30 aprile 2014

RENZI: VINCERE CON ORFANI, PENSIONATI E VEDOVE DELLA POLITICA. MALGRADO GRILLO


Bondi è berlusconiano. Bondi diventa renziano. I berlusconiani diventano renziani. Ergo Renzi vince le elezioni europee. L’articolo potrebbe finire qui con la annunciata vittoria per abbandono dell’avversario. Volendo essere più sofisticati il premier per la prima volta sta realizzando un cambiamento dei flussi: da destra verso il PD; che siano flussi momentanei legati all’effimero delle europee o più stabili lo vedremo in futuro.

07marossiFB16La partecipazione al voto è in calo: alle europee del 2009 aveva votato il 73,3% (nel 2004 il 76%), alle politiche del 2013 l’80% circa (precedenti 85%), alle regionali del 2013 il 64,7% (precedenti 76,71%). Per evitare che il voto assomigli a un mega sondaggio bisogna augurarsi che voti più del 60% degli aventi diritto, fatto non scontato visto che il vantaggioso abbinamento alle amministrative è compensato dal voto in un unica giornata.

Cinque anni fa in Lombardia il PD aveva il 21,3% superato dalla Lega al 22% e da Forza Italia al 33,9% e con un 11% di voti andati alla sua sinistra (IDV, SEL etc). Alle regionali il PD ha preso il 25% e la lista Ambrosoli (de facto renziani della prima ora) il 7%. Mentre la sinistra praticamente scompariva prosciugata da Grillo e Renzi, il Popolo delle Libertà non raggiungeva il 17% ma veniva salvato da Maroni che tra Lega e lista autonoma arrivava al 23%. Ad Ambrosoli sarebbe bastato il 4,5% in più per vincere. Meno bene era andata a Bersani (coalizione) che al Senato ha preso il 29,7%, contro il 10% di Monti e il 37,6 di Berlusconi.

Basta guardare questi numeri per rendersi conto che nella peggiore delle ipotesi il PD guadagnerà sulle europee precedenti (abbondantemente), sulle politiche e sulle regionali. In passato il sistema elettorale più proporzionalistico delle europee favoriva i partiti minori ma nel disastrato quadro di montiani, vendoliani, ingroiani, di pietristi et similia viene facile pensare che non sarà così.

Insomma il PD ha già vinto. Meglio, Renzi ha già vinto, che in poche mosse ha: 1) chiuso l’annosa querelle sul posizionamento del PD aderendo alla famiglia socialista; 2) sbaraccato il meccanismo paritetico che vigeva dai tempi della fusione Ds Margherita per cui i cattolici interni avevano un ruolo importante perché garantivano che il Pd non era solo sinistra; 3) rottamato i meccanismi di corrente, compreso la sua; 4)cooptato nel gruppo dirigente renziano di tutto e di più.

In pratica ha trasformato il PD lombardo, qui è stato più facile perché la struttura partito era più debole che altrove, in una coalizione dove in forme e modi diversi accanto ai fondatori e ai nativi PD, convivono ex arancioni e arancioni in servizio (pardon adepti del civismo democratico), ex dipietristi e dipietristi in servizio, ex montiani e montiani in servizio, ex socialisti e socialisti in servizio, ex sinistra e libertà e sellini in esercizio, consiglieri e sindaci di liste scelte con le primarie, consiglieri e sindaci di liste locali, consiglieri e sindaci di coalizioni l’una diversa dall’altra.

Per anni la sinistra ha cercato il Mitterand (casualmente lo chiamavano il fiorentino) italiano e alla fine l’ha trovato: oggi la Lombardia progressista è tutta renziana. Lo sono i sindaci che non possono che condividere un meccanismo di selezione presidenziale e un meccanismo di coalizione incentrato sulle “cose da fare”. Lo sono i dirigenti di partito che per quel poco che dirigono, riescono tuttavia a ripartire i successi di immagine e di voto del leader e lo sono a tal punto che non vi è più distinzione tra i sansepolcristi e i nuovi arrivati. Anzi Renzi tiene a precisare che l’importante non è che il gatto sia bianco o nero ma che prenda i topi.

Lo sono buona parte dei vendoliani e apparentati che hanno capito che è finito il tempo di “pas des ennemi a gauche” e che attendono di essere cooptati. Lo sono i moderati di centro che possono governare grazie all’accordo con il nostro e attendono con ansia un futuro da indipendenti eletti nelle liste del PD. Lo sono persino quei berlusconiani che originavano nella Milano laica degli anni ’80 che vedono in Renzi un baluardo contro la demagogia giustizialista. Lo sono gli imprenditori dell’Assolombarda e quelli delle cooperative che vedono in Renzi un baluardo contro la CGIL ormai identificata dalla maggioranza renziana come il principale avversario comunista (come notoriamente erano la Camusso ed Epifani).

