27 ottobre 2015

L’ETICA DELLE INTENZIONI E L’ETICA DELLA RESPONSABILITÀ PER IL FUTURO DI MILANO


Il 31 ottobre, chiudono i cancelli di Expo, ma il sipario non calerà per l’indotto di problemi e soprattutto delle aspettative che lascia. Il bilancio sull’evento, sarà oggetto di attenta e pregiudiziale analisi, sia dai “gufi” e sia dagli “entusiasti”, e riguarderà: la “contabilità” diretta e quella indotta, le aspettative politico – ideologiche – valoriali che l’evento potrà permettere di soddisfare, a quali missioni assegnare a un’area di così alto valore, per la ricca dotazione infrastrutturale di cui è dotata, e ultima non certo per importanza, la valorizzazione della ricaduta di immagine attraente, che Milano e i milanesi hanno saputo proiettare nel globo.

11merlo37FBUn’immagine, che non può rischiare di essere estemporanea perché non suffragata da quegli stabili e consolidati fattori critici che caratterizzano le metropoli e le loro comunità per essere agenti positivi e propositivi di una qualità del vivere che nella società post moderna è forse il principale propellente del loro sviluppo futuro.

Grande è la sfida che attende Milano, tutt’altro che marginali sono i cambiamenti e le trasformazioni richieste, perché immaginare ciò che serve e servirà a una Milano Globale, va ben oltre al complesso adattamento funzionale-organizzativo che indurrebbe la via italiana alla realizzazione delle città metropolitane.

Gesinnungsethic” e “Verantwortunsethic“, l’etica dell’intenzione e l’etica della responsabilità non possono essere disgiunte, ammoniva Max Weber, perché formano la chimica della filiera riformatrice nelle “buone governance”; e sono l’antitesi sia della “teocratizzazione delle ideologie” e sia del manicheismo deviante che surrogano l’esigenza di competenze e di adeguatezze, offrendo purezza; quando ciò accade vuol dire che la politica ha perso la sua capacità di immaginare, che si è ritratta e che perciò è costretta a circoscrivere la sua legittimazione alla sola capacità e/o possibilità di gestione dell’immanente.

Ogni volta che la politica perde le conoscenze e smarrisce la capacità di immaginare, finisce in un “cul de sac“, finendo per essere vittima dell’ossimoro della non modificabilità delle forme dei modelli che si è data, e correndo più il rischio di dover soggiacere alle differenti varianti di neo populismo: varianti che hanno in comune la prevaricazione della responsabilità democratica, anteponendo così il presunto illuminismo delle “autority” a ogni ricerca per favorire l’inclusione nella declinazione della governabilità, in una prospettiva nella quale il “collaborative common” sia la leva per diffondere il senso civico di appartenenza, indispensabile motore per le democrazie nelle comunità metropolitane del terzo millennio.

Ammoniva Albert Einstein “La logica ti porta da A a B, ma l’immaginazione ti porta ovunque”, che coniugata con il “non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose” dovrebbe fare da stimolo per immaginare la Milano del 2020, una città che deve “rivedersi” e individuare come perseguire i nuovi obiettivi.

La politica a Milano è in grado di fare propri gli aforismi del grande Albert? E in particolare i suoi interpreti istituzionali si stanno ponendo il quesito? Fare la domanda è tutt’altro che strumentale o provocatorio, me è la constatazione che obiettivi così ambiziosi richiedono il coinvolgimento stabile di una più ampia platea di soggetti, che non può esaurirsi in un mero ascolto; giustamente Stefano Rolando sollecita il “civismo attivo” a doversi stabilmente impegnare a fianco della politica e delle istituzioni sia nel processo di “Gesinnungsethic” che in quello del “Verantwortunsethic“, per concorrere a immaginare e a realizzare la Milano globale.

Le condizioni sono cambiate, vi è un nuovo livello istituzionale: la città metropolitana, che finora si è costituita in ossequio e coerenza a norme variamente interpretabili; ma la città globale impone di alzare l’asticella, inducendo a riflettere sulle riforme che s’hanno da fare se non si vuole restare, prigionieri “delle stesse cose”. La riflessione che occorre è ampia e complessa, soprattutto se giustamente si invoca creatività, nell’immaginare il futuro per una Milano Globale. Ogni riforma, per essere veramente tale, ha bisogno di essere sterilizzata dal pericolo di “germi” che ne possano condizionare buon fine, a tale proposito viene in aiuto la esplicativa metafora del professor Sartori, relativamente al buon fine delle riforme: “le condizioni diventano due, che ci sia prima, un bambino atto a crescere, e che non venga insediato, dopo, da un Erode che lo ammazza”.

Nel quarto di secolo occorso per avviare la realizzazione delle città metropolitane, (dalla legge 140 del 1990 alla primavera 2014) di Erode, in costante attività ce n’è stato un gran numero, ed ancora oggi, sono più che mai in attività. Fortunatamente non si parte da zero, l’esperienza della giunta Pisapia libera Milano dall’assillo etico dal manicheismo dell’anti politica con e dall’esigenza di angeli salvifici, però è altrettanto vero il modello e i meccanismi di governance richiedono significative modifiche sia per la modifica del perimetro di riferimento, sia logico che fisico, e sia se la comunità decidesse di “investire” il successo di Expo.

Milano ha bisogno di una prova di orgoglio della politica a Milano, che valorizzando e “compromettendo” in termini di responsabilità il proprio fattore critico di successo: ovvero l’intera classe dirigente della sua Comunità, avvii un innovativo e aperto processo di governance, espressione di un orgoglioso senso di appartenenza civica, che si configuri in una pragmatica diversità di cui la comunità ma anche il Paese ha più che mai bisogno. Se la politica agirà da motore di questa intrapresa, riuscirà a rilegittimarsi, a essere il pivot di un percorso che muovendo dall’immaginazione si sviluppa in progetti da realizzare e la ricerca dell’interprete adeguato ne è la conseguenza a valle.

Viceversa, ancor più se mosso da autoreferenzialità alla ricerca di consenso, è mera espressione del multiforme neo populismo, che intende sfuggire dalla coerenza legittimante di responsabilità della combinazione programma e competenze, per puntare solo sulla presunzione di empatia elettorale, la cui legittimazione, come la storia insegna, dura lo spazio di un mattino.

 

Beppe Merlo

 



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