22 luglio 2015

IL CONSIGLIO DEGLI 11: MA LA VISIONE DOV’È?


Giuliano Pisapia è stato, è, un ottimo sindaco. Ma non sempre ci prende, errare è umano. Così per il Consiglio degli 11, che pare una scopiazzatura dei “saggi” del presidente Napolitano. Come Re Giorgio nel 2013, Pisapia si candida come guida e come arbitro delle primarie, finendo per rimanere impigliato nella contraddizione.

02ucciero28FBSe sei arbitro, non fai tu le regole, ma il Sindaco le vuole scrivere per poi applicarle e magari anche scegliere i contendenti: un’operazione assai dubbia, anche se testimonia della generosità con cui intende essere presente nella scena milanese, essendosene tolto come maggior attore. Sappiamo bene che la “colpa” non è solo sua, che in concorso preponderante ha agito il Pd locale e soprattutto nazionale, ma tant’è, tutto questo non esime da una lettura critica dell’iniziativa.

Lasciamoci pure alle spalle, che non vale la pena, la questione di come qualsiasi gruppo eteronominato, porti inciso sulla sua pelle il senso del mandato e lasciamo ad altri la pur valida critica del criterio di selezione degli 11. Le buone intenzioni, che qui certo abbondano, non contano più che tanto, anzi.

Passiamo per ora a esaminare il testo finora licenziato dagli 11, l’unica “opera” su cui si può riflettere e vediamone i “capitoli” uno per uno.

1) Cittadinanza e sovranità – “la scelta del sindaco verrà affidata ai cittadini milanesi col metodo democratico delle primarie. Prima ancora delle regole e del calendario, definiamo una visione comune della Milano del futuro in cui possano sentirsi coinvolti il maggior numero possibile di elettori e in cui possano confrontarsi senza personalismi i programmi dei potenziali candidati”. Si parte bene, ma si procede male. Giusto ribadire il metodo delle primarie, ma mettere tra parentesi la questione delle regole riduce drasticamente l’efficacia dell’affermazione. Le primarie con metodo democratico, aldilà delle regole che le definiscono, non sono nulla, solo una generica evocazione etica. Se le primarie sono entrate in crisi come modalità di legittimazione di una valida classe dirigente, non è perché mancasse la “visione comune” ma perché sono prevalse le regole all’amatriciana, dove forze organizzate del centrodestra hanno potuto indirizzare la scelta del candidato di parte opposta (vedi Paita).

Chi è l’elettore del candidato della coalizione di centro sinistra? Il primo che passa per strada, il rom prezzolato o un elettore certificato, secondo uno tra i cento metodi previsti nell’America delle primarie? Cari 11, lavorateci sopra, e se non potete o non volete, lasciate stare, posate la penna e tornate ai mestieri usati. Avremmo preferito leggere “… col metodo democratico delle primarie attraverso regole che affermino con certezza l’adesione degli elettori al centro sinistra”.

2) Crescita armonica e sostenibile – “una metropoli che fa tesoro del suo spirito d’intrapresa aprendosi agli investimenti stranieri e alla nuova economia della collaborazione per impedire che sorgano barriere sociali insormontabili. Servizi, benessere e ambiente devono essere condivisi”.Boh, cosa vuol dire questa zuppa indistinta in cui il grande capitale straniero viene evocato come partner contro “barriere sociali insormontabili”? E che minimo significato concreto avrà mai la “condivisione” di servizi, benessere e ambiente, quando dilaga la mercatizzazione dei beni comuni anzi della stessa vita?

Lasciamo stare gli svolazzi alati ed entriamo nel discorso della Milano post Expo: cosa deve essere, come gestire il capitale che lascia sul terreno e nelle menti, quello materiale delle aree e delle infrastrutture e quello immateriale del marchio, del sapere e del saper fare, delle relazioni e dell’apertura internazionale?  Avremmo preferito leggere: “Per lo sviluppo di Milano, le forze dell’impresa e del lavoro valorizzano le grandi risorse della città, facendo di Expo il volano per una città più aperta, più bella e più giusta.”

