11 dicembre 2013

PD: DOPO LE PRIMARIE LA RADIOGRAFIA DI UN SUCCESSO


Una volta tanto i numeri sono semplici da commentare.

02marossi43FB1) Alle primarie del PD vota un numero di elettori ormai abbastanza stabile, si può dire che esiste una platea consolidata di aderenti attivi che oscilla nazionalmente attorno ai 3 milioni, gli elettori non hanno votato un segretario bensì hanno votato un candidato a premier.

2) La vittoria di Renzi è netta, come lo era stata quella di Bersani e quella di Veltroni. In pratica ogni leader del PD viene incoronato da più del 60% degli aderenti. Una fame di leadership forte, è evidente che non si elegge il segretario ma il candidato a premier.

3) Le differenze tra regioni sono significative ma non clamorose. Al sud Renzi prende percentuali inferiori ma ha pur sempre la maggioranza assoluta mentre stravince in quelle che un tempo venivano dette regioni rosse a dimostrazione che il grosso degli amministratori vota Renzi (chiamasi autoconservazione dei gruppi dirigenti secondo Max Weber o gattopardismo alla siciliana). Al sud l’usato sicuro convince più che laddove è nato. Delle due anime storiche che hanno contribuito a costituire il PD quella già comunista approva maggiormente Renzi di quella democristiana.

4) La contraddizione più evidente è quella tra il voto degli iscritti e quella degli elettori primarie (chiamiamoli aderenti per comodità). Il corpo dei militanti è come ovvio più conservatore più attento ai simboli del passato e guarda con maggiore differenza l’ondata di nuovismo che Renzi impersona. Non credo all’esistenza dell’apparato PD, (al massimo si tratta di quattro dipendenti sull’orlo di una crisi di nervi), ma il vecchio militante della sinistra diffida di Renzi al punto che preferisce votare Cuperlo che per gli aderenti è un leader improbabile.

5) Una seconda contraddizione è lo scostamento tra il numero degli iscritti/elettori e il numero degli elettori alle primarie. Qui le differenze sono notevoli tra regione e regione, tra nord e sud. Il rapporto tra il voto di qualche settimana fa e quello di domenica oscilla tra 1 a 5 e 1 a 20. Risulta evidente che in questo momento nel PD convivono modelli di partito diversi con un spaccatura geografica impressionante.

A Milano e provincia il rapporto tra gli elettori di Bussolati e quelli di Renzi è stato di 1 a 18 circa 7.898 verso 143.000, in città 2.775 verso 69.612 1 a 25, probabilmente un record nazionale considerato che nel resto della regione vi sono rapporti inferiori Bergamo 1 a 13, Brescia 1 a 11, Como 1 a 23.

Proprio questo enorme divario tra gli iscritti e gli aderenti che è anche divario tra il risultato dei renziani in una platea piuttosto che nell’altra (a seconda dei criteri di valutazione delle liste stiamo parlando sempre e comunque di più di 10 punti), è un problema che il PD lombardo e milanese dovrà affrontare nei prossimi mesi. Problema non grande perché la platea che ha plebiscitato Renzi e così vasta e così rappresentativa dell’elettorato che agli oppositori resta un diritto di tribuna più che un ruolo politico; le poche centinaia di iscritti “dissidenti” o si acconceranno o resteranno la testimonianza di un tempo che fu, ma sono sicuro che ha partire dai parlamentari e dagli aspiranti tali l’imperativo ideale sarà quello di Flaiano. “correre in aiuto del vincitore”.

I 143.000 elettori sono il 28% dei 508.000 voti presi alle elezioni per la Camera un dato impressionante anche se lontano dalle percentuali della Toscana dove ha votato il 48% degli elettori alle politiche (Umbria 40%, Emilia Romagna 35%). In città, ma rispetto alle comunali, la percentuale supera il 40%.

Non è una vittoria, è un trionfo che cancella definitivamente ogni dubbio sulla natura del PD milanese, partito organicamente nuovo in cui della tradizione PCI non resta assolutamente nulla di più che qualche soprammobile, la “ditta” è stata messa in liquidazione. Il fatto che Civati da noi batta Cuperlo, conferma questo trionfo, Civati è oltre Renzi nel senso che il suo è un nuovismo anche più nuovista di quello del sindaco di Firenze.

Semmai il problema di Renzi è lo stesso problema dell’industria del libro: saloni pieni di spettatori, presentazioni affollatissime, convegni dal grande successo, iperbolico entusiasmo per Bookcity, per il salone di Torino, per la fiera di Mantova, per le mostre di Roma, per Pordenonelegge, per la festa del libro di Montereggio di Mulazzo … . Epperò, quando si controlla in cassa, i venduti sono drasticamente calati (-13% in 2 anni), le librerie chiudono, il lavoro nero aumenta; insomma è la crisi peggiore dai tempi della scarsità di carta durante la seconda guerra mondiale.

Lo stesso dicasi per Renzi: eredita un partito che ha perso milioni di elettori non basta il successo alle primarie per pensare di recuperarli e comunque non basta recuperarli per vincere le elezioni. Diventa quindi indispensabile vincere alle prossime elezioni, che purtroppo per lui sono quelle europee da sempre considerate dagli italiani un mega sondaggio, sarebbe stato meglio per Renzi e per i suoi elettori poter andare a elezioni politiche mettendo fine alla stagione delle larghe intese che grosso modo appare condivisa da meno del 10% degli aderenti ma su questa strada è caduto il macigno della sentenza della Corte Costituzionale che proprio mentre nel centro sinistra per la prima volta vinceva la linea del presidenzialismo lo rende in pratica impossibile.

Effetti a breve in Lombardia non ne vedremo, la novità alfaniana essendo rappresentata dal nemico storico Formigoni, e la prossima elezione del segretario regionale del PD ha il sapore di una competizione minore, da addetti ai lavori. Più complesso la situazione in Comune.

La giunta Pisapia nata con furori palingenetici o come tale percepita dalla folla che la festeggiò in piazza Duomo si caratterizza sempre più come l’erede delle giunte socialriformiste e la vittoria di Renzi/Bussolati oltre che mettere in liquidazione la ditta rende superflua l’esistenza degli arancioni moderati e sembra ricostruire il tessuto del riformismo meneghino ben evidenziato dall’abbraccio Bussolati D’Alfonso al De Amicis, e dal coming out della Scavuzzo (ex capogruppo di Milano Civica ora iscritta al gruppo PD in Consiglio comunale ndr) ingiustamente derubricato a fatto personale. Il plebiscito pro Renzi sembra l’inizio in città delle celebrazioni del centenario della vittoria di Caldara.

 

Walter Marossi

 

 



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