11 marzo 2015

LA CASA E LA POLITICA DELL’IMMIGRAZIONE


Sembra a molti critici  di Marco Ponti che le città europee siano nate ieri e che i problemi che abbiamo oggi siano nuovi nuovi: ma le cose non stanno affatto così, sono anzi problemi connaturati da mille anni alle nostre città.

Quando intorno al Mille le élite aristocratiche non saranno più riuscite a contenere le incursioni arabe ormai dappertutto endemiche, dalle coste mediterranee ma anche da quelle europee, in Spagna in Sicilia e persino per centocinquant’anni da un regno musulmano a Frassineto, vicino a Marsiglia, e dalle ricorrenti incursione degli ungari dalle steppe, gli “orchi” delle favole, i cittadini dei nuclei abitati – dai 500 ai 2000 abitanti – rimasti senza protezione per difendersi da soli andranno ricoverandosi dietro a palizzate o a più solide mura, e per questo si daranno ordinamenti politici democratici, quella che conosciamo, assemblee collettive che eleggevano un sindaco e una giunta per costruirle … .

07romano10FBLa società della città era aperta, nel senso che chiunque, provenendo da un villaggio o da un’altra città avrebbe potuto diventarne cittadino ma alla sola condizione di possedervi una casa: è quella stessa di oggi, che se volete trasferirvi da una città a un’altra l’ufficio anagrafe vi chiederà il vostro l’indirizzo. Una falsa prospettiva vi fa credere che il mondo di allora fosse radicalmente diverso dal nostro, ma al contrario le passioni di allora sono proprio le medesime di oggi.

Il fatto sta che presto i cittadini di una città non vorranno spartire i privilegi delle loro istituzioni – il maestro di scuola, il medico condotto, il sostegno ai poveri – e quindi, per non farne dei cittadini a pieno titolo, impediranno ai nuovi venuti il possesso di una casa con il semplice espediente di far mancare i terreni edificabili, da tempo nelle loro mani, dentro alle mura della città.

Così i nuovi venuti si addenseranno in molte città europee lungo le strade fuori porta, come a Milano fuori da porta Ticinese finché i domenicani non otterranno un ampliamento delle mura: ma, attenzione, Bonvesin de la Riva sostiene che le bellezza di Milano consisteva nel suo essere perfettamente circolare, ignorando così di fatto l’escrescenza di questo quartiere.

Solo che negli stessi anni a Firenze prevarranno i ceti mercantili che, convinti che i nuovi venuti – la gente nuova e i subiti guadagni disprezzati dallo spirito reazionario di Dante – avrebbero arricchito tutta la città, chiederanno ad Arnolfo di Cambio un piano regolatore che ingrandisse di cinque volte la città: e ancora duecentocinquant’anni dopo Cosimo I era così convinto di come la ricchezza della città fosse dipesa da quell’apertura ai nuovi venuti che farà dipingere dal Vasari, sulla volta del salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, il medesimo Arnolfo nell’atto di consegnare ai maggiorenti il suo piano.

Nel mio libro Liberi di costruire, ho raccontato come le medesime restrizioni verranno imposte a Londra e a Parigi tra il Cinquecento e il Seicento, eccependo come adesso il timore di penalizzare i rifornimenti alimentari, ma qui preme ricordare come invece le società liberali dell’Ottocento disegneranno piani regolatori i più vasti possibile – a Berlino, a Barcellona, a Colonia, a Monaco di Baviera, a Lione, a Milano nel 1912 – costituiti da una rete di strade e di piazze dove tutti avrebbero potuto costruire una casa allineandosi sul loro filo e rispettando le altezze massime consentite: piani dove l’abbondanza di terreni edificabili ne rendeva il prezzo accessibile anche a un gruppo di amici che intendevano costruirsi un condominio o anche a chi costruiva una villetta nel quartiere dei Fiori, mentre contemporaneamente chi possedeva un vecchio stabile in disuso se ne disfaceva finché ancora ne avrebbe ricavato qualcosa, come tutti quelli lungo il naviglio di Mulino delle Armi.

Come da dieci secoli a questa parte viene oggi fatto scarseggiare il terreno edificabile per impedire ai nuovi arrivati di diventare a pieno titolo cittadini, mettendoli nelle mani di procedure di riutilizzo degli stabili in disuso di fatto impraticabili: beninteso le anime buone della sinistra politically correct – non di una vera sinistra liberale – continueranno a predicare l’integrazione degli immigrati ma nel frattempo impediranno loro di fatto di diventare a pieno titolo cittadini rendendo quasi inaccessibile il possesso di una casa per non correre così il rischio che, diventati determinanti nel consiglio comunale, disegnino un piano regolatore con le strade e le piazze come quello disegnato nel 1912.

Perché poi una larga disponibilità di terreni edificabili potrebbe consentire anche a persone di modeste disponibilità economiche di entrarne in possesso anche con contratti di comodato, e lì costruirsi una casa con calce e mattoni oppure, come negli Stati Uniti, con la famosa tecnica del balloon frame, assi di legno inchiodate che al primo urgano volano via: e siccome anche le strade sterrate avranno un nome, potrebbero finalmente dichiarare all’anagrafe di abitare in via Giorgio Origlia o in piazza Marco Ponti – denominate così per i loro specialissimi meriti quand’anche destinati a campare ancora cent’anni – e dunque diventare a pieno titolo cittadini

Ma è proprio questo che non vogliamo, vogliamo tenerli in tutti i modi lontani dalla cittadinanza: finché beninteso i figli di questi immigrati, dei cinesi e dei rom, diventeranno così determinanti nella nostra struttura sociale ed economica da non poter più fare a meno della loro effettiva integrazione nella sfera politica, diventeranno come Obama presidenti della Repubblica: ma intanto facciamo il possibile perché questo non succeda tenendoli ai suoi margini.

 

Marco Romano



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti