argomenti per trasformare un piano di ordinario adeguamento tecnologico in un processo di rinnovo dirompente delle relazioni fra cittadini e amministrazione.

 

Giuseppe Longhi

 

(***) traduzione sintetica dell’intervista



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