16 settembre 2015

LE PIAZZE ITALIANE: UN PASSATO PER IL PRESENTE


Torna sempre a galla, come l’olio nella minestra. E come l’olio nella minestra talvolta in modo un po’ nauseabondo, nel senso che non lega i sapori ma li annega. Così è per il tema della piazza nei suoi aspetti formali, nella sua dimensione estetica (discorso a parte sarebbe quello sui modi d’uso, sui caratteri funzionali). Quello della piazza italiana, delle belle piazze italiane, è infatti un leitmotiv ciclicamente riproposto alla nostra attenzione da qualche assessore che alla vigilia delle elezioni promette di rinnovare un po’ le pavimentazioni e cambiare qualche lampione (spesso peggiorando la situazione precedente); da qualche cittadino che protesta sui giornali per una scultura volgare appena messa lì; da qualche sito web militante che denuncia l’ennesimo scempio di un mirabile luogo urbano con architetture inadeguate; da qualche rivista di viaggio con le pagine patinate che ci ricorda quanto siano affascinanti le piazze dei borghi toscani o quelle delle città siciliane.

10riboldazzi31FBInsomma, quello della qualità estetica degli spazi urbani pare essere uno di quei temi latenti, freudianamente nascosto tra le pieghe del nostro inconscio collettivo, che pur essendo fondamentale per la qualità dell’abitare urbano viene ciclicamente (spesso strumentalmente) richiamato senza mai essere veramente affrontato, affidandosi a consumati stereotipi con il concreto pericolo di confinarlo nella sfera del naif o di ridurlo a puro chiacchiericcio.

Lo scorso agosto il Corriere della Sera online ha pubblicato tre gallerie fotografiche dedicate alle piazze: la prima – funzionale al lancio della seconda, composta da poche immagini delle piazze preferite da sei architetti contemporanei (Bellini, Boeri, Botta, Gregotti, Ratti e Zucchi) – e la seconda – decisamente più ricca e interessante dov’è stata raccolta una selezione di immagini inviate dai lettori all’hashtag #lamiapiazza di diversi social network – per promuovere l’inserto “la Lettura” che, tra gli altri, ha contestualmente pubblicato un interessante articolo di Amedeo Feniello sulla piazza del mercato medioevale; la terza, invece, composta da una selezione di immagini di piazze italiane tra quelle che hanno partecipato a un concorso fotografico promosso dal sito web Dizy.com che ha registrato la partecipazione di più di milleduecento scatti tutt’ora visibili online.

Si tratta dunque di album virtuali, generati sostanzialmente dal popolo della rete (tranne il primo) che – pur privi di un qualsiasi supporto statistico o base metodologica di raccolta e organizzazione dei dati tale da attribuirgli un minimo di scientificità – ci consentono alcune riflessioni di carattere generale sul tema dello spazio urbano come imprescindibile fatto identitario, sulle sue riconoscibili e condivise qualità estetiche, sugli ideali spaziali della società contemporanea.

Cominciamo col dire che ce ne sono per tutti i gusti: reali e virtuali – ovvero spazi urbani veri e propri o luoghi evocativi, talvolta un po’ surreali (come la Terrazza Mascagni di Livorno) e anche ambienti naturali (spiagge, fondali marini, vette alpine) che evidentemente interpretano in senso lato l’idea di spazio comunitario o luogo identitario –; ce ne sono di dipinte (come quella di Arles di Vincent van Gogh), cantate (come la ‘Piazza Grande’ di Lucio Dalla), fotografate (come la senese piazza del Campo immortalata da Henri Cartier-Bresson) o filmate (come quella di Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore con quel matto che ripete “la piazza è mia, la piazza è mia…”); ci sono i simboli dell’identità collettiva o di quella individuale – come la piazza del Duomo di Crema dove Beppe Severgnini è/ha/si è “nato, cresciuto, studiato, sposato, partito, tornato qui” –; ci sono quelle del consenso, del dissenso e dell’inaudita violenza (come piazza Tienanmen, piazza Syntagma, piazza Tahrir o piazza Fontana); quelle profondamente ferite dalla furia della natura e dall’imperizia dell’uomo (L’Aquila, Sarno).

Ma soprattutto ce ne sono un’infinità dai tratti familiari che – lo siano o meno – ci sembra di conoscere già. Sono piazze del municipio, del mercato, della chiesa, del castello o di palazzo reale – e dunque espressione del potere civile, economico, religioso o politico – e hanno fontane, scalinate, grandi alberi, bellissimi palazzi o umili case; ce ne sono di aperte sull’infinito del mare, la vastità di un lago o chiuse in se stesse –; di affollate e deserte; innevate, bagnate dalla pioggia o arse dal sole; domestiche o voluttuarie; dimesse o di un’eleganza raffinata; rigide e dure come la pietra e l’ideologia che le ha prodotte oppure morbide e sinuose; frutto di un pensiero architettonico sofisticato o del sapere popolare; espressione di magnificenza civile o di quell’accogliente domesticità che suscita tenerezza e talvolta perfino struggimento: sono questo e altro ancora le piazze pubblicate dal Corriere.it, sono cioè quello che tutti noi conosciamo, ci aspettiamo, di cui tutti noi abbiamo quotidiana esperienza, memoria, talvolta nostalgia e che nonostante ciò non smette di meravigliarci ogni volta che proprio in quelle piazze ci ricapitiamo dopo un po’, ogni volta che le rivediamo anche solo in un orario o una stagione inusuale, con una luce diversa.

Che cosa ci colpisce, allora, di tutto ciò, che cosa traspare da questi materiali che il web ha fatto coagulare? Colpisce che quando si parli di piazze tutti ne abbiano una da raccontare. Che la maggior parte di queste siano italiane o europee. Che quelle milanesi siano poche ed effettivamente meno emozionanti di moltissime altre. Che le immagini siano praticamente sempre di piazze senz’auto, quando sappiamo bene che nella realtà spesso non è così. Ma soprattutto colpisce che siano pochissime le piazze moderne – ovvero, per la precisione, quelle realizzate nella seconda metà del Novecento quando è stata costruita la gran parte dei tessuti urbani delle nostre città – e siano forse ancor meno quelle contemporanee, specie italiane – ovvero quelle che la nostra società produce ed è in grado di produrre ai giorni nostri. Colpisce cioè che nell’immaginario collettivo lo spazio pubblico – la piazza come luogo di incontro e di identificazione collettiva – sia sostanzialmente ancora quella di un qualunque centro storico come se la modernità novecentesca non avesse saputo creare urbanità e bellezza, come se la contemporaneità – almeno in Italia e salvo qualche raro caso – dimostrasse la stessa inettitudine a trasformare in luogo un qualsiasi ideale estetico e spaziale condiviso dalle molte culture che oggi abitano la città.

 

Renzo Riboldazzi

 



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