16 ottobre 2012

Scrivono vari 17.10.2012


Scrive Carlo Geri a Eleonora Poli – Enucleo dall’articolo in oggetto la seguente frase: “Una miriade di micro costellazioni che spesso danno l’impressione di non dialogare tra loro: perché?”. Direi che non è un’impressione, bensì è un dato di fatto, anzi un ossimoro. Le ragioni, e spiegazioni, del “dato di fatto” vengono ben presentate nell’elaborato della Poli. Spiego invece l'”ossimoro”. Nei lavori di preparazione per il decennale del Ciessevi, la priorità top, a detta delle varie Organizzazioni di Volontariato della Provincia di Milano, è stata: fare rete. Capovolgendo il titolo di una canzone di tanti anni fa, sostanzialmente “si dice, ma non si fa”!

Il tema del fare rete mi è molto caro e, a dire il vero, ho avuto il piacere di partecipare a un’iniziativa (Pane e Salute) rientrante nello spirito del fare “vera” rete e che si è riusciti a portare in porto! Questo sempre nello stesso contesto del decennale di cui sopra, e questa iniziativa rappresenta la fatidica eccezione che conferma la regola. È ancora in essere. Sarà un caso? A supporto della regola, che non è quella benedettina, non c’è che l’imbarazzo della scelta, anche per quanto riguarda i ComitatiXmilano, non solo ora, e veltronianamente, “ma anche” dai tempi delle Officine. Concordo con quanto si auspica nell’articolo, ovvero di non disperdere le potenzialità e le energie. Da cittadino-persona ritengo che sia un problema di cultura e metodo, da ex-manager: son tematiche e problematiche da affrontare con processi sia top down e sia bottom up. Ancora complimenti per l’articolo.

 

Scrive Alessandra Tedeschi a Eleonora Poli – Ho letto l’articolo in oggetto stanchissima, tutto d’un fiato, il tema per me è caldissimo! Tornata ad avvicinarmi alla politica dopo anni di distanza dalla politica prima e da Milano poi, sono entrata in un ComitatoXmilano, ma, dopo la prima emozione di trovare persone che la pensano come me – che resta vera – e quella di scoprire con quanta difficoltà cerchino di passare i concetti di una democrazia partecipativa – lo immaginavo – la delusione è stata grande proprio per i temi così ben espressi nell’articolo: siamo troppo piccoli, troppo soli, isolati dagli altri per poter essere efficaci e anche riconosciuti dai cittadini. forse troppo arcipelago e poco rete. Sono d’accordo su tutto quello che ho letto l’ho percepito sulla mia pelle, sarò felice di riflettere con tutti su come costruire ponti fra un’isola e l’altra e farci passare sopra tante persone!

 

Scrive Giorgio Franchina a LBG – Sono d’accordo con lo scorso editoriale. Aggiungerei una considerazione: con area C è aumentata la percezione dei cittadini che i mezzi pubblici sono un servizio fondamentale, molti soprattutto i giovani hanno rinunciato alla macchina e non hanno alternative. In questo contesto quel tipo di sciopero è sbagliato e anacronistico. Forse sarebbe bene che il sindaco e i sindacati trovino altre modalità per affermare altrettanti sacrosanti diritti come il rinnovo del contratto

 

Scrive Giorgio Goggi a Maurizio Mottini – Mi spiace molto dover contraddire quanto scritto dall’amico Maurizio Mottini sul numero scorso di ArcipelagoMilano, quando afferma che: “Sicuramente con scelte di localizzazione che sono state calate sulla città senza un minimo di coinvolgimento, non dico dei cittadini ma degli stessi organi di rappresentanza del Comune. Ma non dimentichiamo che all’epoca del Sindaco Commissario Straordinario perfino i tracciati delle linee 4 e 5 del metrò sono stati decisi senza che il Consiglio comunale fosse informato.”

In realtà sia il Piano Parcheggi del 1987, sia i successivi aggiornamenti fino al sesto, che contengono la quasi totalità dei parcheggi avviati e tutti quelli ora contestati, sono stati approvati dal Consiglio Comunale. Solo il settimo aggiornamento, l’ultimo, fu approvato nel 2003 dal Commissario.

Ma, soprattutto, i tracciati delle metropolitane 4 e 5 erano ampiamente trattati, e ne era dimostrata l’efficacia, nel Piano della Mobilità del 2001, regolarmente discusso e approvato dal Consiglio Comunale. Nello stesso 2001 il Consiglio Comunale approvò l’inserimento di queste opere nel Bilancio e nel Programma triennale delle opere pubbliche. Non mi ricordo che siano emerse obiezioni sui tracciati.

