29 maggio 2013

MILANO CAPITALE DELLE ALPI


Comuni e Province riducono i budget, i tagli alla cultura sono all’ordine del giorno, ma la montagna riesce ugualmente a conquistarsi uno spazio. Un piccolo miracolo per Milano dove, spezzando la dura crosta della crisi, la mostra “La Lombardia e le Alpi” ha aperto i battenti allo Spazio Oberdan dal 17 maggio al 7 luglio in collaborazione con la Provincia spalancando al grande pubblico lo scrigno delle tante “banche della memoria” dell’alpinismo lombardo. L’occasione, era da non perdere: si celebrano quest’anno i 150 anni di vita del Club Alpino Italiano fondato da Quintino Sella nel 1863.

C’è voluta però la tenacia di una scelta pattuglia di soci della Sezione di Milano guidati dallo storico Lorenzo Revojera per mettere in piedi questa iniziativa. Da più di un anno i “caini” milanesi hanno ha aperto la caccia agli sponsor privati raggranellando lo stretto necessario per realizzare un progetto importante. Così sullo Spazio Oberdan sono state fatte convergere immagini rare e preziose, cimeli, documenti, oggetti, libri, filmati d’epoca, cartografie, dipinti, modellini di rifugi, fotografie e attrezzi alpinistici d’ogni tipo. Il tutto ordinato in un percorso pieno di suggestioni, abilmente orchestrato e raccontato in decine di pannelli.

Alla mostra in via Vittorio Veneto 2 l’ingresso è libero e i visitatori non si sono fatti attendere come testimoniano le firme sul “libro del rifugio” a disposizione nell’atrio e i tanti contatti sui social network. In più, a corollario della mostra, il CAI milanese – che da settembre dell’anno scorso ha trasferito la sua storica sede affacciata sull’ottagono di galleria Vittorio Emanuele, a via Duccio di Boninsegna, zona Fiera – organizza proiezioni e incontri aperti a tutti fino alla scadenza del 7 luglio, quando l’esposizione curata dall’architetto Lorenzo Serafin chiuderà i battenti.

Il percorso espositivo  è un cammino di scoperta e di approfondimento. Si apre con il racconto dei 200 soci, per lo più notabili torinesi (tra cui non mancò una nutrita rappresentanza dalla capitale lombarda), che vollero colmare il gap con i più evoluti paesi d’oltralpe fondando a Torino nel 1863 il Club alpino italiano. Da quella data l’evoluzione del corpo sociale è avvenuta con continuità, a parte la flessione del ventennio, fino al picco dei 316 mila soci nell’anno 2012 e, come è spiegato in uno degli oltre quaranta pannelli che illustrano la mostra, circa un terzo dei soci risulta iscritta in una delle 146 sezioni lombarde.

La quantità di documenti e di personaggi affissi alle pareti delle luminose isole espositive e che si inquadrano in una serie innumerevole di piccoli e medi espositori, raccontano il legame profondo tra Milano e le montagna. Un rapporto fisico e geografico, innanzi tutto, che vede Milano “cuore degli studi cartografici alpini” come raccontano Laura e Giorgio Aliprandi, milanesi, tra i maggiori esperti al mondo di cartografia alpina, e che hanno prestato in mostra alcuni dei loro pezzi migliori. La carta della Lombardia di Giorgio Settala ad esempio, che risale al 1570 e comprende l’arco alpino dalle Alpi marittime alle Alpi centrali. Vi sono segnati complessivamente ventuno valichi, passaggi commerciali a cui era legata anche un’importanza militare. E la carta “Mediolanum” del cartografo tedesco Quad del 1604, che evidenzia l’importanza commerciale di Milano segnando per la prima volta i percorsi che conducono al di là delle Alpi e cioè ad Avignone, Basilea e Lione. “Forse non si è mai parlato di Milano come capitale delle Alpi, ma osservando le carte di Settala e di Quad pensiamo che la nostra città potesse allora fregiarsi a buon diritto di questo titolo” rilanciano gli Aliprandi.