Insomma un sincretismo politico come non si era mai visto. Certo il primo collante è la paura delle elezioni quelle vere; gli eletti sanno infatti che saranno decimati, gli aspiranti eletti non sanno neanche come si voterà e sopratutto come si faranno le liste mentre i partitini sono di fronte a uno sbarramento simile al burdizzo e i berlusconiani sono in attesa dei riti funebri per il loro leader.

Cancellando il rischio elezioni Renzi ha rapidamente riposizionato anche il dibattito interno al PD: se prima di andare al governo si dovevano fare tre primarie al giorno, dopo, come per le europee, si può tornare al più rassicurante rituale delle direzioni romane. Se prima bisognava rottamare tutti a tutti i costi dopo si possono ricandidare tutti a tutti i costi e sputazzare i Boeri e gli Emiliano come da copione. In sostanza a Renzi delle vicende locali non importa più nulla.

In Lombardia come negli ultimi venti anni, tutto avviene in modo ovattato senza grandi conflitti (non volendo considerare tale il dibattito Majorino Alfieri), senza leadership ingombranti e sopratutto senza una visione, delegata in città a Pisapia (che per marcare il proprio ruolo sbeffeggia il segretario PD sulle nomine) altrove agli altri sindaci, in regione alle parche. Certo c’è uno strato di malpancisti del “non dura, dura minga, non può durare” ma praticano un attività quasi carbonara e sembrano pensare più ai futuri organigrammi comunali e parlamentari che alla politica.

La campagna elettorale si preannuncia senza grandi investimenti né politici (nessun leader significativo è in campo) né economici, con i candidati scatenati nella ricerca delle preferenze e i partiti poco propensi a spendere danari, tant’è che in Forza Italia sono più le cene per raccogliere fondi che quelle per raccogliere voti. La stretta del parlamento sulle varie forme di “rimborso elettorale” si fa già sentire anche se il governo Renzi mantiene il tratto furbesco dei suoi predecessori, così sono state abolite le agevolazioni postali per i candidati ma a partire dalla settimana successiva al voto (sic). La misura del peso politico dei singoli protagonisti e dei loro sponsor saranno le preferenze (nel 2009 Cofferati 201.000, Toia 128.888, Panzeri 87.000, Susta 46.000, Balzani 45.000), ricandidati i primi 3, con Mercedes Bresso in sostituzione di Susta e Alessia Mosca capolista non dovrebbero esserci sorprese per gli eletti anche se sarà una gara a impedire un successone della Mosca.

Alle elezioni europee sono abbinate le elezioni amministrative del 67,6% (1043) dei comuni lombardi tra cui Bergamo, Cremona e Pavia, tre capoluoghi di centro destra e 33 comuni oltre i 15.000 abitanti che votano con il sistema del doppio turno. Tutti gli altri comuni votano con il turno unico e con le nuove norme del decreto Del Rio che consentono ad esempio il terzo mandato. In molti casi si tratta di elezioni curiose perché si presenta una sola lista, spesso frutto di accordi tra parti contrapposte nelle contemporanee elezioni europee. Che sia segno di un disinteresse verso la politica alta o di un maggior senso della misura (considerato che ci sono comuni con poche decine/centinaia di elettori) lo vedremo.

A Cremona i candidati sindaco sono 11 con 21 liste, a Pavia i candidati sono 8, a Bergamo 6 con 500 aspiranti consiglieri. Gli schieramenti non presentano originalità: NCD con Forza Italia, Lega da sola, svariate liste civiche o pseudo tali, SEL con il PD, grillini da soli.

Paradossalmente le elezioni amministrative possono dare un segnale politico diverso dalle europee. Il centro sinistra deve necessariamente strappare almeno uno dei tre capoluoghi di provincia al centrodestra per poter smantellare il sistema moderato che governa in Lombardia da più di vent’anni, viceversa si confermerebbe l’esistenza di uno zoccolo duro moderato, di una maggioranza silenziosa che aspetta solo un nuovo leader.

A Bergamo come a Cremona e Pavia alle ultime politiche le due coalizioni si bilanciavano, determinante sarà quindi la capacità di portare verso i candidati progressisti quell’area montiana che valeva più del 10% e contemporaneamente non perdere voti verso le liste minori. Tuttavia più che la coalizione conta il candidato e si vedrà se l’opinione delle primarie corrisponde a quello dell’elettorato.

È in piccolo lo stesso problema che c’è al nazionale: se il PD sceglie un profilo più centrista le sue possibilità di espansione, ampie, sono legate alla capacità di attrarre definitivamente quell’area moderata montiana che è irriducibile al berlusconismo e contemporaneamente un po’ di orfani del berlusconismo liberale; se sceglie un profilo più marcatamente di centro sinistra le sue possibilità di espansione sono minori e dipendono tutte dalla capacità di recuperare voti grillini, che sono il vero “nemico” di Renzi visto con la loro semplice esistenza mettono numericamente in difficoltà qualsiasi maggioranza elettorale. Espandersi su entrambi i fronti difficile quasi impossibile. Improbabile, almeno per ora, riportare al voto gli astenuti.

 

Walter Marossi

 



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