Il commissariamento iniziò a operare solamente nel gennaio 2002 e non riguardò quindi nessuna delle opere inserite nel PUM. Peraltro, anche durante il Commissariamento, tutti gli atti significativi riguardanti i trasporti furono da me portati in commissione consiliare trasporti, prima della loro approvazione da parte del Commissario. È pur vero che il Commissario avrebbe potuto approvarli comunque, ma i consiglieri ne furono informati, li poterono discutere e mi ricordo pochissime obiezioni di merito sugli atti di pianificazione e programmazione (praticamente solo nel caso del tunnel Garibaldi-Certosa). I consiglieri che hanno fatto parte di quella commissione lo possono confermare. È passato molto tempo e la memoria talvolta può ingannare, ma è utile ristabilire la verità.

 

Replica Maurizio Mottini – Caro Goggi, posso aver esagerato ma certamente durante molti anni la discussione sulle scelte è stato un fatto molto per addetti ai lavori e forse neanche per tutti questi. È indubbio che la partecipazione non è stata la regola per la definizione delle scelte per molti anni. In ogni caso sarebbe utile un tuo intervento su questo tema dei parcheggi, anzitutto per la conoscenza che hai del tema e del ruolo che hai avuto. Anche per avere un tuo contributo sul da farsi ora.

 

Scrive Vincenzo Casone a Giacomo Marossi – Ho letto l’articolo in oggetto, segnalatomi da mia figlia che lavora e vive a Milano, (io sono di Brindisi in Puglia), che mi ha colpito per la acutezza delle analisi, la saggezza delle argomentazioni e delle conclusioni (ma su queste ultime confesso di essere di parte) del giovane autore. Complimenti a lui e grazie alla redazione per il contributo a un’analisi politica ragionata e non urlata come troppo spesso accade da tantissimi anni a questa parte.

 

Scrive Enrico Borg a Lamberto Bertolè – Grande merito va al Consiglio comunale di Milano per la seduta straordinaria svoltasi all’interno del carcere di San Vittore. Con questo atto si è voluto affermare non solo l’attenzione alle condizioni delle nostre carceri ma il diritto di tutti i detenuti a considerarsi cittadini di Milano e rappresentati dal suo Sindaco. Come scrive giustamente Lamberto Bertolè “è una questione che riguarda la città e i diritti civili, sociali e politici dei detenuti al pari di tutti i cittadini”. Così com’è pienamente condivisibile la volontà di richiamare alcuni principi costituzionali quali la riabilitazione del condannato e la non afflizione della pena. Da ciò ne dovrebbero conseguire un maggior ricorso a istituti previsti ma poco attuati come le misure alternative alla detenzione che, come ampiamente dimostrato, hanno un tasso di recidiva assai più basso e interventi legislativi di tipo deflattivo quali la revisione di leggi criminogene (immigrazione clandestina e uso di sostanze stupefacenti).

È pertanto lodevole l’intento di agire su tutte quelle misure alternative e di reinserimento sociale attraverso una cabina di regia pubblica e l’istituzione del garante per vigilare sulle condizioni dei detenuti e rendere esigibili i loro diritti. Tuttavia vi è una questione centrale a cui non si può sfuggire e consiste nel fatto che lo Stato italiano, nell’esercizio di una sua funzione essenziale quale il rispetto della legalità, si trova in palese flagranza di reato come ripetono da anni non solo i radicali ma la Corte europea di giustizia e la Corte dei diritti dell’uomo. La condizione di illegalità del sistema carcerario italiano, che il presidente Napolitano definì di prepotente urgenza ormai 15 mesi fa, non è più procrastinabile. Oggi se si vuole realmente incidere sull’insopportabile sovraffollamento carcerario non vi è che una scelta: l’indulto. Unito all’altra misura necessaria per deflazionare la macchina della giustizia carica di quasi 10 milioni di processi pendenti: l’amnistia. Ricordiamo che ogni anno vanno in prescrizione circa 180/190.000 procedimenti giudiziari (di fatto un’amnistia di classe), che i dati sull’indulto del 2006 segnalano una caduta della recidiva di oltre il 50%, che statisticamente circa la metà dei quasi 30.000 detenuti in attesa di giudizio risulteranno innocenti. Quasi la metà della popolazione carceraria in attesa di giudizio a fronte di una media europea del 24%! Sarebbe sufficiente questa cifra della patologia del sistema giustizia in Italia per considerare indulto e amnistia necessità imposte dal dettato costituzionale oltreché dal buon senso e non solo misure di carattere umanitario né tantomeno ideologico. Una questione di prepotente urgenza appunto, se non ora quando? (consigliere gruppo PD provincia di Milano)



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