Le Alpi un tempo erano popolate da mostri, illustrava con dovizia di particolari Jacob Scheuchzer, enciclopedista elvetico che nella seconda metà del settecento pubblicò, con l’autorevole imprimatur della Royal Society londinese e di Isaac Newton in particolare, un incredibile catalogo di bizzarre creature alpine che l’allestitore ha voluto far rivivere in tutta la loro terrorifica magnificenza. Leonardo da Vinci era stato forse più freddo e distaccato quando descrisse il suo incontro con la natura selvaggia: “E stato alquanto, subito salsero in me due cose: paura e desiderio; paura per la minacciante e scura spilonca, desiderio per vedere se là entro fusse alcuna miracolosa cosa” (codice Arundel). Un approccio che calza a perfezione a questo percorso espositivo che sembra voler ricapitolare in un sol fiato ontogenesi e filogenesi dell’avventura alpina. E così che “paura e desiderio” si completano con “conoscenza e avventura”, attraverso la gran messe di testi esplorativi e scientifici che dalla seconda metà del XVII secolo iniziano a raccontare le Alpi per filo e per segno (quasi tutti presenti in mostra grazie al contributo del curatore – storico e libraio milanese – Angelo Recalcati). Da Stenone a de Saussure, alle prime guide e pubblicazioni dei nascenti Club Alpini – il primo fu quello inglese nato nel 1857 – è l’inizio di un percorso di scoperta e di alfabetizzazione che il visitatore è invitato a compiere in assoluta libertà.

Nelle vetrine dedicate alle attività sociali delle sezioni spopolano le narcisate primaverili sui prati del Triangolo Lariano e sulle pendici delle Grigne e del Resegone. Sono immagini di altri tempi, quando lunghe carovane di carri trainati da cavalli portavano la borghesia milanese, accompagnata da alpini e portatori, fino al passo di Zocca, straordinario anfiteatro roccioso alla testata della omonima valle, laterale della val di Mello. Queste immagini raccontano anche la dimensione sociale del Club alpino e il suo impegno nel promuovere la frequentazione della montagna anche fra i giovani. Fu il professor Luigi Gabba (Presidente della Sezione dal 1892 al 1895) a presentare nel 1893 il progetto di estendere l’associazione e le attività del Cai agli studenti dei Licei e degli Istituti tecnici, fra i quindici e i diciotto anni di età, con lo scopo di sviluppare le facoltà fisiche, l’istruzione e il proselitismo verso il sodalizio.

Oggi le Alpi sono un ambiente naturale, culturale, di vita e di lavoro per quasi 14 milioni di persone nonché un’importante destinazione turistica che attira circa 120 milioni di visitatori ogni anno. La mostra rilancia questi concetti in un ambito regionale: la Lombardia non può venire meno al suo ruolo di centro strategico delle Alpi anche dal punto di vista culturale. Si suggerisce qui in particolare il ruolo storico strategico del Club alpino poiché ben sette sono le sezioni storiche fondate nell’Ottocento: Bergamo (1873), Como (1875), Cremona (1888), Lecco (1874), Milano (1873), Monza (1899) e Sondrio (1872). Dalla collaborazione tra il Cai e il Touring Club Italiano inoltre la completa descrizione alpinistica, ma anche geografica, storica e naturalistica del territorio lombardo, con i 16 volumi della “Guida dei monti d’Italia”, oltre 8000 pagine, migliaia di schizzi, cartine e fotografie, pubblicati dal 1934 ai giorni nostri.

Assieme ad altri fra i tanti personaggi che costellano la storia dell’alpinismo in Lombardia, la rassegna si occupa del medico milanese Vittorio Ronchetti, primario dell’Ospedale Maggiore, che un secolo fa, tra il 1907 e il 1913, effettuò ben cinque spedizioni nel Caucaso centrale. Ronchetti interpretò in anticipo sui tempi una vocazione all’alpinismo extraeuropeo che troverà poi massima espressione con le grandi spedizioni internazionali, il K2 nel 1954 e il Gasherbrum IV nel 1958, concepite in Lombardia con il patrocinio del CAI e il coinvolgimento dei migliori alpinisti dell’epoca, a cui in mostra è dedicato importante e suggestivo spazio.

Una nicchia destinata a soddisfare gli appassionati e che non poteva mancare nella capitale dell’editoria, è quella dedicata agli scrittori di montagna: Dino Buzzati fu maestro assieme a una eletta schiera di alpinisti-scrittori quali Antonia Pozzi, Clemente Rebora, Ettore Zapparoli e Giovanni Bertacchi. Insieme a scritti e documenti d’archivio, in evidenza, le tessere di iscrizione di ognuno di loro al Cai Milano, da sempre luogo di incontri e di confronto culturale e non solo alpinistico. Campeggia il celebre Duomo di Milano in forma di montagna dolomitica, dipinto dallo stesso Buzzati. E ancora in tema di editoria non manca una carrellata sul mondo dell’informazione legata alla montagna, una carrellata in cui compaiono anche Walt Disney e Rolly Marchi, inventore del trofeo Topolino e talent scout, grande comunicatore attraverso libri e riviste. In chiave storica la primigenitura di Corsera con il “Numero Alpinistico” riservato agli abbonati, redatto nel 1883 da alpinisti militanti con il corredo di ricche illustrazioni a colori di cui qui si espone una copia originale forse unica. Indispensabile corredo della mostra è un catalogo di prestigio con una serie di saggi e oltre 300 immagini esclusive, molte delle quali provengono dalle “Banche della memoria” dell’alpinismo lombardo.

Il CAI può dirsi soddisfatto per l’esito dell’iniziativa milanese? Più in generale non manca qualche ombra in queste celebrazioni culminate a Torino il 25 e 26 maggio con una mostra al Monte della Cappuccini, la presentazione del libro ufficiale per i 150 anni e un annullo filatelico. Da un paio d’anni infatti il CAI sembra segnare il passo nella morsa della crisi, con un socio su cento che non rinnova l’iscrizione (nel 2012 si sono persi 3.553 iscritti e ora il corpo sociale ne annovera poco più di 315mila), con la soppressione del vitalissimo periodico Lo Scarpone trasformato in una modesta newsline fra quelle che sul web si occupano di montagna, con la perdita per decisione della Regione Piemonte del suggestivo Forte di Exilles in Piemonte affidato dal 1995 alle cure del Museo Nazionale della Montagna e cioè del Club alpino. La politica governativa dei risparmi fino all’osso ha inoltre colpito duro anche il Soccorso alpino, fiore all’occhiello del Cai. Ma riequilibrare i conti aumentando le quote associative sarebbe oggi un suicidio.
L’indiscutibile e per certi versi irresistibile ascesa dei soci intelligentemente sottolineata, allo Spazio Oberdan, da una corda d’arrampicata che marca le varie tappe del progresso numerico in questo secolo e mezzo di vita non può eliminare qualche dubbio sull’effettiva azione svolta in questi anni dal Cai per il territorio montano che rappresenta l’85% del nostro suolo. Ci si può anzi stupire, nel visitare la mostra allo Spazio Oberdan e nello scorrere le pagine del catalogo, che gli alpinisti di ieri, i cosiddetti “padri” del Cai tanto legati al territorio che andavano meticolosamente esplorando, ben poco siano poi riusciti a fare attraverso i loro eredi per l’ambiente, appagandosi del sesto grado e dello ski lift, dei rifugi, delle seggiovie senza badare ai condomini, “sipari di cemento dissennatamente stesi a chiudere quinte di roccia e fondali di ghiaccio”, come scrisse il bravo giornalista Giorgio Pecorini sulla rivista del Touring in occasione del centenario del Sodalizio.

 

Filippo Podestà

 



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