30 ottobre 2013

RENZI, RENZINI E RENZACCI


Considero Crozza il miglior analista politico italiano,  il suo sketch sui “pensierini renzini” conferma questa tesi perché è la migliore critica fatta al sindaco di Firenze senza scadere nei soliti stereotipi della “asinistra”. Però, però … alla “leopolda” ho sentito dire da Matteo Renzi, al termine di un ragionamento e non di un “focus group”, che “la sinistra che non cambia è destra”: musica per chi come me si sente dare del “destro infiltrato” … Se aggiungiamo le parole su Silvio Scaglia e sulla sinistra che non può non indignarsi se un innocente sta dodici mesi agli arresti (3 più 9, le precisazioni non servono..) qualche credito politico in più da oggi glielo do.”

03dalfonso_37FBHo scritto questo post domenica dopo aver ascoltato il discorso finale di Matteo Renzi alla “sua” convention che, per la prima volta (ma forse sono io che sono stato più attento questa volta) è andata oltre il giovanilismo elevato a ideologia. La mia scelta per Renzi alle primarie per premier dello scorso anno era basata sull’ opposizione alla “ditta” che invece di trasformarsi in bottega storica ha preteso di ripetere il vecchio schema “sconfitta sia, basta che sia mia “come da venti anni a questa parte. Questa volta non devo scegliere con un voto, perché non ho titolo per dire la mia sul segretario di un partito politicamente in “trance” come lo è stato il PSI ante Midas del 1976 o di Tangentopoli nel 1992, ma non sono indifferente al fatto che la tanta brava gente, spesso anche in gamba, che ha ancora nel PD un punto di riferimento e un luogo politico di lavoro e dibattito riesca a ridare un senso politico e una speranza, come avvenne per i socialisti nel 1976, piuttosto che rinchiudersi in un declino “triste, solitario y final”, come è avvenuto agli stessi nel 1992.

La legittimazione di Renzi quale leader politico della sinistra passa necessariamente per la definizione di un progetto di respiro, la esplicitazione di scelte chiare, la proposizione di principi. Non è per lui ancora il tempo del pragmatismo, della ricerca del compromesso di governo, pratica inevitabile anche per chi giunge al potere attraverso una vittoria elettorale chiara e netta. Non ha ancora vinto nulla ed è nella fase di costruzione del consenso e del gruppo dirigente di riferimento, elementi necessari per proporre una novità reale e non un brillante galleggiamento sulla più volte evocata “palude”. L’impressione è che la qualità delle presenze e del dibattito sia notevolmente migliorata e non solo per la sparizione rispetto alle edizioni precedenti dell’ex socio in rottamazione, il brianzolo Civati, che è tornato alla ditta individuale restando su argomenti più leggeri e popolari che piacciono sempre ai titolisti dei quotidiani.

I primi titoli del programma di rinnovamento e lavoro sono ben centrati, così come l’impostazione e le prime righe declamate a Firenze: la riforma della giustizia, la centralità del lavoro e la distinzione fra conservatori e progressisti che si misura in aumento dei posti di lavoro e del benessere, il rinnovamento di tutta la classe dirigente e non solo di quella politica, la semplicità come motore della semplificazione e anche della riforma istituzionale. Molti lamentano la presenza già in questo incipit di veri e propri svarioni oltre che delle necessarie approssimazioni di partenza: certo, riportare in auge Rawls e la mai realizzata politica dei “meriti e bisogni ” trenta anni dopo il Labour di Blair e la versione italiana di Claudio Martelli richiede un minimo di valutazione dei risultati e delle situazioni mutate e sapere che i pensionati che godono del sistema retributivo non sono dei mangiapane a tradimento ma solo gente che vive più a lungo e fortunatamente anche in miglior salute rispetto a quando il sistema fu progettato e sono al massimo parte del problema, non sono il problema.

Certo, sarà il caso che in tempi brevi Renzi ci dica in che direzione intende lavorare per riformare la giustizia, se intende rompere quelli che sono diventati dei tabù che bloccano tutto da oltre venti anni, anche la semplice discussione intorno alla magistratura giudicante e inquirente o in che altro modo. Ma la nota critica vera, che rischia di non essere affatto un dettaglio, è l’abbozzo di proposta di legge elettorale per il “sindaco d’Italia” che Renzi propone, ponendosi come difensore del bipolarismo e dell’alternanza. Qualsiasi proposta ha un senso se è inserita in un coerente disegno di riforma istituzionale, se invece resta fine a se stessa vorrebbe dire che purtroppo ancora una volta si è imboccato al contrario l’autostrada – tale è, visto che nessuno dice di non volerle – delle riforme istituzionali, confondendo strumenti e obiettivi, ripetendo l’ormai solito errore di voler affidare alla legge elettorale la scelta sugli assetti istituzionali: per non dichiarare la scelta fra semipresidenzialismo alla francese e premierato parlamentare, più o meno forte che sia, come in Germania o in UK, sponsorizza un presidenzialismo maggioritario, dove l’assemblea non è un contrappeso ma un … peso gettato sulla bilancia di Brenno a favore del vincitore e tiene in vita una assemblea rappresentativa che non può decidere nulla in contrasto con chi è stato eletto dal voto popolare a meno di non premere il pulsante dell’autodistruzione.

In realtà la mia impressione è che l’indicazione e la suggestione di un approccio e indirizzo politico di rottura e apertura faccia in questa fase premio su dettagli che diventeranno presto questioni dirimenti, ma è già molto, molto di più di quanto abbiano fatto i suoi predecessori nel ruolo di leader della sinistra nazionale.

Il ragazzaccio di Firenze è l’unico che dimostri energia e coraggio nel lanciare una sfida e la follia necessaria per credere seriamente di potercela fare. A noi, a Milano, piacciono quelli che non hanno un “piano B “.

 

Franco D’Alfonso

 

 



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