19 aprile 2016

CONTINUITÀ, CONTESTUALIZZAZIONE E DUE EDIFICI MILANESI


A parlare di continuità contestualizzazione ci portano due edifici milanesi: la Feltrinelli di Porta Volta e la nuova Bocconi. Prima di esaminare il contenuto di queste due espressioni, continuità, creata da Rogers e affiancata al titolo di Casabella durante la sua direzione della rivista, ma il cui significato emerge più volte nel suo libro “Esperienza dell’Architettura”, e contestualizzazione che si riferisce a una documentazione specifica voluta come allegato ai progetti dalla Commissione Edilizia di venti anni fa e cercandone una loro complicità, è necessario fare una premessa generale sul disegno delle città Europee.

06zenoni14FBIl continente Europa ha avuto un percorso del suo sviluppo storico ben più lungo e interessante di tutto il resto del mondo, e soprattutto continuo attraversando più di 2000 anni densi di guerre alla ricerca di dare un territorio omogeneo alle differenti etnie, o provocate da invasioni di popoli extra europei respinti ma anche integrati, carestie, epidemie ed eventi naturali che ne hanno falciato la popolazione ma anche sviluppato la convivenza di religioni ed etnie diverse, e fasi di crescita storica e politica con i grandi imperi d’occidente e d’oriente, il Medio Evo, il Rinascimento, le grandi Case Regnanti, le dittature, le Rivoluzioni, l’Industrializzazione, il Socialismo e le diverse forme politiche della Democrazia. Tutto questo senza interruzioni temporali e sullo stesso territorio.

Certo che in altre parti del pianeta alcune civiltà sono nate prima, ma mentre l’Europa ha avuto una fortissima continuità nello sviluppo nonostante gli accadimenti di cui sopra, le altre si sono spesso fermate riprendendo con grandi ritardi nello sviluppo o addirittura sono scomparse lasciando le loro testimonianze all’archeologia. Possiamo dire che fino alla diffusione dell’architettura dell’era digitale (vedi l’articolo di Hedwin Heathcote sul Financial Times) i sistemi costruttivi e i materiali erano strettamente connessi con i siti di origine favorendo così Continuità e Contestualizzazione.

Premesso tutto ciò, in Europa abbiamo un fitto tessuto di città che riflettono nella loro urbanistica e nell’architettura l’esito della loro lunga e travagliata storia, trasformandole di fatto in un nuovo tipo di Museo, quello della loro Storia. Ecco perché passeggiare in una città europea osservando il disegno urbano, i prospetti degli edifici, i particolari architettonici, leggere le targhe e le insegne, darsi ragione dei monumenti è come visitare un museo esteso e all’aperto, il museo della Storia della Città. E i cittadini degli altri continenti lo sanno e per loro visitare l’Europa è un sogno, dimostrato dall’enorme flusso di turisti in continuo aumento che costituisce per i paesi europei una grande e positiva risorsa economica.

Detto questo, e se condiviso, si deve comunque affrontare il problema dello sviluppo di queste città nell’era dell’architettura digitale in modo da salvaguardare questo nuovo concetto del museo della storia della città, tutelando la loro diversità nelle particolarità e differenze create dalla diversa intensità del travaglio vissuto, dai materiali locali e dalle tipologie e morfologie edilizie  dovute alle diverse situazioni geografiche e climatiche.

Data la densità abitativa dell’Europa mi sembra ormai diffuso il parere di non utilizzare per le eventuali espansioni le aree verdi che circondano le città, intervenendo invece sui cambi di destinazione di aree portuali, scali ferroviari, aree occupate da aeroporti interni all’abitato e di grandi opifici dismessi le cui funzioni sono cessate o trasferite. Seguendo il concetto sopraesposto, se gli edifici delle aree dismesse che si vanno a sostituire si possono classificare come archeologia industriale, le nuove funzioni dovranno riutilizzarli conservandoli mentre se gli edifici non hanno valore occorrerà sostituirli nella sostanza, mantenendo la loro dimensione e forma facendo parte essi stessi di una scena urbana che vogliamo mantenere.