3) Diritti civili, sicurezza e spazi comuni – la tutela della legalità e dell’ordine pubblico si garantiscono come patrimonio di tutta la cittadinanza, senza discriminazioni, allargando le esperienze di una città che sta riscoprendo la bellezza dei suoi spazi comuni e sempre nuove occasioni di incontro per tutti, residenti e visitatori. Naturalmente, e del resto chi si vorrebbe discriminare? La retorica degli spazi comuni è un bel ritornello, ma cosa diciamo ai quartieri che oggi, non domani, vivono l’esperienza drammatica dell’insicurezza e dell’isolamento culturale? La genericità inconcludente del gergo democratico è inservibile a chi opera nei luoghi delle mille periferie metropolitane e irrita i cittadini. Non sarebbe il caso di parlare di rafforzamento dei presidi di polizia assieme agli investimenti sulla casa, di riforma della gestione del patrimonio immobiliare pubblico assieme alle nuove priorità di servizi nei quartieri, di nuovo patto con il privato sociale con misure antidegrado? Non avremmo poi bisogno di un nuovo strumento urbanistico, che ridia senso alla prevalenza dell’interesse comune sulla logica della valorizzazione immobiliare e riorganizzi il territorio secondo logica?

Avremmo preferito leggere qualcosa come “La crisi genera povertà, degrado e insicurezza. Tutelando il diritto a una vita serena per le famiglie e gli anziani, Milano investe nelle periferie su casa e servizi, cultura e verde, favorendo il presidio delle forze dell’ordine in una Milano più vivibile e sicura.”.

4) Scongiuriamo il pericolo di un ritorno al passato – “una destra che si presenta col volto minaccioso dell’intolleranza e della chiusura all’Europa resta l’avversario da battere per chi vuole dar seguito al risveglio di Milano”. E ci mancherebbe. La formulazione ampollosa non riesce a nascondere l’ovvietà del contenuto, per cui bastava, ve lo assicuro, qualsiasi modesto circolo Pd.

5) Trasparenza, sobrietà, competenza – “rivendichiamo il metodo, le innovazioni e i risultati della giunta Pisapia per la sua visione dell’interesse generale grazie a cui non è stata lambita da alcun episodio di corruzione”. Questo è l’unico punto da sottoscrivere in pieno, tanto che andrebbe messo al primo posto e non all’ultimo nella sequenza. In un’Italia malata, dove la corruzione promana da ogni lato della società, politica e civile, in una Milano che ne ha viste di tutti i colori, in Comune, in Provincia e in Regione, la Giunta Pisapia ha introdotto una ventata di aria fresca e di onestà a tutto tondo. Diciamolo a voce alta all’inizio e non sommessamente alla fine. Non bisogna essere esperti di marketing per capire che, in un mondo dove il cittadino è convinto di essere truffato dal politico, l’onestà va sbandierata. Non è sufficiente? D’accordo, ma è un ottimo inizio.

Tralasciamo, infine, molte delle questioni che meritavamo maggior spazio, tra cui in primis la città metropolitana, come occasione di autogoverno e come sfida della complessità.

Uno per uno, gli 11 sono ottime persone, protagonisti nel loro campo d’attività, punti di riferimento del campo democratico, ma per fare una buona pietanza non bastano ottimi ingredienti, servono buona ricetta e buon mestiere nella mescola. Se il cuoco pensa che il piatto debba essere dolce e salato, cotto e crudo, fresco e lavorato, piccante e insipido, allora ne uscirà inevitabilmente qualcosa di non appetibile, di non apprezzabile, di non digeribile. Insomma, una sbobba.

Chi è il cuoco? Non è una persona singola, anche se il Sindaco gioca il suo ruolo. Piuttosto è uno stile, un approccio comune, anzi una preoccupazione, per cui si cerca prima di tutto di non farsi male, di non irritare questo e quello, di non precludere oggi possibili spazi di domani, lasciando sullo sfondo proprio quella visione di ampio respiro che pure si evoca a propria ragion d’essere.

Certo si capisce, una visione non è un programma, ci mancherebbe, ma neppure può essere un cielo così stinto da lasciare smorto tutto il quadro. Servono principi ampi ma non fumosi, orientamenti generali ma non inconcludenti, e soprattutto un linguaggio più chiaro: se parliamo di povertà, che sia povertà, se parliamo di sicurezza che siano anziani e famiglie, se parliamo di sviluppo parliamo di lavoro prima di tutto e non solo di capitale, o di economia della collaborazione, sottilissima superficie à la page di un mondo dove tuttora imperano vecchi e nuovi costumi padronali (vd. Mc Donald San Babila, 20 luglio).

Ci vuole coraggio per vincere la prossima sfida e la prima forma di coraggio è l’uscita dalla palude dei conformismi e delle commistioni iperincludenti. Se della Leopoldina nessuno ricorda nulla, forse è il caso, chiedendosene il motivo, di pensare a nuove forme di elaborazione e coinvolgimento degli interessi e delle competenze.

Quale Milano vogliamo? Chi ne deve essere protagonista e con quali punti di programma? Molto si deve dire, ma se non si parla di periferie, vecchie e nuove, sarà tutto lavoro sprecato.

 

Giuseppe Ucciero



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti