20 marzo 2013

PGT: RIFARE I CONTI IN TEMPO DI CRISI


Qualche lettore si è lamentato del linguaggio criptico degli urbanisti. Mi sembra allora ci possa essere una maniera semplice – forse anche un po’ banale – per cercare di comprendere quale sia la logica con cui è stato impostato il PGT recentemente approvato. Immaginiamo di essere proprietari di un lotto di terreno a Milano. Come vorremmo che fosse il Piano Regolatore?

Innanzitutto, ci piacerebbe poter intervenire da soli, senza per forza mettersi d’accordo con qualcun altro per raggiungere dimensioni minime di perimetro o di edificabilità. Poi, fare salvi i volumi esistenti, poter insediare le funzioni che si preferiscono, in modo da assicurare a tutti un differenziale positivo rispetto alla situazione attuale. Pagare, se proprio si deve, il minimo indispensabile in termini di standard, oneri ed edilizia popolare. E se poi nel caso si fosse proprietari di più di un’area, l’ideale sarebbe poter cedere al Comune l’area più inutile e concentrare tutta l’edificazione su quella di maggior pregio. Beninteso, dietro un PGT che accogliesse in buona misura questi desiderata (come fa quello di Milano) ci sono anche pensieri nobili: assicurare la fattibilità degli interventi, non discriminare fra le proprietà.

I problemi nascono però quando si sommano tutte queste singole potenzialità. Deciso infatti, non si sa bene come, un indice edificatorio “unico” (indicato per lungo tempo, forse per assonanza, pari a “uno” – neanche una parola peraltro è dedicata nel PGT a come si sia arrivati a tale definizione, ci si può però immaginare sia avvenuto “a sentimento”, verificandone cioè il consenso da parte degli interessati) e applicando tale indice a tutti i terreni interessati (vale a dire tutti, escluso i parchi regionali), il risultato è una nuova edificazione di circa 12 milioni mq di slp e la possibilità di riuso di almeno altri 8 milioni di metri quadri (da industria e servizi a residenza, ecc.), con un incremento di circa il 20% rispetto all’esistente.

In termini di abitanti, calcolando che in media l’80% della nuova offerta edilizia è residenziale, applicando comunque il parametro comunale di 50 mq slp/abitante (che vorrebbe dire che una famiglia con due bambini occupa in media un appartamento di duecento metri quadri, alloggi popolari compresi: quanti ne conoscete? ma è il parametro usato dal PGT in quanto “ultimo di legge”, ancorché quella legge sia stata abrogata proprio in nome del realismo delle previsioni…), si tratta pur sempre (controllare per credere) di 320.000 nuovi abitanti, tantissimi, anche se chissà perché il PGT ne conta solo 189.000 (un numero considerevolmente più basso e senza dimostrazioni su come sia stato calcolato, quasi si fosse fatto apposta a ridurlo artificiosamente – ma tant’è, non è questo l’importante).

La città è pronta ad accogliere tutta questa volumetria? Guardando la relazione economica del Piano, sembrerebbe di no: solo per realizzare le strade e il verde previsto, anche utilizzando tutte le risorse derivanti dagli oneri (cosa che in realtà non avviene quasi mai) e anche vendendo tutti i diritti edificatori pubblici e anche contando tutti i finanziamenti in arrivo per Expo, mancano pur sempre oltre due miliardi di euro. Non un soldo peraltro è previsto per nuovi servizi, parcheggi o fognature (forse per non incrementare – anche qui, artificiosamente – il delta negativo).

Questo vuol dire che dovremo attenderci una crescita selvaggia della città, priva dei necessari servizi? Tranquilli, questo non avverrà, perché non c’è domanda di mercato per tutta quella volumetria. I trend demografici sono stabili o addirittura in diminuzione (la presenza di extracomunitari è stata sopravvalutata all’anagrafe), forse al massimo un quarto di quelle volumetrie verrà effettivamente realizzata nei prossimi cinque anni. Beninteso, niente di male a prevedere un po’ di edificazione in più rispetto a quella che serve: così c’è più concorrenza, i prezzi dovrebbero scendere. Ma tre/quattro volte tanto non ha senso.

A che serve allora prevedere tutta quella volumetria? Forse a rilanciare il settore delle costruzioni? Difficile, il problema non è la carenza di offerta, pensare che il settore sia bloccato dalle scarse opportunità poteva essere vero venti o trent’anni fa, adesso non è più così. Ma allora perché? Semplice, serve a metterla in bilancio e a dare un po’ di ossigeno ad aziende in crisi e aiutarle così a “passà ‘a nuttata”: si tratta pur sempre di valori virtuali nell’ordine dei 10-20 miliardi di euro, a seconda delle stime, che in questi tempi possono fare comodo.

Purtroppo, le possibilità che questi valori virtuali si traducano in valori effettivi sono come abbiamo visto abbastanza scarse (i casi positivi di alcune grandi aziende negli anni passati sono dovuti a congiunture più uniche che rare, difficili ripeterli). Sperando ovviamente di sbagliarsi, il rischio quindi che fra qualche anno questi valori fittizi con cui vengono salvati (o intossicati?) i bilanci si trasformino in una specie di crediti inesigibili, c’è. Come c’è il rischio che questo eccesso di offerta finisca per “tagliare le gambe” alle operazioni più complesse o a quelle “in mezzo al guado”, dove cioè c’è già chi si è esposto investendo nello sviluppo (per non parlare dello sfitto e dell’invenduto di operazioni anche recenti).

Come evitare questo rischio? Paradossalmente, la speranza inconfessata è che i valutatori non facciano il loro mestiere: e che continuino quindi a stimare i valori d’area sulla base delle (scarse) compravendite e non delle potenzialità complessive effettive, mantenendoli così sufficientemente alti a bilancio e continuando a sperare che nessuno se ne accorga.

In definitiva, il sistema sembra poter reggere perché sono stati artificiosamente ridotti i numeri degli abitanti e dei costi delle urbanizzazioni (con esiti su procedure come la VAS che è facile immaginare), con i valori d’area mantenuti alti da un mercato poco trasparente: sperando sempre di sbagliarsi, e con tutta la diffidenza possibile nei confronti di questi numeri, sembra un atteggiamento più da governo greco o argentino, che da moderna metropoli europea.

In conclusione, il PGT sembra prospettare certamente benefici a breve termine per una numerosa serie di proprietari di aree, ma forse meno per la collettività nel lungo periodo. I problemi del PGT però non sono solo questi; ce ne sono altri che riguardano temi, quali i servizi e la tutela dei beni storici, che normalmente verrebbero ritenuti prioritari ma che in questo caso passano inevitabilmente in secondo piano. Ma per ragioni di spazio pare opportuno rimandare la trattazione di tali temi a una successiva puntata.

 

Giuseppe Vasta



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