11 marzo 2015

la posta dei lettori_11.03.2015


Scrive Gregorio Praderio sulla liberalizzazione edilizia – Vorrei ricordare a Marco Ponti che la liberalizzazione dei cambi d’uso è già avvenuta il Lombardia con la LR 1/01 (quattordici anni fa!), poi riportata nell’art. 51 della LR 12/05, e infine consolidata ed estesa (i PGT potrebbero limitarla) nel PGT di Milano approvato nel 2012 (in particolare all’art. 5 del Piano delle Regole). Non c’è quindi nessuna “pastoia burocratica” che perlomeno a Milano impedisca di trasformare un ufficio vuoto in un appartamento. È quindi già passato un po’ di tempo, eppure … l’auspicato calo dei prezzi non c’è stato. Anzi: in un ultimo provvedimento statale (lo “sblocca-italia”) si propone una semplificazione funzionale assimilando le categorie produttive e terziarie. Il presupposto dell’incauto legislatore è ovviamente che il produttivo non serva più, e che invece ci sia una buona domanda di terziario che non sa dove andare (non è esattamente così). Ma il risultato qual è? Che aumentano i prezzi delle aree produttive (essendo ora terziarie…). Insomma, c’è davvero molto da lavorare.

 

Scrive Walter Monici a proposito della bellezza di Milano – Sono d’accordo con Fabrizio Marino quando dice che la bellezza di Milano non esiste più e non esiste più l’ambiente che ospitava i Navigli. ma sono anche d’accordo con Beltrame che ipotizza come possibilità remota l’idea di ricostruire la bellezza. L’esempio è la Francia come a Port Grimaud o in alcuni luoghi del commercio dove la volontà di ricostruire le forme variabili di antichi paesi stilisticamente orientati al passato hanno portato alla costruzione di luoghi sostanzialmente piacevoli da vivere pur nella percezione della loro modernità. Questo è il punto: se le scuole di architettura smettessero di inculcare nei giovani la smania di stupire con mega architetture futuristiche e ricominciassero a insegnare le basi degli stili classici dell’edilizia, l’aggregazione spontanea e mutevole delle forme invece della rigida visione planimetrica, cioè se si riscoprisse l’eredità di Gordon Cullen e della visione dal basso, minuta, progressiva, a passo di bambino, ecco che forse potremmo, cominciando ad abbattere tutto ciò che è alto e presuntuoso a cominciare dalla torre Velasca, mantenere, riconoscere e ricostruire tutto ciò che è basso e modesto. Potrebbero allora gli architetti concentrarsi sui dettagli, le proporzioni, l’armonia e la decorazione stilistica che lungi dall’essere fine a se stessa assolve a precisi scopi percettivi e psicologici. Potremmo in questo modo, nel giro di 20 anni riaprire i navigli e ricostituire una ossatura di bellezza milanese da lasciare alle generazioni future.



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti