4 marzo 2015

IL RAPPORTO CITTÀ-CAMPAGNA E LA CONFUSIONE DI EXPO


Mancano poche settimane all’apertura di Expo e dopo mesi di notizie sulla scelta dell’area e sulla costruzione del sito espositivo – con approfondimenti sulla valorizzazione immobiliare da una parte e sulle vicende giudiziarie dall’altra – quasi non ci si ricorda più del tema che dovrebbe animare l’esposizione universale. Eppure Nutrire il pianeta, energia per la vita è un bel argomento, ma forse dovremmo dire era se si va a vedere come viene trattato da ExpoNet, «il magazine ufficiale di Expo Milano 2015».

11barzi09FBUno degli argomenti collegati al tema di Expo è il rapporto tra città e campagna che rimanda a quello tra consumo e produzione di cibo. La questione è seria e ha una relazione diretta con il modello di sviluppo che ha spinto l’urbanizzazione a livelli mai registrati prima nel pianeta. Si può quindi ragionevolmente sperare che il magazine di Expo la tratti con la dovuta serietà, magari proponendo approfondimenti di esperti della materia. E invece non è così.

Le sorprese iniziano appena si cerca di capire meglio in cosa consistano i contenuti del magazine e si ha la fortuna di imbattersi ad esempio in questo articolo: La città più sostenibile esiste già. È in Italia. L’iniziale sorpresa per il titolo (come? Siamo un faro della sostenibilità e non lo sapevamo?) viene sostituita dall’incredulità non appena letto l’incipit: «Cassinetta di Lugagnano è una delle pochissime, se non l’unica, città italiana virtuosa per la messa in opera di una pianificazione strategica sostenibile. Conta poco più di 1.800 abitanti. Il suo territorio si espande a ridosso del Naviglio Grande, a circa 26 chilometri a sud di Milano, immerso nella riserva naturale del Parco del Ticino».

Ora, tralasciamo la geografia, la demografia e persino l’etimologia – aspetti che fanno di Cassinetta di Lugagnano un piccolo centro abitato, un villaggio (da villaticum, a indicare un insieme di dimore rurali non a caso molto diffuse sui tre chilometri quadrati della sua superficie). Dimentichiamoci che Cassinetta sia un diminutivo di cassina, cioè cascina, termine che indica un edificio rurale, e concentriamoci solo su questa affermazione senz’altro vera: si tratta del «primo comune in tutta la Lombardia ad aver approvato nel 2007 un Piano di governo del territorio (Pgt) a zero consumo di suolo, (…) ovvero con previsioni di crescita nulla per l’insediamento urbano». Vero è anche che «a Cassinetta di Lugagnano è stata riconosciuta l’importanza della relazione tra città e la campagna», e tuttavia – dopo che la geografia, la demografia e l’etimologia lo hanno confermato – è del tutto evidente che la città in questione non è il piccolo comune rurale, famoso per le sue bellissime ville sul Naviglio Grande, ma Milano.

Se l’articolo non avesse completamente sbagliato la scala alla quale va inquadrato in questo caso il rapporto città-campagna, se non avesse confuso la green belt del comune lombardo a consumo di suolo zero con quella della città metropolitana (un’entità ora anche amministrativa che ha un territorio 525 volte più grande di quello di Cassinetta di Lugagnano), sarebbe emerso con chiarezza dalla sua lettura che la battaglia contro lo sprawl (fenomeno che secondo l’autrice dell’articolo sarebbe nato «in tempi non sospetti per alimentare Londra e Parigi con le risorse provenienti dai nuclei rurali limitrofi») ingaggiata da quel Pgt si spinge simbolicamente molto oltre i confini del piccolo territorio comunale, talmente piccolo da non implicare nessun danno a costruttori in cerca di aree edificabili.

Le stesse superficialità e confusione delle quali è intriso un altro contributo dedicato al rapporto città-campagna – Carrying Capacity. Cosa succede quando una città cambia dieta – cha dopo averci informato che «La città e la società urbana traggono nutrimento e risorse dal rapporto con la campagna», e che «L’espansione urbana è in funzione dell’incremento demografico. La realtà dei fatti dimostra una continua erosione del terreno agricolo finalizzata all’edilizia, spesso speculativa. » ci conduce a questa conclusione: «Nel futuro non sarà necessario interrompere drasticamente le opere di urbanizzazione solo se queste verranno pianificate in relazione alla soglia della carrying capacity. (…) Per garantire l’autonomia e la sicurezza alimentare delle nostre città si devono adottare strategie di sensibilizzazione e piani urbanistici di riconversione a campo agricolo delle così dette aree di attesa e dei fazzoletti incolti interni alla maglia urbana. L’urbanizzazione diffusa irrazionalmente, l’urban sprawl, e le aree riservate agli allevamenti consumano suolo agricolo, ovvero privano l’uomo dei suolo capace di produrre cibo per il fabbisogno di questa generazione e di quelle a venire. Seguire l’esempio di città come Cremona, la cui espansione urbana è contenuta al di sotto della soglia della carrying capacity, permette ai parchi agricoli delle fasce urbane e periurbane di produrre cibo per il proprio fabbisogno e per quello dei comuni limitrofi meno virtuosi».

Viene da chiedersi perché si debba utilizzare un concetto mutuato dall’ecologia dei sistemi, come carrying capacity – rigorosamente in inglese forse perché a utilizzare l’espressione capacità di carico si è in qualche modo tenuti a spiegarla – con il solo fine di dimostrare ciò che ha poco da essere dimostrato: le città non producono cibo e dipendono dai sistemi agricoli. Ma affermazioni ad effetto a parte – se ci si pensa un attimo quella su Cremona si può semplicemente ricondurre al fatto che la città sta nel mezzo di uno dei territori agricoli più produttivi a livello nazionale – ciò che preoccupa è la nonchalance con la quale si presentano certe ricette, dalle quali sembrerebbe che si possa rendere sostenibile l’espansione urbana, basta che qualcuno definisca (con quale criterio?) una soglia di capacità di carico del territorio circostante.

Fare informazione su aspetti fortemente collegati al tema di Expo con questo livello di trattazione pone qualche interrogativo sui criteri con i quali Expo comunica con il pubblico dei possibili visitatori. Domande che si aggiungono a quelle sul senso della manifestazione che le vicende della sua gestione non hanno ancora finito di suscitare.

 

Michela Barzi

 



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