31 ottobre 2012

MILANO. RENZI E BERSANI, LA DIFFERENZA DELL’ENTUSIASMO


L’altrieri sera al Dal Verme c’era quello che potremmo definire il “parterre des rois” della sinistra riformista milanese, quella al potere e quella in panchina. Giovani e vecchi. Il clima politico e la curiosità hanno fatto il pieno. Voteranno tutti per Renzi alle primarie? Difficile a dirsi perché la foto di gruppo trasfigura dal rottamatore prima maniera all’usato sicuro ultimo tipo con tutte le sfumature intermedie.

Comunque una differenza c’è: da una parte una forte carica di entusiasmo, dall’altra l’atteggiamento della vecchia guardia che muore ma non si arrende. Dopo il successo siciliano del Movimento 5 Stelle l’ingrediente entusiasmo, da non confondere banalmente con il populismo, sembra essenziale per il futuro della politica italiana. La prova generale è vicinissima: le elezioni per il nuovo presidente della Lombardia e per il rinnovo dell’assemblea regionale.

Chi sarà il candidato da opporre al centro destra ancora non si sa, così come non si sa chi metterà in campo il centro destra ma se fosse Albertini, il noto amministratore di condominio, certo non saremo di fronte a un trascinatore di folle e nemmeno all’idolo dei teenagers, ma a un rappresentante dei milanesi e dei lombardi della terza più che della seconda età. Ma nemmeno il candidato del centro sinistra avrà a che fare con un elettorato prevalentemente giovanile, anzi, l’età media a Milano sale e nel complesso in Lombardia certo non scende.

Però questa volta l’entusiasmo conterà ancora. In entrambi i casi la domanda finisce poi a essere sempre la stessa: prima il programma o prima l’uomo? Anch’io nutro dubbi e allora mi rifugio nei problemi.

Se la sinistra quale essa sarà, più o meno riformista o radicale, dovesse vincere come ci auguriamo, in campagna elettorale dovrà essere cauta nelle promesse di cambiamento, ma soprattutto nella velocità del cambiamento. La Regione Lombardia è un pachiderma divenuto tale lentamente, in diciassette anni di governo formigoniano. Formigoni in tutto questo periodo anni ha costruito meticolosamente una macchia burocratica che lui solo controlla perfettamente con i sui fidati ciellini attraverso la quale governa “politicamente” la regione relegando in ogni passaggio assessori e assemblea alla gestione dello spettacolo istituzionale: un teatrino di pupi.

La pervasività di questa gestione è nota a tutti ed è questo che legittima l’uso frequente della locuzione “regime formigoniano”. La caduta di un regime politico storicamente ha comportato l’allontanamento dalla scena di tutti i sodali, i comprimari e qualche volta anche di molte comparse. Questo in una democrazia non può avvenire o almeno non può avvenire in maniera brutale e radicale. Se dal punto di vista della civiltà della politica ciò è un bene, non lo è altrettanto dal punto di vista della rigenerazione e del cambiamento di un apparato di governo, se non altro perché ne allunga i tempi di azione e rischia di spegnere le più sentite aspettative delle “vittime” del regime.

Gli apparati burocratici sono un indispensabile strumento dell’attività di governo ma tutti conosciamo il vecchio adagio: “I politici passano ma i burocrati restano” e sono una casta. Oggi da noi una casta – la burocrazia – è al servizio dell’altra, quella degli inamovibili politici. Matteo Renzi si occupa molto di quest’ultima ma della prima chi se ne occuperà? Chi in Lombardia? Solo la magistratura quando qualcuno le dà l’estro?

Luca Beltrami Gadola

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti