1 giugno 2009

LE AREE FERROVIARIE TRA AFFARI E MIOPIA URBANISTICA


L’attuale problema urbanistico delle vecchie ferrovie, che cessano di funzionare e lasciano liberi notevoli appezzamenti di terreno all’interno della città, si pone in termini uguali e contrari al vecchio problema delle nuove ferrovie che venivano portate nelle città a metà del secolo XIX.

Allora si trattava di trovare un tracciato lungo il quale posare i binari, individuare il terreno su cui edificare la Stazione, occupare un’area entro cui insediare lo scalo, cioè il fascio di binari utilizzati per deposito di merci e di materiale rotabile; oggi si deve riempire un tracciato non più destinato ai binari, utilizzare un terreno liberato dalla Stazione, riempire le aree degli scali sgombrate e disponibili.

Nell’uno e nell’altro caso si tratta di un ingente problema urbanistico; ingente per dimensione topografica, per sforzo economico, per ripercussioni sulla città del futuro. Se è noto come il primo problema sia stato risolto due secoli fa, non è ancora chiaro come il secondo problema, contrario al primo, possa essere risolto oggi.

****

Le Ferrovie che cessano di essere in funzione liberano aree urbane dotate di caratteristiche particolati e uniche. Per loro stessa genesi sono tutte aree collegate in modo diretto, cioè senza presenza di ostacoli, al territorio circostante. Le Ferrovie sono quindi classificabili, per quanto riguarda la viabilità, come vie di immediata comunicazione con i dintorni: il che vuol dire di accesso diretto dalla campagna alla città, e di uscita altrettanto diretta dalla città verso la campagna. Per quanto riguarda la configurazione planimetrica le Ferrovie si presentano come nette incisioni aperte nel tessuto edilizio, come lunghe e sottili solchi che attraversano la città. Solo in corrispondenza delle Stazioni la stretta sezione della linea ferroviaria si modifica e allarga; e diventa uno slargo a forma d’imbuto, quando la stazione è di testa; oppure a forma di fuso, quando la stazione è di transito; la forma è invece mutevole e casuale quando lo slargo coincide con uno scalo ferroviario.

****

Il tracciato planimetrico delle linee ferroviarie all’interno della città, suggerisce, quando le linee cadono in disuso, alcune destinazioni d’uso particolari: tolti i binari, la via ferrata può trasformarsi in una comoda pista ciclabile, continua e ininterrotta, che dal centro conduce alla periferia e viceversa, senza subire rallentamenti agli incroci, senza sottostare a fermate davanti ai semafori. Oppure la via ferrata può accogliere una costruzione a forma di nastro continuo, non troppo alto né troppo largo – perché condizionato dalla vicinanza delle due cortine di case tra le quali corrono i treni – ma tale da diventare un segno edilizio insolito e caratteristico nell’estensione edificata della città. In quale altra zona della città viene offerta l’occasione di trovare una striscia edificabile così lunga e continua? Dove la possibilità di trovare, nel centro urbano già fittamente costruito, un’area libera di così insolite dimensioni?

Altrettanto stimolanti soluzioni urbanistiche si possono realizzare in corrispondenza degli slarghi prima occupati dalle stazioni. Dove trovare aree libere di così grandi dimensioni senza ricorrere a demolizione del tessuto preesistente?

Si presenta per la città un’eventualità straordinaria e irripetibile, paragonabile, per dimensione fisica e trasformazione spaziale, alla demolizione dell’anello murario medioevale, o all’abbattimento della cinta dei bastioni spagnoli; com’è avvenuto a Milano; dove tuttavia la demolizione non si è trasformata in un bene per l’urbanistica della città; mentre in altre città, come Vienna, si è attuata una trasformazione imponente e monumentale, nota per essere diventata un esempio di ottima sistemazione urbana.

****

Sembra tuttavia che, nonostante l’indubbia novità planimetrica offerta dallo smantellamento delle Ferrovie, nessuno si sia ancora accorto di questa straordinaria occasione urbanistica, e tutti si siano limitati a concentrare la loro attenzione soltanto sulle possibili utilizzazioni delle aree libere, proponendo le consuete e ormai ripetute destinazioni d’uso: un po’ di residenza, nella quale non può mancare una percentuale di case popolari; un po’ di terziario, con qualche grattacielo occupato da uffici; un po’ di commerciale, con forte prevalenza di supermercati; un po’ di verde, denominato pomposamente parco, ma in realtà ridotto a qualche sparuta e sperduta aiuola; un po’ di servizi pubblici, lasciati per ora indeterminati. Questo è il quadro desolante apparso nei due recenti incontri tenuti alla presenza dei cittadini, e indetti dal Comune di Milano sul tema delle Ferrovie dismesse: un primo incontro al Punto Expo della Stazione Garibaldi, avvenuto il 18 Maggio; l’altro incontro all’Urban Center della Galleria, avvenuto il 26 Maggio.

****

La totale cecità di fronte ad una visione corretta e lungimirante del problema urbanistico-architettonico offerto dalle Ferrovie interrate, si può constatare con rammarico alla stazione di Porta Susa a Torino, dove è stato interrato recentemente un lungo tratto di ferrovia. Il tratto interrato, in considerazione della sua forma stretta e lunga, prende il nome di “Spina”; ma di ciò che si usa immaginare come spina, l’intervento non ha proprio nulla da offrire: spina è sinonimo di forma allungata, diritta, ininterrotta, omogenea. La “Spina” di Torino manca di continuità, di unitarietà, di omogeneità; offre il triste spettacolo di un insieme di ambienti disomogenei, scollegati l’uno all’altro e del tutto scoordinati, sia nei volumi architettonici che li delimitano, sia nei pezzi di arredo urbano che li completano. La Spina avrebbe potuto essere un magnifico, grandioso, imponente, elemento urbano: un viale di alberi fiancheggiati da costruzioni; oppure una fascia di prato larga e distesa (cioè un “parterre” o una “esplanade”); oppure un corso racchiuso tra due cortine di edifici progettati in modo coordinato. Al contrario di tutto ciò la Spina di Torino è un accostamento di ambienti senza carattere, e senza reciproca correlazione. Lo sbaglio più grave è la sua violenta e totale interruzione, causata dai due grossi volumi del nuovo Politecnico che tagliano la Spina da un bordo all’altro, annullando e distruggendo quella che dovrebbe essere la vera prerogativa delle aree ferroviarie dismesse: cioè la loro continuità spaziale.

****

Due sono le cause dell’attuale aberrante modo di concepire l’urbanistica: a) considerarla esclusivamente sotto l’aspetto burocratico, fatto di quantità, standard, di indici; e ignorare la qualità delle forme, dello spazio, dell’ambiente; b) considerarla principalmente sotto l’aspetto imprenditoriale, centrato sul profitto, sul guadagno, sull’affare e ignorare i diritti della collettività che chiede migliori condizioni urbane per una vita armonica, sana, gradevole.

Le aree dismesse della Ferrovia possono diventare per la città un’irripetibile occasione di bellezza, se si è capaci di valorizzare le loro qualità spaziali e ambientali; saranno invece un’ulteriore occasione perduta se verranno concepite esclusivamente per ottenere il massimo sfruttamento edilizio.

Jacopo Gardella

 

 

 

 

 

 


 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti