5 ottobre 2009

LO “STILE TARDO” DI PIER LUIGI BERSANI


Domenica prossima (l’11 ottobre 2009) un finto congresso, correttamente denominato “convenzione nazionale” (niente di più convenzionale di trovarsi a sancire le percentuali raccolte tra gli iscritti dai tre candidati a segretario del Partito Democratico.), prenderà atto che la maggioranza ha scelto Pier Luigi Bersani.

Prima che i commentatori si sbizzarriscano sui significati politici, sulle differenze tra i tre, sugli assetti di partito (capogruppo alla Camera e al senato, vicesegretario…), sulla partita delle primarie del 25 ottobre…io vorrei soffermarmi sul candidato Pier Luigi, sul suo stile.

Anche perché qualcuno ha cercato di utilizzare la dicotomia vecchio/nuovo, più giovane/meno giovane, dimenticando quello che disse una volta Einstein a chi gli chiedeva di esprimere la dicotomia con una formula matematica, ai quali rispose “La gioventù è quando la somma dei desideri supera la somma dei rimpianti”.La giovinezza è anche una virtù del cuore prima che dell’età … .

Personalmente ho visto in Bersani il candidato più credibile anche perchè “maturo”, ancora “desiderante” ma non famelico di successo. In un’epoca in cui in politica la vanità la fa da padrona, in cui “comparire” (sui giornali e in tv) è più importante di “essere”, ho bisogno di sapere che il leader del mio partito non sia narciso e nemmeno cinico.

La mia non è stata dunque solo un’adesione politica a un ulivista convinto che servano le alleanze e che bipolarismo non voglia dire bipartitismo…Quello che mi ha convinto è stato soprattutto il suo stile.

E’ quello che Edward W. Said, un grande intellettuale palestinese scomparso nel 2003, chiamerebbe uno “stile tardo”.

Nel saggio così denominato (“Sullo stile tardo”) e pubblicato da Il Saggiatore Said analizza le opere “mature” di sette “grandi”: Beethoven (sulla scorsa di Adorno), Mozart, Strauss, Kavafis, Genet, Thomas Mann e Tomasi di Lampedusa (soffermandosi anche sull’opera cinematografica di Visconti del “Gattopardo”, anch’egli rispecchiatosi nel Principe di Salina) per arrivare alla conclusione che “lo stile tardo è dentro il presente, ma ne è stranamente separato”.

Non nel senso di essere “vecchio” ma in quello di essere critico, contraddittorio, disincantato e insieme sognatore, consapevole (come Visconti a proposito del Risorgimento siciliano) di un cambiamento mancato.

Ecco io vedo un Bersani “maturo”, con abbastanza libertà da potersi permettere un discorso crudo sui limiti della sinistra e insieme sulla sua alterità a certa destra populista e furbetta.

Lo vedo già nel suo linguaggio, semplice, popolare, diretto e insieme ricco di termini desueti che ci ricordano un mondo di passioni più gioiose, che non c’è più ma di cui abbiamo nostalgia.

Mi ricorda le canzoni di Paolo Conte con analoga ricerca di parole passate (la topolino amaranto, la milonga, il paracarro dove sto aspettando Bartali…) e un mondo “che si tiene” nonostante le crisi e le limitatezze.

Non lo so se Bersani sarà un buon segretario di partito, non lo ha mai fatto e non lo sa neanche lui, so che ha un imprinting che può arrivare alla gente e può innovare. So che la credibilità della politica è ai minimi storici e lui può aiutare a risalire.

D’Alema, Letta, Bindi, Follini possono aiutarlo (non è vero che lo strozzeranno…). L’importante è che sia se stesso, un emiliano nato in una valle, un amministratore concreto, una persona che dice ciò che pensa e che se fa un patto lo rispetta.

Sono cose che solo “nella maturità” si raggiungono e che costituiscono “lo stile tardo” di cui abbiamo bisogno (ben più del presunto ricambio generazionale).

 

P.S. So che in questa mia c’è molto “il Bersani che vorrei”, nel caso mi deludesse prometto di scrivervelo.

 

Piervito Antoniazzi



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