Ed è soprattutto in questi interventi che il concetto continuità e contestualizzazione potrà assicurare uno sviluppo/sostituzione, con edifici che pur in un disegno architettonico e materiali contemporanei manterranno i caratteri, gli allineamenti, le dimensioni dei lotti, i ritmi dei pieni e vuoti i colori e le forme della tradizione, rifiutando gli inserimenti di forme antropomorfe ambiziose, i velleitari tentativi di integrazione tra architettura e mondo vegetale (il famolo strano) e i volumi vetrati prodotti della architettura digitale e diffusi dall’industria internazionale delle costruzioni che non possono far parte della storia dell’architettura europea, salvaguardando così il privilegio europeo di città/storia che nessuna altra parte del mondo può vantare.

La mondializzazione non può imporre una architettura digitale standardizzata prodotta in un sito e poi trasportata e montata dove richiesto in ogni parte del Pianeta, e questo ragionamento vale anche per la musica, l’alimentazione e le abitudini di vita che, differenti per ragioni storiche e climatiche vanno salvaguardate e non possono trovare, come si tenta, una diffusione universale.

Ma nei paesi che si sviluppano in ritardo, che hanno una storia recente  o che riprende dopo interruzioni di secoli notiamo l’impossibilità di procedere attraverso la continuità che in quei casi non esiste perché interrotta ma anche la rinuncia a una certamente problematica ricerca delle caratteristiche storiche del sito. Da qui il via libera all’architettura digitale promossa dalle multinazionali delle costruzioni che ovviamente segue procedimenti industriali e non si può lasciarsi distrarre da “genius loci” interrotti o difficilmente identificabili. Allora nelle città europee “continuità e contestualizzazione” trovano la loro convergenza che non vuole dire ripetizione dell’esistente, ma trasformazione guardandosi attentamente attorno con umiltà, sapendo che cambia la domanda e la tecnologia ma che i parametri fondamentali del sito e il disegno della città vanno rispettati.

Allora bisogna essere bravi architetti e gli errori consumati sono li da vedere, e ricordo tra i peggiori, la costruzione di Hollein in Piazza S. Stefano a Vienna ma anche a Milano, nel nostro piccolo, vi ricordo i due ultimi progetti della Bocconi, dove il primo su viale Bligny ha seguito “continuità e contestualizzazione” inserendosi in modo accettabile nell’esistente, mentre il secondo sulla ex Centrale del Latte è un prodotto antropomorfo che ha addirittura provocato le dimissioni, motivate pubblicamente sul settimanale l’Espresso, del professor De Seta autorevole membro della commissione giudicante il Concorso Internazionale.

Ricordo anche che mentre negli stessi anni Caccia Dominioni in Corso Europa disegnava il suo palazzo vetrato di fianco al settecentesco Palazzo Litta Cusani Modignani, i BBPR progettavano la torre Velasca: ecco da una parte la rottura con continuità e contestualizzazione e dall’altra la sua intelligente interpretazione. E ora quale vanno a visitare gli studenti di architettura, ma anche i turisti, tra questi due sopracitati interventi?

Il quesito, differente per ogni città, è fin dove sarà possibile estendere questo vincolo di museo della storia della città e dove invece poter costruire senza contaminare con anonima architettura digitale questi gioielli urbani che sono le città europee. Il problema potrà essere risolto affrontando i nuovi interventi con intelligenza, autocritica ma anche umiltà, é questo il messaggio finale di “continuità e contestualizzazione”, con grande rispetto per la storia del sito e delle costruzioni circostanti.

La prova che la complicità di queste due definizioni è stata ben interpretata con umiltà e intelligenza dal progettista, con una analogia di contenuti sorprendente, sono il piccolo intervento di Botta ad Atene per l’ampliamento della Banca Nazionale, il nuovo museo dell’Acropoli di Tschumi (dopo che la cultura ateniese aveva respinto l’esito del Concorso Internazionale vinto da un progetto antropomorfo) e il grandioso intervento di Piano nel centro storico di Malta.

Dunque dopo che il romano Prestinenza Puglisi su presS/Tletter e il napoletano De Seta sull’Espresso hanno deplorato rispettivamente la Feltrinelli di Porta Volta e la nuova Bocconi occorre che anche a Milano si ricominci a parlare pubblicamente anche a Milano di architettura.

 

Gianni Zenoni



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